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Confraternita di San Giovanni alle Case Rotte

Quella della confraternita della buona morte trovata sul San Salvatore a Lugano fu uno dei miei primi post. Non nego che l'abbigliamento degli adepti, così come le mansioni, giocarono un ruolo decisivo per trattare l'argomento.

Come era prevedibile prima o dopo mi sarei di nuovo imbattuto in altre compagnie della buona morte, infatti trovo due dipinti nella pinacoteca di Como raffiguranti i confratelli di San Giovanni alle case rotte  (l'appellativo "alle Case rotte" è legato ai sanguinosi episodi avvenuti a Milano dopo la discesa in Italia di Enrico VII di Lussemburgo,1275-1313, re di Germania e imperatore del Sacro Romano Impero.)

I confratelli di San Giovanni alle Case Rotte

Nei due quadroni esposti sulla parete centrale di questa sala sono raffigurati gli ultimi momenti di un condannato a morte nella Milano di metà 600. Nella prima tela lo vediamo incatenato in carcere nelle ore che precedono l'esecuzione, mentre riceve i conforti religiosi da un gruppo di gentiluomini accompagnati da un frate capuccino. 

Il conforto del condannato - Agostino Santagostino - prima metà del XVII secolo

Nell'altro quadro il suo tragico destino si è compiuto, il boia incappucciato sta raccogliendo la sua testa da terra, mentre le mani senza vita dell'uomo sembrano contrarsi in un ultimo spasmo. Un prete benedice il cadavere, affiancato da una serie di uomini vestiti con cappello e mantellina bianca. Sono i confratelli di San Giovanni alle Case Rotte, un gruppo di laici, in molti casi di nobile origine, che avevano come scopo l'assistenza spirituale e materiale dei condannati alla piena capitale. 

La benedizione del decapitato - Giovanni Battista Costa - 1662 circa

Nella chiesa di Milano, presso cui avevano la loro sede e che fu demolita a inizio novecento, erano conservati tre dipinti, 1662 circa, che illustravano la loro attività, due dei quali sono quelli qui esposti. Da questo tele, in cui ogni volta un ritratto dipinto con il sobrio realismo tipico della pittura lombarda, emerge bene la dignità e la dedizione dei confratelli, che svolgevano un'importante funzione sociale nel complesso rituale dell'esecuzione in pubblico.

Il Registro de' giustiziati della Nobilissima Scuola di S. Gio. Decolato detto alle Case Rotte


Il Registro contiene un elenco di 3'124 esecuzioni alle quali i confratelli presero parte con l'opera pia di confortare e seppellire i condannati a morte. Probabilmente copia di un più antico testo andato perduto, il manoscritto è oggi conservato presso la Biblioteca Ambrosiana

È in quel registro che fra, le altre, sono registrate le condanne a morte e le esecuzioni dei due untori Guglielmo Piazza e Gian Giacomo Mora, giustiziati durante la peste del 1630 e riportati alla memoria dal Manzoni nel celebre saggio Storia della colonna infame (1840).

La prima condanna a morte riportata nel Registro è del 26 gennaio 1471, quando il Ducato era retto da Galeazzo Maria Sforza:

«1471 addì 26 Genaro Giustizia fatta a Vigentino, decapitata una Lucia Fontana et sepolta nel detto luogo»

Va notata la laconicità del testo: non viene infatti segnalato il crimine commesso dalla Fontana né da quale autorità fosse stata impartita la condanna a morte. Manca inoltre una descrizione più particolareggiata dell'esecuzione, cosa che invece nel registro verrà descritta con sempre più precisione negli anni della dominazione spagnola. 

Come notava il Benvenuti

«Le prime note si limitano all'indicazione del nome, nomignolo, età, paternità e giorno dell' esecuzione del condannato. In avanti, particolarmente dopo preso stabile piede la dominazione di Spagna, le rubriche diventano più colme e giungono non di rado, con ispagnolesca tronfia vacuità, a narrare con dettaglio i fatti incriminati e gli incidenti processuali»

Quando Milano cadde sotto il dominio spagnolo la pena capitale era già applicata nel Ducato retto da Galeazzo Sforza mediante impiccagione, decapitazione o messa al rogo; i luoghi ove venivano preparate le forche erano solitamente la piazza Mercanti -nei pressi del Duomo-, la piazza Vetra oppure il luogo dove il crimine era stato commesso. Per i nobili invece il patibolo veniva innalzato al Verziere, sul corso di Porta Tosa, oggi nei pressi di largo Augusto. 

