Passa ai contenuti principali

La peste di San Carlo in Leventina

Per ogni individuo dotato di un minimo di senso di osservazione risulterà piuttosto evidente notare il ripetersi di diverse figure nelle chiese ed edifici religiosi nella media e bassa val Leventina. Questa "ossessione" per determinate figure fanno pensare a "qualcosa di sconvolgente" che sta a monte.

Ed infatti così é.

Un esempio su tutti questa scena dipinta sulla facciata della chiesa di San Lorenzo a Rossura.


Non sono purtroppo in grado di dire le circostanze che costringono le due persone a letto con tanto di presenza di santità mentre accoglie un altra figura femminile che compare ai piedi del letto; una cosa appare certa: il tutto non lascia presagire nulla di buono.

San Sebastiano e San Rocco

Quello che si nota con più facilità é la presenza costante di due santi, spesso dipinti assieme: San Sebastiano e San Rocco: li trovo un po' ovunque

Chiesa San Lorenzo di Rossura

In una piccola cappella adiacente la chiesa di Chiggiogna

San Rocco e Sebastiano all'interno della parrocchia di Chiggiogna

Oratorio di Giornico

Entrambi sono facilmente riconoscibili: San Sebastiano é sempre raffigurato legato ad un palo e trafitto da molte frecce. Le frecce rappresentano il virus scagliato da Dio verso l'umanità peccaminosa, San Sebastiano fa da scudo. 

All'oratorio di Giornico ho modo di osservarlo per la prima volta mentre gli vengono scagliati i dardi.

Un conto é colpire una mela, molto più da infami un corpo da così vicino oltretutto

San Rocco é rappresentato vestito da pellegrino con il caratteristico bastone
Spesso si indica una postula del virus sulla gamba. In vita San Rocco curò molti malati di peste in Italia, salvo poi ammalarsi lui stesso. Si rifugiò in un bosco e sopravvisse grazie ad un cane che gli portava ogni giorno del cibo. A volte anche il cane é rappresentato con il santo.

Una così marcata presenza dei due santi rispecchia bene il clima di terrore causato dalla peste

San Carlo

La terza presenza, anch'essa molto ricorrente, é quella di un ecclesiastico, facilmente riconoscibile come San Carlo, oltre all'abbigliamento il nasone di Carlone cancella qualsiasi eventuale dubbio residuo

Chiesa di Calonico

Il 1500 fu caratterizzato dalle riforme protestanti di Lutero, Zwingli e Calvino: tali dottrine avrebbero potuto diffondersi anche a sud delle Alpi se non avessero trovato a ostacolarle da un lato l'autorità secolare di Uri e dall'altro la figura straordinaria del cardinale Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano: uomo di nobile famiglia, ricco non solo di censo ma anche di virtù morali, convinto delle idee e della causa che sosteneva non esitò a recarsi varie volte nelle Valli dell'Alto Ticino, ignorando fatiche, pericoli e disagi. Egli stesso scrisse: «Per una tendenza particolare della mia anima ho sempre amato grandemente la Svizzera; ovunque l'ho protetta e ho sempre con tutto il cuore difeso la sua causa e i suoi interessi». 

Egli fu tra i fautori del concilio di Trento, applicandone i decreti e vivendone lo spirito. Egli si impegnò sempre a correggere le deviazioni morali e religiose, a ristabilire la disciplina del clero, la vita e la pratica della fede.

1567 - La prima visita in Leventina

Venne San Carlo per la prima volta in Leventina nell'ottobre del 1567.
Era di modi affabili e concilianti, oggetto di rispetto e di riverenza da parte di tutti. In Leventina trovò un clero indisciplinato, ignorante e corrotto.

Scrive il Giussano: 
«Attendevano i sacerdoti a traffici e negozi mondani per sordida avarizia, ed erano tanto negligenti, e trascurati circa la custodia e servizio delle Chiese, e cura delle cose sacre, che non poteva esser di peggio, e per modo, che non vi appariva quasi più segno di religione».

Molti erano ammogliati, 24 di loro tenevano in casa una concubina, colla loro numerosa prole. Saputo dell'imminente arrivo del Cardinale i preti della Valle fecero di tutto per ostacolare la venuta dell'arcivescovo, in una riunione tenuta a Biasca alla presenza dei vicari di Blenio, Riviera e Leventina.

