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La peste di San Carlo in Leventina

Per ogni individuo dotato di un minimo di senso di osservazione risulterà piuttosto evidente notare il ripetersi di diverse figure nelle chiese ed edifici religiosi nella media e bassa val Leventina. Questa "ossessione" per determinate figure fanno pensare a "qualcosa di sconvolgente" che sta a monte.

Ed infatti così é.

Un esempio su tutti questa scena dipinta sulla facciata della chiesa di San Lorenzo a Rossura.


Non sono purtroppo in grado di dire le circostanze che costringono le due persone a letto con tanto di presenza di santità mentre accoglie un altra figura femminile che compare ai piedi del letto; una cosa appare certa: il tutto non lascia presagire nulla di buono.

San Sebastiano e San Rocco

Quello che si nota con più facilità é la presenza costante di due santi, spesso dipinti assieme: San Sebastiano e San Rocco: li trovo un po' ovunque

Chiesa San Lorenzo di Rossura

In una piccola cappella adiacente la chiesa di Chiggiogna

San Rocco e Sebastiano all'interno della parrocchia di Chiggiogna

Oratorio di Giornico

Entrambi sono facilmente riconoscibili: San Sebastiano é sempre raffigurato legato ad un palo e trafitto da molte frecce. Le frecce rappresentano il virus scagliato da Dio verso l'umanità peccaminosa, San Sebastiano fa da scudo. 

All'oratorio di Giornico ho modo di osservarlo per la prima volta mentre gli vengono scagliati i dardi.

Un conto é colpire una mela, molto più da infami un corpo da così vicino oltretutto

San Rocco é rappresentato vestito da pellegrino con il caratteristico bastone
Spesso si indica una postula del virus sulla gamba. In vita San Rocco curò molti malati di peste in Italia, salvo poi ammalarsi lui stesso. Si rifugiò in un bosco e sopravvisse grazie ad un cane che gli portava ogni giorno del cibo. A volte anche il cane é rappresentato con il santo.

Una così marcata presenza dei due santi rispecchia bene il clima di terrore causato dalla peste

San Carlo

La terza presenza, anch'essa molto ricorrente, é quella di un ecclesiastico, facilmente riconoscibile come San Carlo, oltre all'abbigliamento il nasone di Carlone cancella qualsiasi eventuale dubbio residuo

Chiesa di Calonico

Il 1500 fu caratterizzato dalle riforme protestanti di Lutero, Zwingli e Calvino: tali dottrine avrebbero potuto diffondersi anche a sud delle Alpi se non avessero trovato a ostacolarle da un lato l'autorità secolare di Uri e dall'altro la figura straordinaria del cardinale Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano: uomo di nobile famiglia, ricco non solo di censo ma anche di virtù morali, convinto delle idee e della causa che sosteneva non esitò a recarsi varie volte nelle Valli dell'Alto Ticino, ignorando fatiche, pericoli e disagi. Egli stesso scrisse: «Per una tendenza particolare della mia anima ho sempre amato grandemente la Svizzera; ovunque l'ho protetta e ho sempre con tutto il cuore difeso la sua causa e i suoi interessi». 

Egli fu tra i fautori del concilio di Trento, applicandone i decreti e vivendone lo spirito. Egli si impegnò sempre a correggere le deviazioni morali e religiose, a ristabilire la disciplina del clero, la vita e la pratica della fede.

1567 - La prima visita in Leventina

Venne San Carlo per la prima volta in Leventina nell'ottobre del 1567.
Era di modi affabili e concilianti, oggetto di rispetto e di riverenza da parte di tutti. In Leventina trovò un clero indisciplinato, ignorante e corrotto.

Scrive il Giussano: 
«Attendevano i sacerdoti a traffici e negozi mondani per sordida avarizia, ed erano tanto negligenti, e trascurati circa la custodia e servizio delle Chiese, e cura delle cose sacre, che non poteva esser di peggio, e per modo, che non vi appariva quasi più segno di religione».

Molti erano ammogliati, 24 di loro tenevano in casa una concubina, colla loro numerosa prole. Saputo dell'imminente arrivo del Cardinale i preti della Valle fecero di tutto per ostacolare la venuta dell'arcivescovo, in una riunione tenuta a Biasca alla presenza dei vicari di Blenio, Riviera e Leventina.

Scrive ancora il Giussano: «Era motivo di grande meraviglia e stupore per quelle genti, il vedere un arcivescovo e cardinale di Milano, scendere e salire per valli e monti, a piedi, per istrade erte, patir incomodi, e disagi d'ogni sorta, dormire sopra le tavole, e mangiar cibi grossi».

