Orson Wells afferma che gli svizzeri in 500 anni sono riusciti a creare ben poco, in particolare:
"In Italia sotto i Borgia, per trent'anni, hanno avuto assassinii, guerre, terrore e massacri, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e che cos'hanno prodotto? Gli orologi a cucù."
Orson Wells - Il terzo uomo - fim 1949
Possiamo tranquillamente affermare che gli urani hanno seguito la stessa falsa riga per quanto riguarda il baliaggio di Leventina: in oltre 300 anni sono riusciti “solo” a migliorare la viabilità presso la gola del piottino (e di conseguenza fabbricarci il redditizio Dazio grande) . Le virgolette sul solo stanno comunque a sottolineare la difficoltà di costruire una strada in quel punto, questo senza nulla togliere alla difficoltà nel costruire un orologio a cucù che meritava forse anch’esso sarcasticamente le stesse virgolette nella battuta di Wells. Rimane tuttavia quello Urano un apporto nettamente insufficiente su tre secoli di dominio. (P.S. L’ orologio a cucù é originario della foresta nera, in Germania)
Ma non sono solo io a dirlo
"Quest'opera importantissima, l'unica veramente lodevole che facesse eseguire Urania in Leventina in tutto il tempo di sua lunga dominazione, (...) fu reputata di sommo interesse e pel comodo di più pronte, e sicure comunicazioni, e pel meno costoso passaggio e trasporto delle merci, il quale, per sì rilevante accorciamento di cammino, prese un movimento più regolato, e consistente."
(Cattaneo Rodolfo. I Leponti, ossia memorie storiche leventinesi del P. Angelico, 1874).
Sarà forse perché ben il 30% delle entrate complessive del Canton Uri provenivano dagli incassi del Dazio, altrimenti nemmeno questo si sarebbero degnati di fare limitandosi nel prelevare tributi e truppe in caso di necessità.
"In Italia sotto i Borgia, per trent'anni, hanno avuto assassinii, guerre, terrore e massacri, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e che cos'hanno prodotto? Gli orologi a cucù."
Orson Wells - Il terzo uomo - fim 1949
Possiamo tranquillamente affermare che gli urani hanno seguito la stessa falsa riga per quanto riguarda il baliaggio di Leventina: in oltre 300 anni sono riusciti “solo” a migliorare la viabilità presso la gola del piottino (e di conseguenza fabbricarci il redditizio Dazio grande) . Le virgolette sul solo stanno comunque a sottolineare la difficoltà di costruire una strada in quel punto, questo senza nulla togliere alla difficoltà nel costruire un orologio a cucù che meritava forse anch’esso sarcasticamente le stesse virgolette nella battuta di Wells. Rimane tuttavia quello Urano un apporto nettamente insufficiente su tre secoli di dominio. (P.S. L’ orologio a cucù é originario della foresta nera, in Germania)
Ma non sono solo io a dirlo
"Quest'opera importantissima, l'unica veramente lodevole che facesse eseguire Urania in Leventina in tutto il tempo di sua lunga dominazione, (...) fu reputata di sommo interesse e pel comodo di più pronte, e sicure comunicazioni, e pel meno costoso passaggio e trasporto delle merci, il quale, per sì rilevante accorciamento di cammino, prese un movimento più regolato, e consistente."
(Cattaneo Rodolfo. I Leponti, ossia memorie storiche leventinesi del P. Angelico, 1874).
Sarà forse perché ben il 30% delle entrate complessive del Canton Uri provenivano dagli incassi del Dazio, altrimenti nemmeno questo si sarebbero degnati di fare limitandosi nel prelevare tributi e truppe in caso di necessità.
Ma andiamo con ordine.