Scrive ancora il Giussano: «Era motivo di grande meraviglia e stupore per quelle genti, il vedere un arcivescovo e cardinale di Milano, scendere e salire per valli e monti, a piedi, per istrade erte, patir incomodi, e disagi d'ogni sorta, dormire sopra le tavole, e mangiar cibi grossi».

In occasione di questa prima visita consacrò nella terza domenica di ottobre la chiesa di Faido. Egli si spinse fin sul San Gottardo dove, non avendovi trovato che una piccola osteria, vi fondò un beneficio con 100 scudi di rendita perché vi si stabilissero due preti dell'ordine degli oblati, ai quali succedettero poi i frati cappuccini. 

Scrive sempre il Giussano che «il cibo non era al di là di frutta, minestre ed una pietanza, il più era pane ed acqua». 

Non senza fatica riuscì a riportare gli ecclesiastici sulla retta via e ristabili il popolo nella fede cattolica. Al termine della visita convocò il clero delle tre valli e lo esortò a vivere esemplarmente e a guidare il gregge a lui affidato per la strada della salute eterna. Egli dette inoltre prova di grande liberalità pagando di tasca propria tutte le spese della visita.

1570 - La seconda visita

Dopo il tentativo di assassinio con un colpo di archibugio nel Duomo di Milano da parte di un frate degli Umiliati, un certo Farina, egli venne altre tre volte nelle tre valli. Nel 1570 dopo aver percorso tutta la Leventina si recò anche Oltralpe: a Einsiedeln il 30 agosto si prostrò davanti a Nostra Signora degli eremiti: la gioia gli fece dire: «Fuori della Santa Casa di Loreto non ho mai gustato né veduto loco di maggior divozione».

A Lucerna nel convento dei Francescani trovò una taverna in cui facevano servizio le donne: egli subito fece chiudere la scandalosa taverna. A Obvaldo si recò a pregare sulla tomba di Nicolao della Flühe, che egli considerava già un santo quasi 400 anni prima della sua canonizzazione!

A Disentis onorò i santi Placido e Sigisberto. Ovunque venne accolto con onori e rispetto, anche da parte dei protestanti colpiti dalla sua coerenza e dal suo esempio e dal suo eroismo nel servizio pastorale.

Chiesa di Chiggiogna

1577 - La terza visita

Nel 1577 venne ancora una volta nelle tre valli per mantenere la disciplina del clero, assiduo frequentatore delle osterie e sempre più corrotto, e perché non gli garbava che le cause fra ecclesiastici e laici fossero lasciate al potere secolare. A Faido minacciò di scomunica chi aveva preso decisioni contrarie agli insegnamenti della Chiesa. 

Rimane indimenticabile il suo passaggio del Ceneri fra freddo, ghiaccio, neve e oscurità. L'arcivescovo e i suoi accompagnatori giunsero a Quartino a piedi, «a quattro gambe» dice il cronista, e con le mani ferite e sbucciate per le continue cadute sul ghiaccio.

1581 - La quarta visita

La quarta visita avvenne nel 1581. Giunto a Magadino, essendogli morti in un incendio i muli, si munì di un bastone e procedette a piedi fino a Bellinzona. Percorse tutta la Leventina e a inizio agosto fu sul San Gottardo, celebrò la Messa e rilevò che gli ordini che erano stati dati nel 1567 non erano stati eseguiti. Ordinò perciò che le reliquie sull'altare fossero chiuse e date in custodia al parroco di Airolo. 

Il 4 agosto discese a visitare la chiesa parrocchiale di Sant'Eusebio di Bedretto e la trovò in uno stato passabile, visitò poi l'oratorio di San Rocco che trovò troppo piccolo. Il 5 agosto ad Airolo celebrò messa e amministrò la Cresima. Dopo la messa tenne un sermone al popolo. Si recò quindi al paesino di Valle ma non poté visitare l'Ospedale perché i deputati chiamati non comparvero.

Chiesa Chiggiogna

Il 6 agosto visitò la chiesa di Prato di cui consacrò la campana maggiore. Riguardo agli abitanti del villaggio osservò che erano molto dediti al vino. 

