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La necropoli di Madrano

Madrano é una frazione di Airolo, ad un tiro di schioppo da Airolo. Da anni ho sentito parlare dei ritrovamenti di una necropoli di Madrano, ma oltra a sapere che si trattava di reperti risalenti ai tempi dei romani e che essi praticavano l'estrazione dei cristalli ne sapevo ben poco altro essendo l'archeologia una materia non di "prima fascia" nei miei interessi. Durante la mia prima seduta di consiglio comunale a tutti i partecipanti viene consegnata una rivista: impossibile a questo punto non affrontare il tema 

La scoperta

Le prime notizie di ritrovamenti archeologici a Madrano sono state date dal Padre Angelico Cattaneo, da Emilio Motta: e furono ripetute dal Crivelli. Vi si parla di ritrovamenti romani di fittili, ferri, bronzi, monete e di una patera aretina con bollo I.M.S.
Tutto questo materiale è andato disperso e solo alcuni oggetti sono ancora conservati nel museo di Coira. Di altri esiste una vecchia fotografia fatta eseguire da Emilio Motta e depositata all'Archivio cantonale di Bellinzona.

Persone anziane del paese ricordano per sentito dire dai loro genitori che, nell'anno 1844, costruendosi la casa Beffa, appartenente ora ai Signori Ramelli e Peterposten, furono rinvenute diverse tombe antiche, contenenti oggetti e monete, che sono evidentemente quelli romani resi noti dagli autori citati.
Nel 1954/ss venne fatta un'aggiunta a Est della stessa casa, dal Signor Peterposten. con ritrovamenti di altre tombe, che non furono annunciate. Nel 1956 - sempre nella stessa località - durante la riattazione della strada, venne ritrovata nuovamente qualche tomba. 

Madrano, frazione di Airolo dall’altro lato della Val Canaria in una cartolina dei primi anni cinquanta del secolo scorso. La necropoli si trova in corrispondenza e nei pressi del grande edificio in primo piano.

Di queste scoperte si ebbe tardiva comunicazione; per merito soprattutto del Vicario di Airolo Don Franco Buffoli si riuscì a ricuperare 36 pezzi. Purtroppo non fu possibile avere notizie più precise sulle tombe. È noto che ancora gran parte del materiale deve trovarsi in mano privata: speriamo che si possa un giorno esaminare nell'interesse della ricerca archeologica!

Posizione della necropoli

Le tombe sono venute alla luce presso la casa a Sud della chiesa di Madrano, frazione del comune di Airolo situata sopra la gola di Stalvedro.
È interessante rilevare che, proprio nelle vicinanze, passava l'antica mulattiera del San Gottardo; che sul dosso di fronte sorgeva il castello e che, di là dalla gola, c'era la cosiddetta «Torre dei Pagani».

È presumibile che la necropoli si estenda anche nei terreni vicini e, forse, vi sono tombe anche nella località «Cornocc» , dove - stando alle informazioni del proprietario - si è rinvenuta nell'orto una moneta di Adriano.


La necropoli romana di Airolo-Madrano è situata ai piedi del San Gottardo, e fu scavata in tappe successive: le tombe del 1957, 1965 e 1966 furono edite nel 2000, e si sono aggiunte 5 tombe reperite nel 2016. Questo ultimo rinvenimento ha indotto a riconsiderare tutti i materiali nel loro insieme, alla luce dei recenti studi.

La necropoli si colloca presso la chiesa e il cimitero di Madrano, replicando una situazione di persistenza topografica delle aree funerarie, verificatasi in più casi in Canton Ticino, di cui Locarno-Solduno, Giubiasco, Tenero, Ascona sono gli esempi più noti.

Inumazione vs. cremazione

I dati raccolti nello studio dimostrano per Airolo-Madrano la presenza di una popolazione benestante, come attestano i corredi femminili, ricchi di fibule smaltate e del tipo Mesocco (una chiara appartenenza alla tradizione leponzia) e di gioielli, accanto a quelle maschili in cui a prevalere, oltre agli attrezzi di lavoro, sono le monete. Due varianti di corredi tombali - per ora limitati a una necropoli di sole venti sepolture - a conferma delle radici etnografiche di appartenenza da una parte (quelli femminili) e di un'economia alpina in crescita dall'altra (quelli maschili).

Le 21 tombe sono ad inumazione in recinto di pietre, due caratteristiche su cui è necessario soffermarsi. Infatti, il Canton Ticino settentrionale tra VII e VI sec. a.C. passa al rito inumatorio, mentre negli altri territori della Cultura di Golasecca i defunti solitamente sono bruciati; la cultura romana fa affermare la pratica della cremazione (il "romanus mos", di Tacito, Annales, XVI, 6), che progressivamente risale dal sud al nord del Verbano, e naturalmente nuove tipologie di strutture funerarie. 

