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Miasmi

Nel mio viaggio nel terrore e disperazione occorse dalle nostre latitudini incappo inevitabilmente in periodi di apparente calma piatta. È il caso dei momenti di calma apparente tra un ondata di peste e l'altra. Ma come si dice spesso "non si può mai stare tranquilli", mixato al celeberrimo "sei andato a cercartela col lanternino" ecco creati i miasmi; vettori di malattie meno spettacolari ma altrattanto mortali che sua maestà la peste. Affronto il tema con un libro del sempre più apprezzato professor Cipolla (lo stesso che mi guida nelle storia di peste della Toscana). Ed é un viaggio pieno di sorprese, di "ma guarda te un po' questi".
Vi invito a salire su questo traghetto navigando in un mare di superstizione e credenze causate dall'inevitabile ignoranza dei tempi. Buon viaggio.

Tra un ondata e l'altra

"Non può piovere per sempre" era solita dirmi mia nonna quando le cose giravano male.
Affermazione saggia e assolutamente veritiera, io stesso amo definire le nostre esistenze "sinusoidali e in balia di frequenze più o meno stabili"; insomma la vita può essere piatta o una montagna russa. Alcuni eventi dipendono da noi, altri invece non sono di nostro controllo. Le epidemie ad esempio sfuggono in buona parte del nostro controllo, il fatto che ce ne siamo stati tappati in casa per il Covid per mesi é la prova tangibile che anche nell'anno 2021 ci sono eventi che riescono a segnare la quotidianità di migliaia di persone
Come abbiamo visto le epidemie però dopo aver infuriato un determinato posto, come sono arrivare se ne vanno, la vita rifiorisce all'istante

Una litografia a colori di Robert Seymour del 1831 raffigura il colera come una creatura scheletrica vestita che emana una nube nera e letale.

Uffici di sanità permanenti

Si è chiarito in altra sede che l'Italia settentrionale si dette tra il 1348 ed il 1700 una struttura d'avanguardia in Europa nel settore della prevenzione sanitaria e dell'igiene pubblica con la istituzione nelle maggiori città di Uffici o meglio Magistrature di Sanità'. 
All'origine di questi sviluppi stavano le ripetute epidemie di peste che a cominciare con la pandemia degli anni 1348-51 devastarono a più riprese ed in vari tempi le diverse parti d'Europa. 

Si cominciò a Venezia ed a Firenze nel 1348 nel bel mezzo della pandemia di peste di quegli anni ad istituire uffici che si occupassero dei mille ed uno problemi provocati dalla catastrofe. Gli uffici messi in piedi durante il periodo 1348-51 e quelli istituiti nelle epidemie susseguenti furono uffici temporanei nel senso che l'ufficio restava in essere per la durata dell'epidemia terminata la quale l'ufficio stesso veniva disciolto. Ma nella prima metà del Quattrocento a Milano, nel 1486 a Venezia, nel 1527 a Firenze questi uffici furono trasformati in magistrature permanenti. 

La ragione della trasformazione è ben illustrata dal documento fiorentino che istituiva nel 1527 il locale Ufficio di Sanità su base permanente. Dice il documento in questione che non si era in grado di «perfectamente provedere» ai problemi posti dall'epidemia «senza un officio che ne tengha particulare cura» e che d'altra parte se si aspettava quando oramai c'era «el sospetto di contagione» allora il «far simile officio si ha con difficultà»

Da tappabuco ad azione preventiva

La trasformazione degli Uffici di Sanità da istituzioni temporanee in istituzioni permanenti non fu operazione meramente burocratico amministrativa: al contrario rifletteva il critico e ponderoso passaggio dal primitivo e semplice stadio del tappabuco al ben più maturo ed intelligente stadio dell'azione preventiva. Ciò comportava non tanto la creazione di cariche permanenti e l'assunzione di personale su base permanente quanto la estensione dell'area di intervento e la modifica del tipo e della qualità degli interventi.

Se nel bel mezzo di una epidemia la gran parte delle energie e delle risorse delle Magistrature di Sanità era assorbita dall'istituzione e gestione dei lazzaretti, dalla chiusura delle case infette, dalla creazione di cimiteri riservati all'interramento dei morti di peste, dalla precettazione dei medici, dalla regolamentazione dell'attività dei becchini, in tempo di bonaccia le Magistrature permanenti di Sanità dedicavano maggior attenzione e maggiori risorse a tutta una diversa e ben più vasta e variegata gamma di misure. Le quali misure di carattere preventivo si andarono facendo nel corso del tempo sempre più numerose e diversificate.