Plausibilmente verso il 7'500 a.C. l'uomo raccoglitore di bacche e frutti si addentrò anche nelle valli alpine. Nelle regioni dell'odierno Canton Ticino esistevano nel periodo neolitico modeste culture in lenta evoluzione, tuttavia aperte agli influssi provenienti dai popoli più evoluti. Le attività principali furono probabilmente l'allevamento, l'agricoltura e un artigianato di poche pretese con un limitato raggio di diffusione. Il ritrovamento di diverse tombe risalenti alla prima età del ferro sparse sul territorio leventinese indica l'esistenza di gruppi umani in questa regione e il probabile uso del Passo del San Gottardo per il commercio locale.
Verso il 300 a.C. i Celti immigrarono più o meno pacificamente nelle zone a meridione delle Alpi per controllare le vie commerciali verso l'Italia. Le popolazioni alpine ne assorbirono la cultura: tecniche artigianali, l'organizzazione, certi culti e la lingua. Nel periodo qui tracciato non si può parlare di vie costruite, ma piuttosto di sentieri più o meno battuti: sentieri che permettevano d'un lato di portare le mandrie al pascolo, di attingere l'acqua e di scambiare delle merci con i paesi più vicini, dall'altro di diffondere delle forme di cultura più evolute e ad alcuni popoli di migrare.
La ricchezza dei corredi delle tombe ritrovate a Madrano è indice che la popolazione locale che, presumibilmente fungeva da guida, sfruttò con profitto i traffici che dovevano passare dal Passo del San Gottardo.

Proprio questo periodo sta alla base delle nostre istituzioni autonome e liberali.
Nella seconda metà del ‘300 a Milano il potere sulla Leventina e Blenio, detenuto fino allora da ceti religiosi del Capitolo, passava gradatamente ai regnanti politici, segnatamente ai Visconti e con ciò a un regime più duro e autoritario. Così nel 1403 la Leventina domanda e accetta il protettorato di Uri e Nidvaldo per far fronte al dominio Milanese. Ecco come la Leventina divenne baliaggio urano, durato poi fino al 1798!
La disfatta confederata di Arbedo nel 1422 ristabilì per breve tempo la dominazione milanese, ma già del 1439 Milano cede il nostro territorio leventinese quale feudo a Uri.
Gli sconvolgimenti politico-economici enormi del "Rinascimento" hanno portato nel XVI secolo la Riforma con la successiva scissione religiosa della Svizzera. Una diretta conseguenza ha duramente colpito anche le nostre regioni, restate sì cattoliche, ma afflitte dalla persecuzione di stregoneria. Nella sola regione di Faido ben 54 donne furono giustiziate quali streghe!
La Rivoluzione francese, alla fine del 1700, mise in subbuglio l'Europa intera, con grandi conseguenze anche per il nostro paese.
I conflitti per la delimitazione delle zone pascolative e coltive obbligarono le persone ad organizzarsi in strutture amministrative più rigide, in Leventina si sviluppò presumibilmente a partire dal secolo XII un sistema a tre livelli - vicinanza, degagna, vicinato - che rimase in vigore fino alla costituzione del Canton Ticino.
Fino alla prima guerra mondiale il modo di vita delle comunità agricole subì solo rari sviluppi. Per raggiungere gli alpi o i prati da falciare, i contadini ricalcavano i passi dei loro antenati, su quei sentieri già in uso nella preistoria.


Il vicinato regolava i problemi legati alla vita del villaggio (lavori da eseguire in comune, il turno del possesso degli animali riproduttori, l'ubicazione dei pozzi per il lino e la canapa ecc.)
La degagna quelli regionali che coinvolgevano i diversi vicinati (il diritto d'alpeggio e di soma, la manutenzione dei sentieri ecc.).
La vicinanza gestiva i problemi amministrativi e giuridici ed era in stretto contatto con l'autorità superiore, dapprima con il Ducato di Milano, in seguito con Uri.
Fino alla metà del secolo XIX l'economia rurale alpina era un'economia di sussistenza, scarsamente influenzata dalle leggi di mercato. Ma sovente il raccolto non bastava per sfamare la famiglia e si era costretti o a trovare un'altra attività in valle o ad emigrare.