L'11 agosto era a Faido accolto dal parroco e da gran concorso di popolo e accompagnato in processione sotto il baldacchino alla chiesa di Sant'Andrea dove tenne sermone e benedizione. Il giorno seguente amministrò la cresima. 

Annotò il cardinale che: «La scuola della dottrina cristiana non si tiene a motivo del pericolo della peste, di cui morirono non pochi di questa Parrocchia, né del tutto è cessata». La popolazione di Faido infatti all'epoca della visita del Borromeo a causa della peste era ridotta a solo 230 anime.

Chiesa di Calonico

Annota inoltre l'arcivescovo che «gli uomini della Parrocchia di Faido sono occupati al lavoro dei loro fondi e a condurre merci coi cavalli e molto propensi al vino, ai giochi e al ballo». E infine prese molte decisioni punitive per ridurre i sacerdoti all'osservanza della disciplina ecclesiastica. 

E tanto operò San Carlo Borromeo che i sette cantoni cattolici giurarono la così detta Lega Borromea: fu consentito che un nunzio papale mettesse piede in Svizzera e che vi si stabilissero i Gesuiti, dapprima a Lucerna e poi a Friburgo, che godevano di grande considerazione presso il Borromeo. Vennero introdotti i Cappuccini (i primi a Lucerna nel 1583) e si operò perché i preti fossero sottratti ai tribunali ordinari.

Nel 1583 il Borromeo, accompagnato da altri 3 teologi e dal famoso inquisitore Borsato, si recò in val Mesolcina e val Calanca dove vennero torturati e dati alle fiamme quanti eretici e streghe furono trovati.
 

Episodio nella chiesa di Chiggiogna

A Bellinzona non trovò le cose in miglior stato: usure smodate, sacerdoti simoniaci e viventi in pubblica disonestà. Dopo avervi dimorato a lungo si portò ad Ascona per fondarvi il Collegio Papio. Vi tornerà per l'ultima volta il 30 ottobre 1584 e nel viaggio di ritorno, dopo una notte trascorsa a Cannobio, venne colto da febbre altissima (di origine malarica che aveva contratto probabilmente sul piano di Magadino) e morì sulla barca che lo stava portando a Milano il 4 novembre 1584 a 46 anni di età: verrà canonizzato nel 1610, ma il popolo cattolico lo aveva subito annoverato fra i santi. 

San Carlo Borromeo nella parrocchia di Calonico

Il suo eroismo nel servizio pastorale destò sempre ammirazione ed esultanza. Egli si impegnò per il bene delle anime ma anche, a livello culturale e sociale, per il migioramento del tenore di vita delle popolazioni. Eglí credette nel valore della gente delle tre Valli conoscendone resistenza fisica e dedizione

Invitò dalle tre Valli ma in ispecie dalla Leventina a Milano «per servir gli appestati quaranta uomini e dodici donne e il sacerdote Leonardo de Leonardi».

Forse fu San Carlo durante la peste di Milano poi detta di "San Carlo" a suggerire il nome di "monatti", dal tedesco monatlich, perché essi venivano pagati una volta al mese.

La peste

Arriviamo finalmente al nocciolo: la peste.
La presenza di questi santi testimonia il clima di terrore e senso di impotenza assoluto durante le ondate di peste.
Proviamo a metterci nel panni della popolazione, afflitta da un tremendo virus che nel giro di pochi giorni o ore porta ad una terribile morte; nessuno sa da dove arrivi esattamente il morbo, tutte le cure indicate dai dottori (sempre che non si siano dati alla fuga) risultano completamente inutili. Si é completamente in balia della morte, unica speranza é affidarsi ai santi sulle cui spalle incombono tutte le speranze di salvezza.

Doveva essere terribile, una sensazione di "fine del mondo". 

Questo giustifica i primi due personaggi, San Rocco e Sebastiano, "specializzati" ed invocati per il terribile morbo

La peste di San Carlo (1576-77)

Tutte le ondate susseguenti alla terribile 1348-1350 furono vissute in maniera diversa dalla popolazione, l'"effetto sorpresa" era svanito.