Carro di monatti durante la peste a Milano. Il lavoro di monatto scompariva con la scomparsa dell'ondata di peste. Dagli archivi risultano anche degli airolesi recatisi a Milano per questa professione, tra i quali anche una donna

 Congiunzione degli astri

È evidente da quanto esposto che in mancanza di topi e di pulci non c'è pericolo di peste. Ma se i topi e le pulci abbondano una epizoozia ha tutte le chance di trasformarsi in una epidemia. Queste cose gli uomini del tempo non le sapevano. Il paradigma della scienza medica non era quello dei microbi e dei loro vettori bensì quello degli umori e dei miasmi. Per la peste si parlava di una mal definita ma non per questo meno accreditata «corruptione et infectione dell'aria» che degenerava in miasmi velenosissimi ed "appiccicaticci" i quali per inalazione o per contatto uccidevano l'individuo che ne fosse investito. Secondo le teorie dell'epoca la «corruptione et infectione dell'aria» poteva verificarsi per una malaugurata ed infelice congiunzione degli astri, per esalazioni di acque paludose, per eruzione di vulcani, per condizioni di sporcizia e fetidume, per le esalazioni provenienti da «rebus et corporibus putridis et corruptis».

Cometa apparsa su una città sconosciuta nel marzo 1556
e speculazioni sul suo significato come segno di ira divina. L'apparse delle comete era una delle possibili cause d'infezione dell'aria. Wickiana

Secondo il dr. Gaci l'epidemia era «proceduta non solo dalla carestia passata nella gente bassa e nelli cittadini da molta crapula ma ancora dall'astri e costellationi superiore con influire sull'inferiori e così da più cause sono state queste pessime febbre che non hanno voluto cedere alli medicamenti».

Conferme casuali

E purtuttavia anche personaggi di notevole calibro intellettuale non osarono mai mettere in dubbio il paradigma umorale-miasmatico così nitido, logico e coerente e così autorevole per vetustà e tradizione.

Osservazioni fattuali corrette vennero ripetutamente fatte e registrate, ma per un perverso meccanismo quanto venne correttamente osservato non servì a mettere in dubbio la validità del paradigma prevalente ma venne dialetticamente adattato al paradigma stesso a sua ulteriore riprova.

Per esempio i medici notarono presto ed accuratamente che le epidemie di peste scoppiavano di regola nei mesi caldi dell'estate. Non passò loro minimamente per la testa che la cosa potesse essere messa in relazione con il periodo di proliferazione di insetti quali le pulci. I mesi caldi dell'estate erano quelli durante i quali più violentemente si avvertivano i nauseabondi fetori del letame, degli escrementi, delle lordure in cui affogavano le borgate, le castella, i villaggi, le stesse città dell'epoca. La ricorrenza delle epidemie di peste nei mesi estivi servì quindi paradossalmente a confermare la conclamata sequenza putridume => fetore => miasma => pestilenza. 
E ancora. I medici notarono presto e giustamente che chi maneggiava pellicce, tappeti, balle di lana, tessuti aveva maggiori probabilità di contrarre la peste rispetto a chi maneggiava marmo, ferro o legname. L'idea che nelle pellicce, nei tappeti, nelle balle di lana potessero albergare pulci infette non sfiorò neppure lontanamente la mente dei medici del tempo. Il paradigma teorico non dava spazio ai microbi ed ai loro vettori. Nel fatto correttamente rilevato i medici videro la riprova che gli atomi dei miasmi velenosi essendo "appiccicaticci" ovviamente si appiccicavano ovverossia aderivano più facilmente a superfici pelose che a superfici levigate.

E i topi?

Può apparire strano oggi col senno di poi che a nessuno passasse per la mente di incriminare pulci e topi ma bisogna considerare che pulci e topi rappresentavano una presenza costante nella società del tempo. Siccome pulci e topi abbondavano anche quando di peste non c'era manco l'ombra non era illogico che li si esonerasse da ogni responsabilità quando all'improvviso compariva inopinatamente la peste.

Più in generali i topi nel medioevo

Questi piccoli roditori sono universalmente connotati in modo negativo nella simbologia medievale. A partire dal xv secolo, Gertrude de Nivelles (625-59) è invocata contro i ratti e i topi in Alsazia, in Catalogna, nel Brabante, nei Paesi Bassi, in Renania e in Austria, e la si rappresenta molto spesso circondata di roditori. Ma questa associazione non ha alcun fondamento biografico ed è piuttosto da ricercare nel folclore popolare.

Santa Gertrude circondata dai topi

Numerose miniature li mostrano mentre sgranocchiano ostie, riconoscibili dalla croce con la quale sono segnate. È possibile vedervi un'allegoria dell'eucaristia, dove il Cristo è raffigurato dall'ostia e l'umanità dai topi, simboli della debolezza della condizione umana. Quando il gatto si aggiunge alla scena, come nel Libro di Kells, incarna il Maligno a caccia della debolezza umana. Finché i topi consumano il pane benedetto possono saltarellare gioiosa-mente, senza temere gli attacchi del diabolico gatto.

