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Gli epigrammi di Marziale (part I)

Marco Valerio Marziale era un poeta vissuto nell'epoca d'oro dell'impero romano, per la precisione agli albori dell'impero.
Nacque quando al potere c'era il primo imperatore Augusto e morì quando al comando dell'impero c'era uno dei più amati in assoluto: Traiano (sotto di lui l'impero romano raggiunse la sua massima estensione).

Nel mezzo ben altri 11 imperatori (cambiavano più spesso che gli allenatori di certe squadre sportive ai massimi livelli dei nostri giorni) tra i quali elementi di spicco come il mite e sottovalutato Claudio fino a personaggi più oscuri come Tiberio e Vespasiano ma soprattutto Caligola e Nerone.

Tutta l'opera di Marziale é in epigrammi riportati in versi. Sono inerenti temi leggeri, di tutti i giorni, che portano uno spaccato della vita nella Roma del primo secolo dopo cristo. Comprendono ogni ceto sociale e ogni inclinazione sessuale (i romani per certi punti di vista erano più aperti di noi)

Marziale é spesso ironico e termina spesso con una  tagliente battuta o sarcastica considerazione.
Potremmo considerarle delle battute di Zelig dei tempi che furono, un "anche le formiche nel loro piccolo si incazzano dell'epoca".


Rileggendole a 2000 anni di distanza l'effetto che ci suscitano é sicuramente diverso da quello dei suoi contemporanei, ma ci sono degli epigrammi che risultano ancora perfettamente attuali e degni di uno spettacolo in prima serata anche nel XXI secolo.

Dopo averli sfogliati tutti mi sono permesso di riportare qui una piccola selezione

***

Poco fa Diaulo era un medico, ora è un becchino: ciò che fa da becchino lo aveva fatto anche da medico

***

Chi preferisce regalare a Lino la metà anziché prestare l’intera somma, preferisce perdere la metà.

***

Carino sta bene, eppure è pallido. 
Carino è moderato nel bere, eppure è pallido. 
Carino digerisce bene, eppure è pallido. 
Carino prende il sole, eppure è pallido. 
Carino si abbronza la pelle, eppure è pallido. 
Carino lecca le vagine, eppure è pallido

***

Per non puzzare del vino bevuto il giorno prima, tu, o Fescennia, mastichi senza risparmio pastiglie di Cosmo. Queste pastiglie t’impiastrano i denti e
non tolgono per nulla il puzzo, quando torna il rutto dalle profondità del tuo ventre.
 E che dire del fatto che il puzzo misto alle pastiglie diventa più sgradevole e l’odore del tuo respiro essendo duplice arriva più lontano?
Smetti dunque - è ormai ora - questi inganni troppo noti e questi stratagemmi scoperti, e sii francamente ubriaca di vino.

***

O Mamuriano, Cesto si lamenta spesso con me con le lagrime agli occhi, perché è toccato dal tuo dito.
 Non c’è bisogno che tu usi il dito: prenditi
tutto Cesto, o Mamuriano, se è proprio lui ciò che ti manca. Però, se non hai né un focolare, né la sponda di un misero lettuccio, né una coppa sbreccata degna di una Chione o di una Antiope, se ti pende ai fianchi un mantello
bisunto e pieno di macchie e una casacca gallica ti copre metà delle chiappe e ti nutri del solo odore di una fumosa cucina e bevi acqua sporca piegandoti insieme ai cani, io ti pianterò un dito, non dico nel culo - non si
può infatti chiamare culo quello che non caca mai - ma nell’unico occhio che ti resta; e non chiamarmi geloso né maligno. Insomma, o Mamuriano, fa’ pure il pederasta (*), ma a pancia piena!

*omosessuale

***

Mi venga un accidente, o Deciano, se non vorrei passare con te interi giorni e intere notti. 
Purtroppo ci separano due miglia, che diventano
quattro, perché vengo per poi tornare. 
Spesso non sei in casa; quand’anche
ci sei, spesso mi fai dire che non ci sei: ora sei occupato solo con le cause, ora, e spesso, con le tue faccende. 
Non mi rincresce tuttavia di fare due
miglia per vederti; mi rincresce di farne quattro per non vederti.

***


***

Dasio1 è bravo nel contare quelli che entrano per fare il bagno: a Spatale dalle enormi mammelle chiese tre biglietti, e lei pagò.

***

Ti depili il petto, le gambe e le braccia, e hai rasato i peli che cingono il tuo membro. Fai ciò, o Labieno - chi non lo sa? -, per la tua amante. Per chi, o Labieno, depili il tuo culo?

***

Vuol sapere cosa fa Liri: quel che fa quando è sobria: succhia

***

Perché, o Pontico, metti in croce lo schiavo, dopo che gli hai tagliato la lingua? Non sai che ciò che lui tace lo dice la gente?

***

Tu, o Sesto, dici che le belle fanciulle ardono d’amore per te, proprio per te che hai il viso di chi nuota sott’acqua

***

«Quinto ama Taide». Quale Taide? «Taide la losca». A Taide manca un occhio, a Quinto due.

***


***

Ti meravigli perché l’orecchio di Mario puzza terribilmente. Tu ne sei la causa: gli parli, o Nestore, all’orecchio

***

Poiché al ragazzo fa male il pene e a te, o Nevolo, il culo, pur non essendo indovino, so bene ciò che fai.

***

Mangia lattughe, mangia malve leggere: hai infatti, o Febo, la faccia di uno che caca duro.

***

O Fabiano, Licoride ha portato al cimitero tutte le sue amiche: si faccia amica di mia moglie.

***

Perché, o Taide, mi dici continuamente vecchio? Nessuno, o Taide, è vecchio per metterlo in bocca

***

Ti avevo chiesto dodicimila sesterzi e me ne hai mandato sei: te ne chiederò ventiquattromila per averne dodici.

***

O Fabullo, la tua Bassa tiene sempre con sé un bambino, che chiama il suo trastullo, la sua delizia: e la cosa che più stupisce è che non ama i bambini. 
Qual è dunque il motivo? Bassa suole scoreggiare(*)

*così da poter incolpare il bambino

***

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