È chiamata peste di San Carlo la terribile pestilenza che colpì il territorio milanese nel biennio 1576-1577.

Il contagio si verificò durante l'episcopato milanese di san Carlo Borromeo che, proprio nel 1576, aveva ottenuto l'estensione a Milano del giubileo romano dell'anno precedente. 

Grande fu l'affluenza a Milano dei fedeli provenienti dalle località circostanti, ma il giubileo milanese durò solo poche settimane: il 17 aprile il governatore spagnolo Antonio de Guzmán, preoccupato per i casi di peste verificatisi a Venezia e Mantova, limitò prima i pellegrinaggi in città vietandoli poi definitivamente quando a luglio si registrarono i primi episodi anche a Milano e l'11 agosto la pestilenza divenne conclamata. 

Mentre il governatore spagnolo e i notabili lasciavano la città per luoghi ritenuti più salubri, l'arcivescovo, allora a Lodi, rientrò subito a Milano e da quel momento, con l'autorità della sua carica e simbolo del cristianesimo militante, si prodigò con ogni mezzo per portare soccorso agli ammalati divenendo l'"unico refrigerio" di Milano appestata.

Cesare Nebbia «San Carlo e la peste a Milano» Pavia, Almo Collegio Borromeo

Alcune testimonianze raccolte durante questa ondata di peste

"...anzi era ferma credenza che in niun'altra maniera esso (il morbo della peste) potevasi allontanare che con le processioni e i riti religiosi...."

"...il 17 ottobre 1565..... "Di verso Vallese ritruovo che la città di Sion é tutta infetta, eccetto due case, e la causa é che se sono tornati a mescolare per fare le vendemmie e così da Sion in qua pochi luoghi sono sani..."

1549 - Baden, 4 settembre "La strada da Milano al Gottardo fu chiusa negli ultimi giorni a causa della peste che regna ora in alcune località della Confederazione"

1561 - Friborgo, 2 ottobre. Lucerna si lagna di merci che passano nei balliaggi, provenienti da Basilea. Su decide dalla Dieta che le merci importate da luoghi infetti o transitati per terre infette di peste siano controllate dai rispettivi balivi.

1564 - Friborgo, 2 ott. Il rappresentante di Lucerna si lagna che le merci provenienti da Basilea e che transitano per il Gottardo vengono fermate, col pretesto che esse vengono e passano per luoghi infetti di peste.

1575 - Lucerna, 4 luglio. Lucerna propone alla dieta che, causa i tempi infelici, la carestia, la peste, la guerra si proibiscano le danze, i giuochi, i trattenimenti, le processioni per distornare l'ira di Dio e calmarla.

1576 - Il rappresentante di Uri alla dieta riferisce che i luganesi ed i locarnesi, per timore della peste, ostacolano il transito o causano spese a quelli che vanno nelle loro terre per comprar vino o per altri affari

1577 - Si riferisce che durante la peste nessun forastiero può entrare senza lavarsi e disinfettarsi

La peste a Giornico


L'oratorio di San Carlo Borromeo fu edificato nel 1631
Esso fu fortemente voluto dagli abitanti di Giornico sopravvissuti alla peste del 1630.

L’Oratorio è dedicato a San Carlo Borromeo, al quale è riconosciuto un ruolo importante nella lotta contro l’epidemia di peste diffusasi a Milano nel 1576, e ai due Santi Rocco e Sebastiano ritenuti taumaturgici e quindi protettori contro questo tipo di contagio.

La peste colpì la Svizzera con epidemie ricorrenti dalla metà del XIV sec. fino alla fine degli anni 1660-70.

Fra luglio e agosto del 1630 questa malattia infettiva causò ben 265 decessi a Giornico. In vita restarono solo 122 persone, quasi tutti abitanti della frazione distaccata, e quindi lontana dalla via di transito principale, di Altirolo. L’anno successivo, i pochi sopravvissuti fecero erigere l’Oratorio in onore di San Carlo Borromeo e dei Santi Rocco e Sebastiano, protettori contro le pestilenze. 

All’interno dell’edificio, sul lato destro della navata, è possibile vedere una tela che raffigura San Carlo in ginocchio affiancato da Rocco e Sebastiano, che pregano la Vergine in Cielo. 