L’igiene cittadina

A Bientina nel giugno del 1612 il Magistrato fiorentino inviò in ispezione certo Gherardo Mechini in compagnia del dr. Barrione di Pisa. I due riferirono di aver trovato «quella terra in malissimo termine e talmente schifa e ripiena di immondizie sì che le strade chome le piazze che più pulitamente si sta dove abitano le bestie. E v'è persino de' litami per le strade e piazze appoggiati alle chase che ve li tenghano a marcire da quali oltre alla schifezza si sentono chativissimi odori»

A Montopoli sempre nel 1607 il macellaio teneva «drento a casa un vicolo che vi è occupato como tiene di ogni sporcitia di stercho, ventri e altre brutture quali fanno fetore crudelissimo insieme con una pila dove cascha ogni sanghinaccio a piè l'uscio della bottega la quale getta tanto fettore che non si può soportare»

L'aspetto più pateticamente tragico della faccenda del letame era peraltro quello delle persone che per via della loro abietta povertà raccoglievano il letame per la strada quando ne trovavano e se lo portavano a casa dove lo cumulavano fino a costituirne una quantità che potevano vendere.

Cause geografiche e meteorologiche

Seguendo la tradizione ippocratica, il dr. Collodi dava rilievo, tra le cause della morbilità, ai fattori geografico-meteorologici: «L'aere è cattivo non solo per il sito del luogo che è basso et occupato da i monti vicini ma anche per l'abboccatura che ha volta verso i venti meridionali et humidi»



In aggiunta, nella tradizione ippocratica, il dr. Figlinesi non trascurava l'elemento geofisico: «Si considera il sito et positura del luogo quale per la maggior parte risguarda a mezo giorno da ponente et per conseguenza è molto soggetto a venti australi et marini et essendo la maggior parte delle case in su la costa et non havendo per la parte di dietro sfogo alcuno, accade che oltre al vento s'interna maggiormente dentro le case lo svaporare nocivo che con l'occasione del caldo hanno fatto l'immondezze già dette ritenute per le case»"

L’influenza e le sue origini

Quella che noi oggi chiamiamo influenza non aveva un nome perché non era percepita come entità specifica e distinta. Si parlava in termini generici di catarri, mali di costa, mali di punta, scheranzie, pleuritidi facendo riferimento alle varie manife. stazioni o complicanze patologiche della malattia. La teoria prevalente era che i catarri che procuravano tali mali traevano origine da «umori pituitari» formatisi nei cervelli delle persone per via del freddo invernale.
L'idea di un'origine climatologica escludeva di fatto l'idea del contagio.

Rimedi estremi

Non stupisce pertanto che i responsabili della sanità fossero decisi a dichiarar guerra a sporcizia e fetori. A tale scopo non esitarono a prendere le decisioni più drastiche ed anche più inconsuete. Il capomastro Lucini nella sua relazione del 1607 a proposito di Bientina concludeva: «oltre a lavorare a detti puzzi e fetori sarebbe a tale castello di gran benefizio e sanità che in testa a certa strada si sfondasse [le mura] perché solo l'aria di mezzo vi è aperta sotto e sopra; le altre sono tutte vie mozze dove non può esalare e netare e' venti e ogni fetore vi dorme e vi si forma». Il Magistrato di Firenze non si fece ripetere il suggerimento due volte anche se si trattava di un suggerimento alquanto drastico. In quattro e quattr'otto fece demolire le mura di Bientina per aerare il paese. Nell'agosto del 1611 il cancelliere di Pontedera scriveva: «mi trasferii a Bientina et per quanto potetti ritrarre trovai che messer Gherardo Mechini ingegnere di Sua Altezza Serenissima l'anno passato haveva dato ordine che per sanità di quel castello si havesse a rompere le mura acciò i venti potessero entrare e uscire».

Rimedi meno estremi

Il tasso di letalità odierno dello 0,01 per cento citato prima per l'influenza risente delle appropriate terapie disponibili oggigiorno. I pazienti del Seicento però non avevano il beneficio dei trattamenti odierni. Le terapie essenziali cui ricorrevano i medici fisici erano i salassi, le purghe e gli emetici. 
Ai bambini queste terapie esiziali erano fortunatamente risparmiate ma gli adulti non riuscivano ad evitarle. Il risultato era nefasto.
Secondo gli esperimenti condotti dal dr. Dietl a Vienna e dal dr. Bennett in Edinburgo la pratica del salasso, delle purghe e degli emetici nel trattamento delle infezioni broncopolmonari aumentava la mortalità di circa due terzi.

