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Diogene di Sinope - cercarsela con il lanternino

Dopo un primo entusiasmante incontro incrocio di nuovo il cane pazzo dei filosofi: Diogene. 
Scopro che uno dei detti che utilizzo spesso a che vedere con lui. Non chiedevo altro per potermi di nuovo chinare su di lui

Andarsela a cercare con il lanternino

In modo ironico, oggi cercare con il lanternino significa cercare qualcosa con estrema cura ed impegno ma che, una volta trovata, si rivela essere un grattacapo.
Il lanternino è una piccola lanterna, perlopiù costruita con vetri colorati.
Mutuato dal modo di dire in oggetto esiste anche: andarsele a cercare con il lanternino.

Forse in pochi sanno che il modo di dire deriva da uno dei più stravaganti filosofi della storia: Diogene il cinico.
Capelluto, barbuto, sempre a piedi scalzi, incallito petomane, bisaccia a tracolla su un fianco, bastone in mano, con indosso un doppio mantello che gli avvolgeva il corpo maleodorante e gli faceva da coperta nel sonno, dopo aver trascorso la notte nella famosa botte (una grande anfora), Diogene era solito camminare per le strade di Atene con in mano una lanterna accesa in pieno giorno, che ruotava a mulinello puntandola verso i passanti e chiedendo loro:

«Cerco l'uomo, lo avete visto? Dov'è?» Era un modo provocatorio per dire che stava cercando qualcuno che sapesse vivere secondo la sua più autentica natura, ma non lo trovava.

Diogene intento a cercare "l'uomo" con il lanternino

La difficoltà di trovare l'uomo é riassunta in modo pragmatico in un altro celebre episodio legato al filosofo

Un giorno si presentò al mercato e chiamò a gran voce tutti gli uomini presenti, che gli si affollarono attorno per sentire cosa avesse da dire. Diogene iniziò allora a colpirli con il bastone, dicendo: «Ho chiamato uomini, non merde!».

La scuola cinica

La spiegazione dell’origine del termine “cinici”, da intendersi come “uomini che vivono alla maniera dei cani

La scuola cinica è una delle cosiddette «scuole socratiche minori», che fiorirono in tutta la Grecia tra il V e IV secolo a.C. (mentre Socrate era ancora in vita e anche dopo la sua morte). 
Essa si presenta soprattutto in forma di predicazione e si caratterizza per alcuni tratti: il rifiuto delle istituzioni e delle convenzioni sociali, il perseguimento della felicità mediante l'estinzione dei desideri, l'identificazione della virtù con la vita secondo natura, l'idealizzazione dell'ascesi come strategia di autocontrollo.

Per i cinici, l'autentica felicità risiede quindi nel principio di autodeterminazione intellettuale e fisica, e nel rifiuto delle ricchezze e dei lussi. Nei confronti del denaro, in particolar modo, provano una profonda avversione, in quanto esso ha il perverso potere di abbrutire le persone e renderle meschine. 

Fedeli alla tradizione socratica, i cinici sostengono che un uomo può essere padrone di sé solo se riesce a considerare la saggezza come l'unica moneta di valore e se, in nome di essa, è disposto a barattare tutte le altre cose. 

Scuola cinica applicata 

Diogene si profuma i piedi e non la testa, cammina all'indietro, defeca in pubblico, d'estate si rotola sulla sabbia ardente e d'inverno abbraccia le statue coperte di neve. Si riconosce pienamente in un cane perché riesce a soddisfare ogni sua necessità all'aria aperta, e senza bisogno di denaro. E quando, in segno di disprezzo, gli lanciano degli ossi, non si fa scrupoli a mangiarli, ribaltando così sui detrattori l'idiozia di quel gesto.

Diogene quando passeggia per il mercato, è solito esclamare che di tutte quelle merci esposte non gli serve nulla, e che il vero povero è colui che desidera più di ciò che gli serve o che può acquistare. 

Si narra, addirittura, che una volta, entrato nella casa di un nobile molto ricco, vedendo tutte le meraviglie e le ricchezze di quella abitazione, sputò in faccia al padrone di casa, giustificandosi con il fatto di non aver trovato un altro punto della casa abbastanza brutto su cui poterlo tare.

Inerente l'estinzione dei desideri un giorno lo videro mentre chiedeva l’elemosina ad una statua e interrogato sul perché lo facesse rispose: «Mi esercito a fallire il mio scopo!».

Diogene e Alessandro Magno

Anche l'episodio del presunto incontro tra Diogene e Alessandro Magno, di cui esistono molteplici varianti, è emblematico del modo di essere e di vivere del Cane Pazzo.