In occasione di questa prima visita consacrò nella terza domenica di ottobre la chiesa di Faido. Egli si spinse fin sul San Gottardo dove, non avendovi trovato che una piccola osteria, vi fondò un beneficio con 100 scudi di rendita perché vi si stabilissero due preti dell'ordine degli oblati, ai quali succedettero poi i frati cappuccini. 

Scrive sempre il Giussano che «il cibo non era al di là di frutta, minestre ed una pietanza, il più era pane ed acqua». 

Non senza fatica riuscì a riportare gli ecclesiastici sulla retta via e ristabili il popolo nella fede cattolica. Al termine della visita convocò il clero delle tre valli e lo esortò a vivere esemplarmente e a guidare il gregge a lui affidato per la strada della salute eterna. Egli dette inoltre prova di grande liberalità pagando di tasca propria tutte le spese della visita.

1570 - La seconda visita

Dopo il tentativo di assassinio con un colpo di archibugio nel Duomo di Milano da parte di un frate degli Umiliati, un certo Farina, egli venne altre tre volte nelle tre valli. Nel 1570 dopo aver percorso tutta la Leventina si recò anche Oltralpe: a Einsiedeln il 30 agosto si prostrò davanti a Nostra Signora degli eremiti: la gioia gli fece dire: «Fuori della Santa Casa di Loreto non ho mai gustato né veduto loco di maggior divozione».

A Lucerna nel convento dei Francescani trovò una taverna in cui facevano servizio le donne: egli subito fece chiudere la scandalosa taverna. A Obvaldo si recò a pregare sulla tomba di Nicolao della Flühe, che egli considerava già un santo quasi 400 anni prima della sua canonizzazione!

A Disentis onorò i santi Placido e Sigisberto. Ovunque venne accolto con onori e rispetto, anche da parte dei protestanti colpiti dalla sua coerenza e dal suo esempio e dal suo eroismo nel servizio pastorale.

Chiesa di Chiggiogna

1577 - La terza visita

Nel 1577 venne ancora una volta nelle tre valli per mantenere la disciplina del clero, assiduo frequentatore delle osterie e sempre più corrotto, e perché non gli garbava che le cause fra ecclesiastici e laici fossero lasciate al potere secolare. A Faido minacciò di scomunica chi aveva preso decisioni contrarie agli insegnamenti della Chiesa. 

Rimane indimenticabile il suo passaggio del Ceneri fra freddo, ghiaccio, neve e oscurità. L'arcivescovo e i suoi accompagnatori giunsero a Quartino a piedi, «a quattro gambe» dice il cronista, e con le mani ferite e sbucciate per le continue cadute sul ghiaccio.

1581 - La quarta visita

La quarta visita avvenne nel 1581. Giunto a Magadino, essendogli morti in un incendio i muli, si munì di un bastone e procedette a piedi fino a Bellinzona. Percorse tutta la Leventina e a inizio agosto fu sul San Gottardo, celebrò la Messa e rilevò che gli ordini che erano stati dati nel 1567 non erano stati eseguiti. Ordinò perciò che le reliquie sull'altare fossero chiuse e date in custodia al parroco di Airolo. 

Il 4 agosto discese a visitare la chiesa parrocchiale di Sant'Eusebio di Bedretto e la trovò in uno stato passabile, visitò poi l'oratorio di San Rocco che trovò troppo piccolo. Il 5 agosto ad Airolo celebrò messa e amministrò la Cresima. Dopo la messa tenne un sermone al popolo. Si recò quindi al paesino di Valle ma non poté visitare l'Ospedale perché i deputati chiamati non comparvero.

Chiesa Chiggiogna

Il 6 agosto visitò la chiesa di Prato di cui consacrò la campana maggiore. Riguardo agli abitanti del villaggio osservò che erano molto dediti al vino. 

L'11 agosto era a Faido accolto dal parroco e da gran concorso di popolo e accompagnato in processione sotto il baldacchino alla chiesa di Sant'Andrea dove tenne sermone e benedizione. Il giorno seguente amministrò la cresima. 

Annotò il cardinale che: «La scuola della dottrina cristiana non si tiene a motivo del pericolo della peste, di cui morirono non pochi di questa Parrocchia, né del tutto è cessata». La popolazione di Faido infatti all'epoca della visita del Borromeo a causa della peste era ridotta a solo 230 anime.

Chiesa di Calonico

Annota inoltre l'arcivescovo che «gli uomini della Parrocchia di Faido sono occupati al lavoro dei loro fondi e a condurre merci coi cavalli e molto propensi al vino, ai giochi e al ballo». E infine prese molte decisioni punitive per ridurre i sacerdoti all'osservanza della disciplina ecclesiastica. 