Focus sul salasso

Per gli innumerevoli pazienti del Medioevo, all'epoca farsi togliere il sangue era ritenuto un toccasana per ogni tipo di malattia (benché a molti malati assertasse spesso il colpo di grazia). Idropisia, vampe di calore, arti rotti, isteria, tisi e gotta: non cera disturbo che non si curasse con un bel salasso, che oltretutto non era considerato soltanto un rimedio, ma anche una specie di "pulizia di primavera" per il corpo. Con la naturalezza con cui oggi prendiamo unaspirina, nel XVII e XVIII secolo chi se lo poteva permettere si faceva incidere e salassare.


La forma più comune di salasso prevedeva di incidere una vena con una lancetta affilata (ma non pulita), di solito nell'in-cavo del gomito. Erano diffusi anche i coltelli a molla da premere contro la pelle e dotati di una lama affilata che veniva fatta scattare dall'u-tente: questi comodi dispositivi permettevano ai pazienti di salassarsi da sé e divennero un oggetto indispensabile per molti gentiluomini. A volte capitava che qualcosa andasse storto: anziché farsi un semplice taglietto sull'avambraccio, la regina Carolina Augusta di Baviera (1792-1873) mori dissanguata dopo essersi recisa l'arteria.

Rimedi usuali

La massa della popolazione rurale non era incline a farsi curare dai medici. Anzitutto, data la diffusa povertà, il paziente e la sua famiglia non erano sovente in grado di pagare l'onorario del medico. Inoltre il medico-fisico ispirava timore reverenziale e il contadino preferiva rivolgersi al ciarlatano o alla mediconzola del paese. Nel contado di Fucecchio nel 1608 vi erano «molti amalati quali per l'ordinario non si curano» e altri pazienti «per povertà o per poca credenza nella medicina non hanno chiamato il medico».

Descrizione dei sintomi

Ouanto alle malattie che avevano causato i casi di morte menzionati, il medico riferì che «per la relatione datami dagli habitatori sono state febbri putride e maligne poiché mi dicano che gli ammalati si sopravvenivano delirij, sete, inquietudine, dolor di testa, orine torbide e subiugali, escrementi fetidissimi e finalmente nella cute si manifestavano exanthemate o petecchie. Inoltre molti dei morti hanno patito infiammatione di pleura che mal di punta comunemente si nomina.

...

Li simptomi e accidenti che hanno seguito dette febbre sono stati tali e primo il calore delle parti esterne mite e piacevole e quasi poco lontano dal normale in maniera tale che la maggior parte si sono trovati essere passati il quarto giorno del male senza haverne fatto consapevole il medico. Al quale calore non corrispondeva gl'infrascritti accidenti come inquietudine continua, siccità e molte volte nerezza di lingua, sete inestinguibile, dolori di testa, vigilie, deliri, calore non proportionato delle viscere alle parti esteriori in queste non sentendo calore e in quelle continua fiamma e ardore. Il polso per lo più apparisce picciolo, celere, frequente, non senza qualche inequalità con orine turbate, confuse e di cattivo odore. Inoltre a molti avanti il settimo [giorno] sino all'undecimo e quattordicesimo sono apparse petecchie varie di colore e quantità.

...



Cominciano con poco calore, hanno qualche augumento la sera fino al quarto e poi svanisce l'accessione. I polsi subito fiaccano notabilmente e se bene non delirano sino al settimo [giorno] overo al nono tuttavia non hanno intero giudizio e nelli predetti termini delirano senza escandescenze, rammentando i propri affari et interrogati per un poco tornano al sentimento. Le orine doppo due o tre giorni e nel fondo al più hanno come farina quasi cenerizia. Fino al quarto [giorno] gli è noioso pigliar il cibo con qualche forza di vomito; nel sesto [giorno] la lingua si fa nera et in alcuni macchiata in diversi luoghi con stillamento di sangue dal naso; in tutta la vita nel sesto [giorno] appariscono e spariscono petecchie d'ogni sorta. A molti si sgrava il corpo e fanno gran copia d'orina nell'undicesimo e tredicesimo [giorno] e a questi finisce il delirio e con la perseveranza della debolezza del polso si muoiono nel sedicesimo, o dodicesimo o quattordicesimo [giorno] con attestare che non sentono cosa che gli gravi. Tutti quelli che periscono o sono dissoluti et incontinenti o carichi di noiosi pensieri.

…a Volterra, luogo tanto lontano che vi giunge prima la morte che il rimedio

Tifo e malaria 

Le malattie descritte sopra sono riconoscibili come tifo e malaria

Il tifo

Un minuscolo batterio chiamato Rickettsia prowazeki (trasmesso da una delle creature più insignificanti, il pidocchio) decimò la popolazione europea dal XVI secolo alla fine della Prima guerra mondiale.
Data la sua di gran lunga inferiore letalità il tifo non incuteva il terrore che invece incuteva la peste. Pertanto se un centro era invaso da una epidemia di tifo non veniva quarantenato dalle altre città e villaggi e quindi sfuggiva al collasso economico che invece travolgeva i centri invasi dalla peste.