I tre personaggi collegati alla peste finalmente riuniti in un unico dipinto

Una scritta sulla destra informa che la stessa è stata offerta per voto e grazia ricevuta da Baldassare e Barbara Sobrio, due abitanti scampati all’epidemia.


La chiesetta venne dedicata a San Carlo Borromeo anche perché il suo ricordo era probabilmente ancora molto vivo nella popolazione. In anni precedenti, come abbiamo visto, l’allora cardinale era giunto a più riprese in Valle Leventina, a dorso di un mulo, tra il 1567 e il 1584 (anno della sua morte).

Secondo la voce popolare, il morbo si era diffuso a Giornico portato da 12 paesani che erano stati a Milano per partecipare ad una processione con il corpo di San Carlo Borromeo per le vie della città.

La peste a Calonico

Il dipinto di Calonico é la raffigurazione che più si avvicina a questo senso di disperazione 


La tenda gialla al centro ricorda le stesse riportate nel dipinto di Bironico e richiama ad un lazzareto.

Le scene sono di disperazione: diversi appestati figurano al centro della scena, a terra, seminudi, madri con figli, abbracciati mentre la peste li strappa lentamente alla vita. Anche in secondo piano persone apparentemente nude a terra si contorcono, siano esse a gruppi, isolate o nelle tende.

In basso si intravede una fossa già scavata e pronta ad accogliere le prossime vittime

Ci sono poi persone che osservano impotenti, un uomo sulla destra si porta un fazzeletto agli occhi per asciugarsi le lacrime, una donna sulla sinistra brandisce un rosario mentre altrei deu personaggi completamente a sinistra sembrano rasseganti.

Al centro due persone a cavallo: uno in nero (parroco Basso di Biasca?) e in rosso con aureola schizzata Carlo Borromeo. La scritta sotto il dipinto non lascia spazio ad alcun dubbio

Commenti

Post popolari in questo blog

Tradizioni molto svizzere

Dopo anni di tentennamenti decido finalmente di partecipare ad un avvenimento che nella Svizzera tedesca é assolutamente irrinunciabile: la festa federale che si tiene ogni tre anni. Oggi saró circondato da svizzeri che fanno cose molto svizzere. Moltissime tradizioni svizzere in questo disegno creato appositamente per la festa federale 2025, se volgiamo cercare il pelo nell'uovo manca l'Hornuss La prima cosa che noto già nell’avvicinamento sul treno é il consumo di birre in lattina con conseguente coda davanti alle toilette, questo anche se ci troviamo a primo mattino I più impavidi sortiscono dagli zainetti i bicchierini da cichett e brindano a non meglio identificate entità. Il lieve aroma di schnapps alle prugne si diffonde nell’area del vagone. Seguono racconti gogliardici accompagnati da grasse risate. Purtroppo non conosco bene l’idioma svizzerotedesco e non riesco a percepire se il genere di sense of humor degli allegri compagni di viaggio farebbe sganasciare pure me....

Anima di donna dannata scovata!

Due anni! Due anni per trovare questo misterioso ed unico quadro nel suo genere in terra ticinese. O almeno che io sappia. Anonimo l’autore mentre il titolo che lo accompagna recita “ anima di donna dannata ”. Purtroppo é andata persa la fonte dove ho preso questa informazione così come una foto piuttosto sfuocata dell'opera. Impossibile trovare il quadro in rete. Non restava che trovarlo in carne e ossa.  Oggi con grande piacere lo schiaffo bellamente dietro il mio faccione sotto qualche riga di testo introduttivo con tanto di indicazione nella didascalia di dove si può ammirare.  Così come a Parigi ci si selfa davanti alla torre Eiffel ad Ascona lo si fa davanti ad anime dannate Toh! “Anima di donna dannata», tela di autore anonimo della prima metà del Seicento (Ascona, Museo parrocchiale presso l’oratorio dei santi Fabiano e Sebastiano ). P.S. E fattelo un selfie ogni tanto...si cazzo! Oggi si! Mi sembra di essere il cacciatore che si fa fotografare con il cervo subito dopo...