E tanto operò San Carlo Borromeo che i sette cantoni cattolici giurarono la così detta Lega Borromea: fu consentito che un nunzio papale mettesse piede in Svizzera e che vi si stabilissero i Gesuiti, dapprima a Lucerna e poi a Friburgo, che godevano di grande considerazione presso il Borromeo. Vennero introdotti i Cappuccini (i primi a Lucerna nel 1583) e si operò perché i preti fossero sottratti ai tribunali ordinari.

Nel 1583 il Borromeo, accompagnato da altri 3 teologi e dal famoso inquisitore Borsato, si recò in val Mesolcina e val Calanca dove vennero torturati e dati alle fiamme quanti eretici e streghe furono trovati.
 

Episodio nella chiesa di Chiggiogna

A Bellinzona non trovò le cose in miglior stato: usure smodate, sacerdoti simoniaci e viventi in pubblica disonestà. Dopo avervi dimorato a lungo si portò ad Ascona per fondarvi il Collegio Papio. Vi tornerà per l'ultima volta il 30 ottobre 1584 e nel viaggio di ritorno, dopo una notte trascorsa a Cannobio, venne colto da febbre altissima (di origine malarica che aveva contratto probabilmente sul piano di Magadino) e morì sulla barca che lo stava portando a Milano il 4 novembre 1584 a 46 anni di età: verrà canonizzato nel 1610, ma il popolo cattolico lo aveva subito annoverato fra i santi. 

San Carlo Borromeo nella parrocchia di Calonico

Il suo eroismo nel servizio pastorale destò sempre ammirazione ed esultanza. Egli si impegnò per il bene delle anime ma anche, a livello culturale e sociale, per il migioramento del tenore di vita delle popolazioni. Eglí credette nel valore della gente delle tre Valli conoscendone resistenza fisica e dedizione

Invitò dalle tre Valli ma in ispecie dalla Leventina a Milano «per servir gli appestati quaranta uomini e dodici donne e il sacerdote Leonardo de Leonardi».

Forse fu San Carlo durante la peste di Milano poi detta di "San Carlo" a suggerire il nome di "monatti", dal tedesco monatlich, perché essi venivano pagati una volta al mese.

La peste

Arriviamo finalmente al nocciolo: la peste.
La presenza di questi santi testimonia il clima di terrore e senso di impotenza assoluto durante le ondate di peste.
Proviamo a metterci nel panni della popolazione, afflitta da un tremendo virus che nel giro di pochi giorni o ore porta ad una terribile morte; nessuno sa da dove arrivi esattamente il morbo, tutte le cure indicate dai dottori (sempre che non si siano dati alla fuga) risultano completamente inutili. Si é completamente in balia della morte, unica speranza é affidarsi ai santi sulle cui spalle incombono tutte le speranze di salvezza.

Doveva essere terribile, una sensazione di "fine del mondo". 

Questo giustifica i primi due personaggi, San Rocco e Sebastiano, "specializzati" ed invocati per il terribile morbo

La peste di San Carlo (1576-77)

Tutte le ondate susseguenti alla terribile 1348-1350 furono vissute in maniera diversa dalla popolazione, l'"effetto sorpresa" era svanito.

È chiamata peste di San Carlo la terribile pestilenza che colpì il territorio milanese nel biennio 1576-1577.

Il contagio si verificò durante l'episcopato milanese di san Carlo Borromeo che, proprio nel 1576, aveva ottenuto l'estensione a Milano del giubileo romano dell'anno precedente. 

Grande fu l'affluenza a Milano dei fedeli provenienti dalle località circostanti, ma il giubileo milanese durò solo poche settimane: il 17 aprile il governatore spagnolo Antonio de Guzmán, preoccupato per i casi di peste verificatisi a Venezia e Mantova, limitò prima i pellegrinaggi in città vietandoli poi definitivamente quando a luglio si registrarono i primi episodi anche a Milano e l'11 agosto la pestilenza divenne conclamata. 

Mentre il governatore spagnolo e i notabili lasciavano la città per luoghi ritenuti più salubri, l'arcivescovo, allora a Lodi, rientrò subito a Milano e da quel momento, con l'autorità della sua carica e simbolo del cristianesimo militante, si prodigò con ogni mezzo per portare soccorso agli ammalati divenendo l'"unico refrigerio" di Milano appestata.

Cesare Nebbia «San Carlo e la peste a Milano» Pavia, Almo Collegio Borromeo

Alcune testimonianze raccolte durante questa ondata di peste

"...anzi era ferma credenza che in niun'altra maniera esso (il morbo della peste) potevasi allontanare che con le processioni e i riti religiosi...."