Il termine 'tifo' è stato usato per la prima volta nel XVIII secolo, derivato dal greco typhos, ossia "fumo, vapore" o 'torpore, a rispecchiare l'apatia e lobnubilamento che accompagnano gli stadi iniziali del morbo. Altri nomi nelle varie lingue erano spotted fever ("febbre esantematica") in inglese, tabardillo in spagnolo e Fleckfieber in tedesco.

A trasmettere il batterio Rickettsia prowazekii è il Pediculus humanus corporis, il comune pidocchio, e la pericolosità della malattia è accresciuta dal suo periodo di incubazione relativamente lungo. A 10-12 giorni dal morso, il paziente può manifestare brividi accompagnati da una vaga sensazione di disorientamento. Poiché il malessere passa presto, la vittima facilmente non gli dà peso. Ma si tratta solo di una quiete temporanea, limitata al periodo in cui i batteri colonizzano l'organismo prima di sferrare l'attacco vero e proprio. In questo periodo, la Rickettsia invade le cellule dell'ospite e replica milioni di copie del suo DNA. Le cellule più a rischio sono quelle che rivestono vene e capillari, che, una volta infettate, si gonfiano e lasciano filtrare il loro carico letale nei tessuti adiacenti, producendo una necrosi diffusa. In altre parole, la vittima inizia a marcire dall'interno.

Un mal di testa sordo può trasformarsi all'improvviso in un emicrania accecante a causa dell'emorragia dei vasi sanguigni e della conseguente tumefazione del cervello. All'emicrania possono accompagnarsi dolori articolari, disorientamento, tosse, bassa pressione e indolenzimento acuto.
Può manifestarsi un rash rosso e livido, simile a un morso di pulce, che ricopre l'intero corpo a eccezione di volto palmi delle mani e piante dei piedi. E questa caratteristica unica che consente alla malattia di diffondersi con tanta virulenza.

Il tifo tornò a manifestarsi durante la Prima guerra mondiale, sul fronte orientale. In questo manifesto del 1919 un pidocchio da una mano alla morte

In età napoleonica, se un soldato infetto riusciva ancora a marciare, l'uniforme nascondeva il rash, permettendogli di rimanere nella sua unità e diffondere la malattia. Anche tali macchie erano un sintomo del cedimento dell'apparato circolatorio e dei coaguli di sangue presenti sin nella vena più minuscola. La luce intensa causava sofferenza ai pazienti, con l'effetto di tanti pugnali conficcati nella parte posteriore del cranio. Un'altra caratteristica era l'odore nauseabondo che emanava dagli infetti, corroborando l'idea che a causare la malattia fossero i 'miasmi, La febbre poteva raggiungere i 40 °C, spingendo i pidocchi ad abbandonare l'ospite alla ricerca di un clima più mite.

Quando la malattia entrava nella fase terminale, più o meno dopo otto giorni, le vittime cominciavano a farneticare in preda al delirio, talvolta strappandosi di dosso i vestiti, correndo alla cieca e farfugliando frasi incomprensibili. Man mano che i vasi sanguigni erano ostruiti da cellule morte, l'ossigeno non riusciva più a raggiungere le estremità, provocando cancrena, che di norma colpiva dita, genitali e naso mentre la vittima si putrefaceva, emanando un tanfo disgustoso.

La malaria

Pur non essendo una malattia 'appariscente o dalle tragiche conseguenze come la febbre gialla, che attirava l'attenzione dei primi mezzi di informazione e della popolazione, la malaria presenta una serie di sintomi variabili da individuo a individuo che rendono alquanto difficile riconoscerla nella fase iniziale: cera chi poteva soffrirne lievi attacchi periodici per anni, mentre altri venivano stroncati nel giro di pochi giorni.
Il primo a nominare la malaria in Occidente fu Ippocrate, che, all'inizio del v secolo a.C., distinse i vari tipi di febbri malariche in quotidiane, terzane e quartane (ossia, che si verificano a intervalli di 24, 72 o 96 ore).

Probabilmente, la malaria è stata una delle prime malattie a dare origine alla teoria miasmatica. Poiché depressioni umide e pozze d'acqua stagnante costituivano i terreni di coltura perfetti per le zanzare, le comunità che abitavano in zona erano particolarmente soggette a questa infezione. A causa delle infestazioni malariche, ampie zone della penisola italiana restarono pressoché spopolate perfino all'apice dell'Impero romano. 
Il termine 'malaria' deriva proprio dall'italiano medievale mala aria ("aria cattiva") e fu usato per la prima volta in inglese da Horace Walpole, nel 1740. Nel corso dei secoli, la malaria è stata denominata anche "febbre delle paludi" o paludismo.
La malattia, che si trasmette con la puntura di una femmina di zanzara Anopheles infetta, contagia l'uomo da centinaia di migliaia di anni e costituisce tuttora un pericolo concreto per almeno mezzo miliardo di individui nel mondo.