Ricostruzione della t7, pianta: la ascure era in una custodia di pelle, gli oggetti dalla parte centrale erano coperti da un tessuto

La popolazione di Madrano, invece, continua per secoli ad inumare i propri morti, inoltre con la struttura del recinto di pietre, già in uso in Canton Ticino all'inizio dell'età del Ferro.
Il rito adottato offre una grande opportunità per gli archeologi, poiché, anche se gli scheletri non si sono quasi mai conservati, è possibile individuare la posizione del defunto, come era ornato e abbigliato, grazie alla disposizione degli oggetti all'interno della tomba e talvolta ai chiodi delle scarpe.

Nel momento della sepultura, l'identità del defunto é espressa ornando la salma con oggetti che lo definiscono, per l'uomo sottolineando la professione, per la donna le radici etnico-geografiche, per ambedue il benessere raggiunto

Alcune tombe hanno consentito di ricostruire con chiarezza l'abbigliamento grazie alla posizione degli oggetti, e risulta di particolare interesse quello femminile, con due fibule nella zona delle spalle che chiudevano una veste simile al peplo greco e adottata dai Celti; una terza fibula poteva chiudere lo scollo (o fissare peplo e tunica sottostante), ed un'altra poteva chiudere un mantello o una mantellina. Quest'abito a Madrano è ancora in uso nel III secolo d.C., invece, non molti chilometri più a sud, nel vicus di Muralto le donne indossavano abiti romani, che non necessitano di fibule, almeno dalla metà circa del I sec. d.C. 

Ricostruzione dell'abbigliamento della tomba 2

La popolazione, di cui ci dà testimonianza la necropoli presso Airolo, è dedita ad un'economia alpina, comprendente agricoltura, allevamento del bestiame, caccia, lavorazione del legno e naturalmente la commercializzazione dei prodotti tipici (resina, formaggi, ecc.), ha raggiunto un benessere inaspettato relativamente all'ambiente montano, e fruisce pienamente delle merci circolanti nell'impero romano: nelle tombe sono infatti deposti recipienti di vetro, ceramiche fini sia di provenienza padana sia gallica (coppa di Cibisus), vasi in pietra ollare di produzione locale, piccoli gioielli, e vasellame di bronzo anche di provenienza campana (officina di Publius Cipius Polybius).

In sintesi, sfrutta le risorse dell'ambiente montano, quanto circola nel Canton Ticino meridionale ed attorno al Verbano, e quanto circola nella Pianura Padana grazie alla rete fluviale. Fonte delle disponibilità economiche che trapelano dai corredi sono verosimilmente il commercio, l'attività di somieri ed accompagnatori di mercanti, che la favorevole posizione geografica consentiva. Forse gli accordi commerciali tra il versante meridionale e settentrionale delle Alpi potevano proprio essere stati sanciti con matrimoni con donne transalpine, della cui provenienza le fibule smaltate potrebbero essere indizio.

Le fibule

Questo argomento è uno dei più interessanti aspetti della necropoli di Airolo-Madrano, poiché offre una serie di spunti di osservazione.
Il primo dato rilevante è il notevole numero delle fibule, che sono presenti sia in quasi tutte le tombe, sia in più esemplari (ad esempio la donna della tomba 7/1957 era dotata di ben 13 pezzi): questo fatto è già di per sé particolare, poiché, come sopra accennato, esse diminuiscono nettamente in epoca romana, non essendo più indispensabili per l'abbigliamento fondamentale, che è tagliato e cucito.

La fibule indossate sono del tipo Mesocco di grandi dimensioni secondo una caratteristica tipicamente alpina. Queste spille sono combinate con fibule smaltate molto appariscenti, in uso nell'Europa centrale ed estranee al gusto delle zone più meridionali, cosicché una donna di Madrano sarebbe apparsa inequivocabilmente "provinciale" agli occhi di una matrona cisalpina


Fibule smaltate dalla tomba Madrano 7/1957 (lunghezza: 4,6-4,8 cm) 

La componente femminile della società è molto tradizionalista, e appare restia ad acquisire i comportamenti e le mode delle donne della Penisola. Le fibule di tipo Mesocco sono diffuse in un'area circoscritta ed hanno caratteristiche specifiche e ben riconoscibili: sono oggetti "parlanti" che definiscono chi le indossa come proveniente da un'area geografica e membro di una tribù. Di conseguenza le donne dichiaravano con il loro abbigliamento - perlomeno al momento della sepoltura - di appartenere ai Leponti e si sentivano eredi di una tradizione antica. È significativo anche che esprimano ancora la loro identità tramite l'abbigliamento, come era in uso durante l'età del Ferro.