I cadaveri venivano seppelliti nel cimitero della chiesa dagli Scolari di San Giovanni Decollato oppure direttamente sul luogo dove era stato comesso i crimine; il quel caso la sepoltura era data direttamente dal boia. Non di rado, però, capitava che del cadavere del giustiziato rimanesse poca parte da seppellire: soprattutto in epoca spagnola, infatti, la pena non si esauriva con la morte del condannato o con i tormenti ad esso inflitti prima dell'esecuzione: anche il cadavere era "oggetto della pena" e spesso accadeva che la colpa dovesse essere espiata anche dal cadavere stesso. 

Ne sono esempio le condanne per squartamento, quando accadeva che la testa e i quarti del giustiziato venissero esposti sul luogo del crimine come monito e come simbolo del crimine commesso. In quei casi poteva succedere che quanto rimaneva del giustiziato venisse lasciato per giorni esposto alle intemperie e all'azione degli animali: quanto restava veniva raccolto dagli Scolari e seppellito, con tutte le difficoltà del caso.

«La pena di morte non era esente da esacerbazioni. In alcuni casi il condannato si trascinava al patibolo, a coda di cavallo. In altri casi lo si poneva sopra un carro ed a determinate località lo si attanagliava al dorso fino a tre volte con ferro rovente. Avveniva ancora, specie ai ladri, che prima dell'appensione o decapitazione, gli si tagliasse una ed anche ambe le mani. Fatti cadavere li si lasciavano esposti fino alla notte, ed alcune fiate li si squartavano, si mandavano i quarti nei luoghi ove eransi commessi i misfatti, e di frequente non rimanevano alla Nobilissima confraternita, che le interiora da seppellire nella fossa comune pei condannati a S. Giovanni alle Case Rotte.»

Prigioniero trascinato a coda di cavallo

Ne è un esempio l'esecuzione di un tal Giorgio Senese nel 1552:

«1552. Adi 8 Giugno, Giustizia fatta In la Piazza Castello, fu squartato vivo un Giorgio Senese, la Testa fu messa sopra il Torrione del Castello, et li quarti alle muraglie delle Porte, p. causa di voler dar via il Castello alli Francesi»

L'ultima condanna

L'ultima condanna a morte registrata nel documento è del 1º giugno 1763, quando ormai Milano era sotto la dominazione austriaca cominciata nel 1714 e che cesserà nel 1859 con la caduta del Regno Lombardo-Veneto:

«Sopra diffinitiva Relazione dell' Egr.Sig.r D.a Pietro Morosini Regio Podestà di Milano è stato questa mattina dal Senato Eccel.mo Condannato Giuseppe Antonio Caresana nativo della Lomellina già da molti anni abitante in q.ta Città, ad essere appiccato alla Vetra in modo che muoja come reo conf.ssO e constituito; Primo del barbaro Omicidio effettuato nella persona della fu Clara Confalonieri, moglie di Gio. Antonio Cavenaghi, per la di lei morte seguita il gno. il 15 April hor scorso, cagionato da repplicati colpi con Coltello da ponta, e con un pezzo di legno volgarmente chiamato Rodondino, che la mattina del giorno 19 del precedente mese di Marzo il med. Giuseppe Antonio Caresana proditoriamente nella di Lei Casa sit.a in questa Città ha dato nella gola, e sulla testa alla sud.a Defunta, la quale essendo caduta nel fuoco, presso cui è stata assalita, si è abbruggiata la mano sinistra, e gravem.te scottato il braccio destro, siccome altressì dalla successiva rubberia di danari, e robba commessa dal d. Carasena nella Casa ed a pregiudizio degli istessi Giugali Cavenaghi in tutto pel valore di L. 155. Secondo per la delazione del succennato coltello diritto con punta. Tale Sentenza è stata eseguita il gno. 3 d. Giugno, sotto la Prefettura del Sig.r Co: Gio. Ant. Visconti Borromeo.»

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