Pur variando per intensità, i sintomi di tutte le infezioni malariche comportano un lento aumento della temperatura corporea che poi oscilla rapidamente, provocando alternanza di brividi e febbre. Successivamente, si manifestano cefalea, nausea, sudorazione, diarrea e anemia. È quest'ultimo sintomo a causare il pallore giallastro che rappresenta leffetto collaterale più visibile della malattia.
A trasmettere i parassiti della malaria è la femmina di zanzara Anopheles, che di solito è attiva al crepuscolo e nel tardo pomeriggio. Quando una zanzara infetta punge un essere umano, i parassiti vagano nel flusso sanguigno per circa un ora prima di penetrare nel fegato e moltiplicarsi. Come un killer in agguato in un vicolo i parassiti restano nascosti nel fegato prima di reimmettersi nel flusso sanguigno, a questo punto, invadono i globuli rossi e vi si moltiplicano fino a dilagare, provocando la serie di disturbi sopra descritti. 
I pazienti cronici accusano regolarmente questi sintomi poiché i parassiti abbandonano più volte il fegato per poi penetrare nel flusso sanguigno e invadere i globuli rossi, dove si moltiplicano a ritmi frenetici prima d uscirne e infettarne altri.

Le infezioni si possono suddividere in lievi, croniche o fatali. Di norma, gli sventurati coloni infestati da Plasmodium falciparum morivano quando i sintomi si aggravavano provocando tutta una serie di complicanze potenzialmente letali. Poiché il sangue non era in grado di coagularsi, la minima ferita si trasformava in un emorragia fatale. Inoltre, la morte prematura dei globuli rossi interrompeva l'apporto di ossigeno agli organi, provocando il collasso di milza, reni e fegato.

La milza ingrossata é un tipico sintomo di infezione malarica. Fino agli anni Trenta del XX° secolo l'unica cura efficace era il chinino, un alcaloide estratto dalla corteccia di china.

Esistono molte testimonianze della disperazione degli europei mentre i loro cari andavano incontro a una morte dolorosa man mano che l'edema polmonare si aggravava. Dal momento che il collasso dell'apparato circolatorio provocava l'accumulo di liquidi nei polmoni, i pazienti accusavano gravi difficoltà respiratorie e un'opprimente sensazione di soffocamento o annegamento, pur restando sempre coscienti. Mentre ansimavano e boccheggiavano, espellendo catarro schiumoso a colpi di tosse, erano preda di dolore toracico intenso e violente palpitazioni. Poiché, sdraiandosi, i sintomi peggioravano, molti erano costretti a restare seduti, fissando negli occhi i propri cari mentre morivano lentamente soffocati.
Dormire era quasi impossibile e i pazienti si gonfiavano a causa dei liquidi accumulati mentre il cuore tentava disperatamente di pompare sangue alle estremità.
Quando la malattia penetrava nel cranio insorgeva spesso la malaria cerebrale, che causava febbre alta, violente emicranie, sonnolenza, delirio, coma e morte.

Dottor Magiotti

Nella lettera che il vicario di San Giovanni scrisse il 21 aprile al Magistrato di Firenze si dice che avendo ricevuto da questi «la gratissima loro per fante a posta, subito ho hauto a me meser Latanzio Magiotti medico fisico di questo luogo ... et esso ha messo in carta come dall'inclusa potranno vedere». Purtroppo di questo scritto del dr. Magiotti non si è riusciti a trovare traccia. 

Ed è un vero peccato perché Magiotti era un tipo interessante. Nato nel 1590 a Montevarchi da famiglia patrizia, si laureò in medicina e filosofia a Pisa nel 1612. Nel 1622 era medico condotto a San Giovanni. Nel 1630 lo troviamo medico condotto a Prato. Poi passò a Firenze dove seppe farsi una posizione brillantissima: ebbe Galileo tra i suoi pazienti e fu nominato medico alla corte granducale. 
A quanto pare il dr. Magiotti era fautore di "nihilismo terapeutico": in altre parole era quanto mai scettico circa le possibilità terapeutiche della medicina e le proprietà terapeutiche dei medicamenti.

Secondo il conte Lorenzo Magalotti «il nostro buon vecchio Magiotti lo diceva a lettere di scatola [che i medici e le medicine non servivano a nulla] e al Gran Duca Ferdinando che gli domandò un giorno con che coscienza e pigliasse il denaro degli ammalati giacch'ei sapeva di non poterli guarire, io, Serenissimo, rispose, gli piglio non in qualità di medico ma di guardia perché non venga un giovane che creda a tutto quel ch'ei trova scritto ne libri e cacci loro qualche cosa in corpo che me gli ammazzi».