Strada dei banchi e lago di Sabbioni

La strada dei banchi per un airolese é un classico, anzi un must. È la strada che corre in alto sul fianco della montagna lungo tutta la valle Bedretto. È esattamente l'equivalente della strada alta, quella della "famosa canzone" di Nella Martinetti, ma dall'altro versante della valle Bedretto. Oggi in aggiunta un bonus, che si rivela una perla che impreziosisce e di molto il giro, una deviazione al lago di Sabbioni. La strada dei banchi La strada dei banchi rispetto all strada alta presenta delle differenze sostanziali, ha molta poca ombra, é molto meno frequentata e all'apparenza potrebbe risultare più monotona. Per buona parte la strada é costituita da una carrabile che serve per collegare le varie alpi, poi ad un certo punto diventa sentiero, più precisamente in vista dell'arrivo del riale di Ronco che presente l'unico vero e proprio strappo del percorso. Come dicevo la strada dei banchi é un must per un Airolese, in pratica questa strada porta ai pied...

Chasa Chalavaina

Non son solito fare post dedicati agli alberghi, ma questo, come l’ hotel Dakota,  riporta eventi storici e merita una menzione  a parte. Chi entra in questa casa respira la storia e per uno come me non c'é nulla di più entusiasmante L'albergo sulla centralissima piazza di Müstair. Il monastero é a circa 100 passi di distanza Sopra la porta tutta a destra la mia stanza per una notte Nel 1254, la Chasa Chalavaina fu menzionata per la prima volta come locanda.  Questa casa è unica perché rappresenta l'hotel più antico della Svizzera.  1930 (?) La locanda, situata nella strada principale di Müstair, si trova a pochi passi dal monastero di St. Johann, patrimonio dell'Unesco. L'hotel comprende 18 camere, un ristorante, una cucina "colorata" di nero dalla fuliggine e un ampio giardino. Dove un tempo dormivano galline, gatti e capre, oggi ci sono camere per gli ospiti. Le stanze sono in parte arredate con mobili in legno secolari e in tutta la casa si trovano ute...

Il Dazio Grande e la via delle genti

Orson Wells afferma che gli svizzeri in 500 anni sono riusciti a creare ben poco, in particolare: "In Italia sotto i Borgia, per trent'anni, hanno avuto assassinii, guerre, terrore e massacri, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e che cos'hanno prodotto? Gli orologi a cucù." Orson Wells - Il terzo uomo - fim 1949 Possiamo tranquillamente affermare che gli urani hanno seguito la stessa falsa riga per quanto riguarda il baliaggio di Leventina: in oltre 300 anni sono riusciti “solo” a migliorare la viabilità presso la gola del piottino (e di conseguenza fabbricarci il redditizio Dazio grande) . Le virgolette sul solo stanno comunque a sottolineare la difficoltà di costruire una strada in quel punto, questo senza nulla togliere alla difficoltà nel costruire un orologio a cucù che meritava forse anch’esso sarcasticamente le stesse virgolette nella battuta di Well...

Sulla strada per Beromünster

Domenica 10 agosto 2025. Sono seduto su di un bus in stazione a Lucerna. A momenti partirà e in men che non si dica lascerà la città per addentrarsi nelle campagne lucernesi. Ed é proprio questo che amo, essere portato in quello che nel film Trainspotting viene definito “il nulla”. La mia esplorazione oggi mi porterà da una cappella in piena campagna fino al villaggio di Beromünster. La cappella e il nome del villaggio posto come traguardo intrigano (Beromünster si chiamava fino al 1934 semplicemente Münster, monastero). Sono 7 km completamente piatti in una rovente giornata d’estate. Mi aspetto di vedere forse qualche giocatore di golf ad inizio percorso per poi isolarmi completamente tra campi e boschi fino all’arrivo, la tappa di per se non ha nulla che attiri le grandi masse, in Svizzera Mobile non fa nemmeno parte di un percorso a tema. Ma oggi per stare nella pace occorre ricorrere a questi tragitti di “seconda fascia”. La vera gioia sta nell’apprezzare quello che la natura o ...