Diffusione  della fibula di tipo Mesocco. 

Se il divario con il Canton Ticino è evidente, la popolazione di Madrano mostra invece affinità con le genti delle Valli Ossolane.

Conclusioni

La popolazione di Madrano risulta perfettamente inserita nei commerci dell'Impero e fruisce di merci sia di provenienza settentrionale che meridionale; il dato costituisce una caratteristica del villaggio e una chiave di lettura del benessere sopra evidenziato. 

Ma questa comunità, che utilizza le merci comunemente in uso in epoca romana, mostra invece - come visto - un forte attaccamento alle tradizioni e un netto conservatorismo per quanto concerne le pratiche funerarie, e l'abbigliamento femminile similmente ad altre Province dell'Impero: da una parte l'inserimento nella cultura romana era pieno, e questo in riferimento alla vita quotidiana, all'alimentazione ed alle merci; dall'altra, l'ambito riguardante il culto dei morti è impermeabile all'assimilazione, e la comunità continua ad inumare i defunti e ad adottare la struttura funeraria vigente da quasi mille anni. Questa resistenza è in parte presente anche nel resto del Canton Ticino settentrionale, in cui sia rito che struttura permangono sebbene in modo meno categorico, definendo la zona come tendente al conservatorismo.

Particolarmente conservatore appare il mondo muliebre, infatti sulle rive del Verbano settentrionale le donne abbandonano definitivamente l'abito tradizionale circa due generazioni dopo la conquista romana, anche se accolgono le raffinatezze della nuova cultura, profumandosi, usando cosmetici, detergendosi con gli strigili. Si può affermare che progressivamente accettino un nuovo modo della
"presentazione di sé" richiesto dalla civiltà romana, in cui l'urbanitas, il decoro, il controllo, la cura dell'aspetto, la gradevolezza sono ritenuti indispensabili, ma con qualche renitenza abbandonano il costume locale. Le donne di Madrano, meno sollecitate rispetto alle conterranee del vicus di Muralto e dei suoi dintorni, sono ancora più tradizionaliste e continuano a vestirsi come le loro antenate, almeno nell'ultimo atto della loro vita, cioè quando sono sepolte.
Anch'esse appaiono pienamente integrate, come si diceva, per altri aspetti, sebbene cedano meno alle seduzioni della toilette (ad esempio i balsamari sono pochissimi).

Inoltre, il fatto che le donne portino contemporaneamente fibule locali e fibule smaltate le accomuna decisamente alle donne di parte del Vallese, anch'esse leponzie ma inserite nella cultura transalpina, e dobbiamo supporre che questa crasi abbia avuto origine in quella regione; il legame tra i due versanti della catena è evidentemente stretto. Certamente si deve prospettare anche la pratica dell'esogamia e il trasferimento di donne dalla valle del Rodano al sud del San Gottardo.

Le fonti antiche supportano questi dati: Plinio afferma che gli Uberi, abitanti delle sorgenti del Rodano, sono di stirpe lepontica ("Lepontiorum, qui Uberi vocantur, fontem Rhodani eodem Alpium tractu"; N.H., 3, 135); Cesare (De bello gallico, IV, 10) che il Reno nasce nel territorio dei Leponti e questo trova riscontro nelle fibule Mesocco rinvenute nei Grigioni. 

La diffusione della fibula di tipo Mesocco conferma in modo sorprendente le due citazioni e si palesa come un marker identitario.

Il Canton Ticino è una zona di contatto e di elaborazione, in cui alcuni ambiti restano delle nicchie impermeabili ai cambiamenti, e l'antica tribù dei Leponti, ormai stemperata nell'impero romano, in qualche modo continua a sentire e manifestare la propria identità. 

Sono in particolare le donne, meno sollecitate all'integrazione ed al cambiamento, a causa del ruolo che l'antichità a loro riservava, ad essere custodi della memoria locale ed a tramandarla caparbiamente di generazione in generazione, con un attaccamento sorprendente all'abito tradizionale, ma anche a dettagli come il dischetto fermapieghe, eredità dell'età del Ferro, che agli inizi del III secolo doveva risultare assolutamente anacronistico alle conterranee abitanti a qualche decina di chilometri più a sud.


E forse questo il più grande "capolavoro" dell'impero romano che gli ha garantito una longevità ed una prosperità eccezionali, l'aver permesso che si mantenessero degli ambiti di autonomia all'interno dell'omologazione generale, l'aver saputo calibrare dominio e controllo con spazi di indipendenza (che, naturalmente, non dovevano nuocere o contrastare l'imperialismo), l'aver creato un equilibrio tra potere centrale e realtà locali, cosicché la popolazione di Madrano "si sente" ancora leponzia, pur essendo anche romana.

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