Conclusioni

In questo marasma di aneddoti qualcosa va sicuramente salvato, il primo é il dottor Magiotti che sta a dimostrare, così come il suo paziente più famoso Galileo, che qualcuno riusciva e vedere oltre, ad avere il coraggio di non accontentarsi di quanto tutti credevano e farneticavano. È grazie a menti illuminate come la sue se l'umanità può essere accostata al nome evoluzione.

Un altro punto da salvare é l'organizzazione degli uffici di Sanità in Italia, a oggi suona bizzarro ma a quei tempi l'Italia fu all'avanguardia a livello Europeo per quanto riguarda la gestione in caso di epidemie. L'intenzione era sicuramente buona, i risultati, dottor Magiotti a parte, oggi fanno sorridere.

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“Come i funghi”, si dice solitamente quando ne trovi uno e poco distante immancabilmente ce n’è un altro. Questa regola non é applicabile a tutto ma se ci si reca nell’angolo occidentale del lago di Bienne ci sono due città di chiaro stampo medievale (il mio vero motivo della visita) a pochi chilometri di distanza. Siamo proprio sul confine linguistico francese / tedesco nonché quello cantonale trovandosi Le Landeron cattolica in territorio neocastellano (NE) e La Neuveville  protestante bernese (BE). Quello di Le Landeron si tratta di un ritorno, dopo la visita a La Neuveville scoprii che c'era un museo che però per l'occasione era chiuso, un ritorno é quindi d'obbligo Parte meridionale dell’abitato fotografato dalla sala di giustizia del municipio di Le Landeron Le Landeron occupa una posizione unica nel suo genere nel Cantone di Neuchâtel: un sito di pianura, a 700 metri a ovest del lago di Bienne, su un terreno in leggero pendio, in una regione meravigliosa, costellata...

Da Lugano al Convento del Bigorio

La partenza é fissata alla stazione dí Lugano. So che sarà una sfacchinata, non esagerata ma pur sempre una sfacchinata. Il mese di maggio é agli sgoccioli, hanno iniziato ad esserci le giornate torride, o perlomeno afose. Di buona lena prendo il treno e verso le 09:00 sto già partendo dalla stazione di Lugano.  Per la giornata di oggi conosco alcuni posti in cui transiterò perché già visti da qualche parte, oltre a questi potrebbero esserci luoghi a me tutt'ora sconosciuti e se dovesse capitare mi lascerò piacevolmente sorprendere. San Maurizio in Rovello La prima grande sorpresa giunge alle porte di Lugano, la chiesa di San Maurizio in Rovello La piccola chiesa, addossata a una masseria di origine medievale attestata sin dal 1203, è stata a lungo proprietà degli Umiliati. Sorge sul territorio dell'antico quartiere di Rovello, ed è oggi parte di Molino Nuovo. Il complesso rurale si sviluppa intorno ad una corte centrale di forma triangola allungata, selciata secondo tecniche ...

D.A.F. De Sade - Elogio dell’omicidio

Si proprio quel De Sade. Trovo un libricino in una altrettanto minuscola biblioteca a Biasca. Incuriosito da titolo ed evidente me autore ne prendo possesso. Il racconto narra dell’incontro di Juliette con il pontefice Sisto VI. Juliette pone 4 richieste al pontefice in cambio dei suoi favori sessuali che si riveleranno poi dei più depravati. Quello a colpire é il tema centrale del libro: il papa illustra a Juliette che l’omicidio non solo deve essere tollerato ma é necessario Del divin marchese (1740-1814) la cui biografia oscilla tra il più spinto libertinaggio e lunghi anni di prigionia - in pochi ne hanno saputo parlare con tanta lucidità come George Bataille: "di Sade dovremmo poter prendere in considerazione unicamente la possibilità che offre di calarci in una sorte d'abisso d'orrore che dobbiamo esplorare, e che inoltre é dovere della filosofia esporre, chiarire e far conoscere. Considero che per chi voglia andar fin in fondo nella comprensione di ciò che significa...

Da Einsiedeln a Rapperswil

Einsiedeln é già stata tappa delle mie scorribande , più volte. Questa volta però decido di non fermarmi nella cittadina / nel monastero, ma di usarla semplicemente come punto di partenza. Ed é un bene, perché anche tralasciando questa fonte di aneddoti sto per incontrarne molti altri sul mio percorso Il monastero di Einsiedeln Pronti…partenza…deviazione! Il monastero é già stato visitato a più riprese dal sottoscritto e qualcosa ho già postato qui . Decido di fare la prima ed unica deviazione proprio all’inizio del mio percorso; decido infatti di andare ad esplorare (di nuovo) il cimitero di Einsiedeln, anche perché a posteriori mi sono accorto che durante la mia prima visita mi sono sfuggiti diversi dettagli... Il cimitero di Einsideln  In particolare durante la mia prima visita mi é completamente sfuggito il monumento ai Bourbaki , che di conseguenza é la prima cosa che vado a cercare. Einsiedeln accolse 139 uomini e 63 cavalli dell'esercito francese che si ritirò in Svizzera. S...