"...il 17 ottobre 1565..... "Di verso Vallese ritruovo che la città di Sion é tutta infetta, eccetto due case, e la causa é che se sono tornati a mescolare per fare le vendemmie e così da Sion in qua pochi luoghi sono sani..."

1549 - Baden, 4 settembre "La strada da Milano al Gottardo fu chiusa negli ultimi giorni a causa della peste che regna ora in alcune località della Confederazione"

1561 - Friborgo, 2 ottobre. Lucerna si lagna di merci che passano nei balliaggi, provenienti da Basilea. Su decide dalla Dieta che le merci importate da luoghi infetti o transitati per terre infette di peste siano controllate dai rispettivi balivi.

1564 - Friborgo, 2 ott. Il rappresentante di Lucerna si lagna che le merci provenienti da Basilea e che transitano per il Gottardo vengono fermate, col pretesto che esse vengono e passano per luoghi infetti di peste.

1575 - Lucerna, 4 luglio. Lucerna propone alla dieta che, causa i tempi infelici, la carestia, la peste, la guerra si proibiscano le danze, i giuochi, i trattenimenti, le processioni per distornare l'ira di Dio e calmarla.

1576 - Il rappresentante di Uri alla dieta riferisce che i luganesi ed i locarnesi, per timore della peste, ostacolano il transito o causano spese a quelli che vanno nelle loro terre per comprar vino o per altri affari

1577 - Si riferisce che durante la peste nessun forastiero può entrare senza lavarsi e disinfettarsi

La peste a Giornico


L'oratorio di San Carlo Borromeo fu edificato nel 1631
Esso fu fortemente voluto dagli abitanti di Giornico sopravvissuti alla peste del 1630.

L’Oratorio è dedicato a San Carlo Borromeo, al quale è riconosciuto un ruolo importante nella lotta contro l’epidemia di peste diffusasi a Milano nel 1576, e ai due Santi Rocco e Sebastiano ritenuti taumaturgici e quindi protettori contro questo tipo di contagio.

La peste colpì la Svizzera con epidemie ricorrenti dalla metà del XIV sec. fino alla fine degli anni 1660-70.

Fra luglio e agosto del 1630 questa malattia infettiva causò ben 265 decessi a Giornico. In vita restarono solo 122 persone, quasi tutti abitanti della frazione distaccata, e quindi lontana dalla via di transito principale, di Altirolo. L’anno successivo, i pochi sopravvissuti fecero erigere l’Oratorio in onore di San Carlo Borromeo e dei Santi Rocco e Sebastiano, protettori contro le pestilenze. 

All’interno dell’edificio, sul lato destro della navata, è possibile vedere una tela che raffigura San Carlo in ginocchio affiancato da Rocco e Sebastiano, che pregano la Vergine in Cielo. 

I tre personaggi collegati alla peste finalmente riuniti in un unico dipinto

Una scritta sulla destra informa che la stessa è stata offerta per voto e grazia ricevuta da Baldassare e Barbara Sobrio, due abitanti scampati all’epidemia.


La chiesetta venne dedicata a San Carlo Borromeo anche perché il suo ricordo era probabilmente ancora molto vivo nella popolazione. In anni precedenti, come abbiamo visto, l’allora cardinale era giunto a più riprese in Valle Leventina, a dorso di un mulo, tra il 1567 e il 1584 (anno della sua morte).

Secondo la voce popolare, il morbo si era diffuso a Giornico portato da 12 paesani che erano stati a Milano per partecipare ad una processione con il corpo di San Carlo Borromeo per le vie della città.

La peste a Calonico

Il dipinto di Calonico é la raffigurazione che più si avvicina a questo senso di disperazione 


La tenda gialla al centro ricorda le stesse riportate nel dipinto di Bironico e richiama ad un lazzareto.

Le scene sono di disperazione: diversi appestati figurano al centro della scena, a terra, seminudi, madri con figli, abbracciati mentre la peste li strappa lentamente alla vita. Anche in secondo piano persone apparentemente nude a terra si contorcono, siano esse a gruppi, isolate o nelle tende.

In basso si intravede una fossa già scavata e pronta ad accogliere le prossime vittime

Ci sono poi persone che osservano impotenti, un uomo sulla destra si porta un fazzeletto agli occhi per asciugarsi le lacrime, una donna sulla sinistra brandisce un rosario mentre altrei deu personaggi completamente a sinistra sembrano rasseganti.

Al centro due persone a cavallo: uno in nero (parroco Basso di Biasca?) e in rosso con aureola schizzata Carlo Borromeo. La scritta sotto il dipinto non lascia spazio ad alcun dubbio

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