Plutarco ci offre la versione più dettagliata e forse più attendibile. Quando il Macedone si trovò a Corinto, tutti i politici, gli intellettuali e gli artisti si recarono da lui per rendergli onore e congratularsi di persona per le vittorie militari.

Tutti tranne uno: Diogene di Sinope. Il grande condottiero, sapendo della presenza in città del celebre filosofo cinico, si aspettava che, da un momento all'altro, costui si recasse al suo cospetto. Ma, dal momento che Diogene non lo degnava della benché minima attenzione, continuando invece a godersi i piaceri dell'ozio nel sobborgo di Craneion, Alessandro Magno, infastidito quanto incuriosito, decise di recarsi di persona a rendergli visita, e lo trovò disteso e rilassato al sole. 

Percependo un fastidioso vociare e tanta gente venire verso di lui, il filosofo sollevò leggermente lo sguardo e vide di fronte a sé la figura elegante e maestosa del sovrano che aveva sconfitto l'immenso impero persiano.


Gli occhi dei due si incrociarono e Alessandro gli si rivolse salutandolo e chiedendogli se desiderasse qualcosa. A tale domanda, Diogene rispose serafico e distaccato: «Si, vorrei che ti spostassi e non mi coprissi il sole». Mai nessuno aveva osato rivolgersi in tal modo al più grande re della storia.

Mai nessuno prima del Cane Pazzo, ovviamente. Eppure, i testimoni raccontano che il Macedone fu talmente colpito da questa frase insolente, e ammirò tanto la superbia e la grandezza di quell'uomo che non mostrava alcun rispetto o timore nei suoi confronti, ma solo disprezzo e distacco, che, allontanandosi, disse ai fedeli seguaci, ancora divertiti dalla stravaganza e dalla follia del filosofo: «Davvero, credetemi: se non fossi Alessandro, vorrei essere Diogene».

Diogene e Carlo Magno

La morte 

Di Diogene non ci sono pervenuti scritti, ma innumerevoli e stravaganti aneddoti, spesso sospesi tra il comico e tragico, che restituiscono l'immagine di un filosofo radicalmente anticonformista e alternativo, nel pensiero come nella vita, aiutandoci, tra mito e realtà, a immaginare e interpretare la sua morte.

Un giorno molto afoso mentre passeggiava in città Diogene fu deriso da un gruppo di uomini che lo conoscevano
Mettendo da parte per un istante l'indifferenza, Diogene si avvicinò allora con calma al gruppetto di uomini vocianti, e in tono risoluto ma pacato disse: 

«Cosa vi spinge ad aprire la bocca in modo così sguaiato? Se avete tanta aria in corpo da buttar fuori, potete sempre fare dei peti: sarebbero certamente meno sgradevoli delle vostre insulse parole».

«Ma come ti permetti di rivolgerti a noi in questo modo, sporcaccione insolente!» reagirono quelli con ancor più prepotenza. «Tornatene nella tua botte a mangiare carne cruda, e non mettere mai più piede in questa piazza! Siamo stanchi delle tue idiozie. Chi credi di essere? Cosa pensi di poterci insegnare?»

Diogene li guardò con aria di manifesta superiorità e disse: «Credo di non essere nessuno, ma penso di potervi insegnare molte cose, come ad esempio l'arte di vivere e morire».

«E quale sarebbe tale arte?»

Il filosofo lasciò trascorrere alcuni istanti e poi rispose:
«Vi posso mostrare come la volontà e l'autodeterminazione possano rendere l'uomo libero, saggio e felice».

«E come ci insegneresti tutto ciò?» domandarono, quasi in coro, gli uomini della piazza.

«Semplice, ve lo insegnerò mettendo in pratica le mie teorie. Vi mostrerò come la forza di volontà, se ben esercitata e controllata, possa superare limiti che crediamo, apparentemente, insuperabili.»

Tra gli uomini si fece silenzio: di cosa stava parlando?

Che stava mai architettando quel pazzo scorbutico? 
Poi Diogene riprese la parola: «Chi ha il controllo di sé, può fare qualsiasi cosa. E io oggi, qui davanti a voi, mi toglierò la vita trattenendo il respiro».

È così fece.

Un altra versione vuole che il filosofo morì dopo aver ingurgitato un polipo crudo.
Insomma, due modi di togliersi la vita sicuramente di nicchia. ma confacenti al personaggio

Cartone della "scuola di Atene" presso l'Ambrosiana a Milano. Si lo svaccato sugli scalini é lui

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