L’emigrazione nelle valli ambrosiane

Non ce ne sono tantissime, ma quando viene organizzata una conferenza sulla storia delle nostre vallate faccio il possibile per partecipare. A quella sulle emigrazioni dalle valle ambrosiane giungo appena in tempo e trovo la saletta delle conferenze del Museo di Leventina molto affollata. Giusto il tempo di trovare una sedie in seconda fila e la conferenza inizia.     La compagnia Correcco-Bivio assicurava viaggi in tutto il mondo e con una traversata dice in sei giorni cui celerissimi vapori postali Emigrazione e immigrazione In realtà non si trattava solo di emigrazione, la trasversalità da montagna a montagna faceva sì che ci fossero delle famiglie che partivano dai comuni in altitudine per andare a lavorare nelle città d'Italia e contemporaneamente in questi comuni arrivavano persone da fuori a fare il boscaiolo , per esempio nel mendrisiotto arrivano dalla Val d'Antrona, dalla val Brembana, oppure spostamenti trasversali da valle a valle: dalla val Verzasca si spostavan...

Donne sfiorite

Questo idilliaco quadro l’ho visto due volte in pochi mesi: alla galleria Züst di Rancate e al MASI di Lugano pochi mesi dopo. Ma poco importa. Idilliaco e utopico  Il canto dell'aurora, 1910 - 1912 Luigi Rossi (1853–1923) 1910–1912, olio su tela. MASI Lugano. Deposito Fondazione Antonio Caccia. Acquisto 1913 Sotto un ampio cielo, si apre il paesaggio della Capriasca, luogo di villeggiatura estiva del pittore, in cui sono collocate quattro contadine che intonano un canto, orientate verso i punti cardinali. Il tema dei contadini al lavoro, ampiamente trattato dall’artista, mostra un rapporto sereno fra la natura e l’uomo, mentre la resa pittorica, dalle pennellate parzialmente filamentose, rende il soggetto quotidiano atemporale e simbolico. Quello che importa sono le identiche sensazioni che mi ha trasmesso entrambi le volte. La prima cosa che ho notato sono le gerla: vuote! Finalmente e inesorabilmente vuote! Ci voleva un quadro per una visione simile, che io ricordi non esiste fo...

Una nuova partenza

Ho gestito un blog dal 2004 al 2016 Dal 2016 ho preso una pausa, nel frattempo il mio stile di vita e i miei interessi sono mutati, si potrebbe sostenre che sono passato dall'epoca "tardo bimbominkia" al "consapevole di un esistenza da sfruttare bene", o ancora, come amo dire, aver cambiato la mia stagione umana, che sia da "primavera a estate" o da "estate a autunno" non l'ho ancora capito. Nel frattempo i miei interessi si sono spostati fondamentalmente su due temi: montagna e storia. Perché Suvorov55? Suvorov55 é un nome che riesce a racchiudere entrambe le mie passioni, cosa abbastanza difficile in una parola; si tratta di un percorso proposto da una delle innumerevoli app di escursionismo che propone di ripercorrere il percorso fatto dal generalissimo Suvorov nelle alpi svizzere nel contesto delle guerre napoleoniche, il percorso si chiama appunto Suvorov55 ed é una dei miei innumerevoli obiettivi che mi sono proposto di raggiungere....

Ufenau

L’ho rasentata durante la passeggiata Einsiedeln - Rapperswil, e mi sono fatto ingolosire. La presenza del Huttenwyl li esiliato non ha fatto altro che aggiungerci fascino. Approfitto di una giornata tersa per andare in avanscoperta della piccola ma affascinante isola di Ufenach (o Ufnach). Giusto per approcciarmi in maniera soft prendo il primo battello da Zurigo Bürkiplatz e mi godo il docile ondeggiare verso la parte meridionale del lago Ripresa con un drone da un'altezza di 300 metri: Arnstein, il punto più alto dell'Ufenau con i suoi 17 metri, si trova a destra del molo. Foto: Emanuel Ammon/Aura Cartina del 1844 dell'isola di Ferdinand Keller Dal 1857 i battelli a vapore attorcano a Ufenau. Da quel momento si assiste a un incremento di visite sull'isola e con esso souvenirs come questa cartolina degli anni 1900 Preistoria Le tracce della presenza umana su Ufnau risalgono alla preistoria. I resti di un tempio gallo-romano del II/III secolo d.C. dimostrano che l...