Curon sul lago di Resia

Diciamo subito che io sappia non esistono altri Curon per cui si necessita aggiungere la precisazione “sul lago di Resia”. La scelta di aggiungere l’indicazione del lago é per facilitare la messa a fuoco del lettore. Se poi vogliamo esagerare sarebbe bastato dire “dove c’è la chiesa sommersa ed emerge solo il campanile." Sarebbe poi bastato aggiungere due foto del caso, da due angolazioni diverse e chiuderla lì, verso nuove avventure. Ma sarebbe stato “facile”, superficiale e maledettamente incompleto. Se il campanile compare un po’ ovunque, sulle portiere dei veicoli della municipalità agli ingombranti souvenir (vedi sotto) un motivo ci sarà.  Il classico dei classici. E non é legato all’aspetto “wow” che questo edificio immerso in uno scenario idilliaco suscita alla prima vista, come se si trattasse di un opera artistica moderna. C’è dell’altro. Basterebbe porsi semplici domande, ad esempio come si é giunti a tutto questo? Un inondazione? Una tragedia? Oppure é una semplice attr...

Kyburg e la vergine di Norimberga

Il tempo passa ma per la vergine di Norimberga presente al castello di Kyburg sembra non incidere, ache se poi vedremo che qualche ritocco l'ha necessitato pure lei. Che poi se ne possano dire finché si vuole ma la vera superstar del castello del castello di Kyburg é lei, proprio come aveva ben visto chi l'acquistò proprio per questo scopo «Vergine di ferro» I visitatori del castello si aspettavano sempre di vedere armi storiche e strumenti di tortura.  Appositamente per loro venivano realizzate delle «vergini di ferro». Matthäus Pfau acquistò il suo esemplare nel 1876 in Carinzia per mettere in mostra «il lato più oscuro del Medioevo».  A quel tempo, le forze conservatrici cercavano di reintrodurre la pena di morte, che era stata abolita poco prima in Svizzera. Attrazione turistica È risaputo che la Vergine di ferro fu inventata nel XIX secolo. Non vi è alcuna prova che in una simile cassa dotata di lame e con una testa di donna sia mai stata uccisa o torturata una persona....

Da Campo Valle Maggia a Bosco Gurin - parte II - Da Cimalmotto al passo Quadrella

Sbuco su Cimalmotto dal sentiero proveniente da Campo Valle Maggia verso mezzogiorno. Non mi aspetto di trovare spunti storici altrettanto avvincenti che a Campo, sarebbe impensabile in così pochi ettari sperare in tanto. Eppure.... Vista da Cimalmotto in direzione di Campo Valle Maggia di cui si intravede il campanile in lontananza Ci sono due elementi geologici che caratterizzano questa parte della valle: la frana che domina la parte inferiore e il pizzo Bombögn che sovrasta la parte superiore. Campo Valle Maggia e Cimalmotto sono l'affettato di questo ipotetico sandwich Chi visita Campo e le sue frazioni con occhio attento non può non rimanere esterrefatto dal contrasto fra la bellezza paesaggistica della zona e la ricchezza dei monumenti storici da un lato e la desolante povertà demografica dall’altro. I motivi sono diversi: innanzitutto Campo, al momento dell’autarchia più dura, era uno dei comuni più popolati della Valmaggia (nel XVIII superava i 900 abitanti; nel 1850 erano...

Mosé Bertoni

C'é una piccola sala nel museo di Lottigna, resta staccata dal complesso principale del museo, una piccola sala che per eventi sfortuiti (si con la "s" davanti) sono riuscito a vedere solo di sfuggita. Però quello che sono riuscito a assaggiare nei pochi momenti mi ha affascinato. Il classico ometto nato in un piccolo villaggio in una valle discosta per poi costruirsi una vita tutt'altro che scontata. Un personaggio amante delle tradizioni svizzere e dei principi anarchici, una combinazione piuttosto bizzarra per non dire incomprensibile. Si capisce fin dai primi momenti che si ha a che fare con un personaggio di nicchia, degno di un approfondimento. Mosè Bertoni verso il 1910 Foto F. Velasquez, Asuncion (Coll. priv.) Mosè Bertoni non è un uomo comune. Giovane irrequieto, dai molteplici interessi, impegnato politicamente tra i liberali innovatori e vicino all'anarchismo, a 27 anni decide di «dare un calcio a questa vecchia Europa» . Non è neppure un emigrante comu...