"D'ordinario però i bovini si mantengono nelle stalle per sei mesi dell'anno cioè dal novembre all'aprile inclusivamente. Verso la fine d'aprile ed il principio di maggio si fa pastura nel fondo delle valli e nei prati tuttavia soggetti ad una tale servitù. Verso la metà di maggio si sale ai più bassi monti, ed ai maggenghi e vi si rimane, per lo più cangiando qualche volta di stanza, sino alla metà, od alla fine di giugno, nel qual tempo si va più in alto nei pascoli denominati le Alpi, per passarvi in diverse stazioni (volg. stabii o corti) i due mesi di luglio ed agosto, e nelle migliori esposizioni, buona parte di settembre. Finita l'alpeggiatura si cala al piano e si rivisitano i luoghi già pascolati nella primavera: verso la metà di ottobre tutto il bestiame è ridotto al basso nelle vicinanze dell'abitato."
(Stefano Franscini, La Svizzera italiana, Bellinzona 1987).

"Di là Marina guardava con piacere quei grandi mucchi di fieno caricati con le forche sul carro. Ricordava che, ai suoi tempi, si facevano le mannelle che poi si stringevano in grandi mazzi. Era lei che faceva le mannelle. Papà Giovita portava il mazzo nella stalla. Per la fienagione, per non soffrire troppo il caldo, riduceva un po' la sua folta barba."
Nel 1561 fu completata anche la costruzione del Dazio Grande.

Furono inoltre costruiti due nuovi tratti di strada nelle gole della Biaschina e dello Stalvedro: finalmente la "strada pubblica" di Leventina si snodava completamente lungo il fondovalle. Essa fu percorsa fino all'inizio del XIX secolo quando venne costruita la strada cantonale.
Fino all'inizio del XVII secolo la "strada pubblica" verso il passo del San Gottardo aggirava la gola dello Stalvedro, salendo verso Madrano.
Oltre San Gottardo, nella valle della Reuss, quando la mulattiera passava ancora alla sinistra del fiume, fra Amsteg e Gurtnellen, vi era, sopra Amsteg, nel luogo detto Inschi, un passaggio cosi stretto che le some dovevano essere misurate già a Flüelen, e disposte secondo le loro dimensioni.

In Leventina, quando la strada passava ancora dalla Monda di Nivo, vi era a nord di Nivo, il passo della Senda; non più di un metro di larghezza consentiva il transito di carichi poco voluminosi.
"Non passava un quarto d'ora - scrive un autore del Settecento - senza che si incontrasse una carovana. Erano file di venti, trenta cavalli carichi di pesanti some, con sul carico un'ampia coperta, con la museruola che impediva loro di brucar l'erba ai margini pericolosi della strada, con grandi paraocchi, con al capo pennacchi e pendagli, e al collo grandi e squillanti somagliere."
Il trasporto diretto, mediante l'impiego di somieri esterni, esigeva il prelevamento di una nuova tassa, il forletto, destinato alla manutenzione viaria, tassa che precedentemente veniva riscossa per la scorta armata.
"La strada è quasi ovunque lastricata con pietre grezze e pezzi di roccia e scende a zig-zag nella valle; nei tratti più ripidi è sostenuta da un muro a secco. In più punti il sentiero è doppio: quello tenuto peggio, ma che con la neve è percorribile, viene usato d'inverno; qua e là sono stati piantati pali che fungono da segnavia (...), affinchè si perda meno la strada o non si esca dal tracciato e si cada nel precipizio. L'altro sentiero lo si percorre con maggiore sicurezza nei mesi estivi e quando la neve si sta sciogliendo."
"Da novembre a metà maggio viene pagata un'imposta di "rottura" al comune di Airolo per ogni cavallo che vi passa per il Gottardo. Con essa si pagano le spese che il comune affronta per sgombrare la strada dopo una nevicata."
"Un'altra tassa è anch'essa un pedaggio e si chiama "forletto". Beneficiano di tale imposta soltanto i comuni attraversati dalla strada e nei quali si trovino le soste. I cavallanti sono tenuti a versare tale tributo in ciascun luogo per ogni merce trasportata in ragione di 6 quattrini a collo e a seconda del valore della merce. (...) Con questa tassa si potrebbe migliorare moltissimo la strada maestra; in realtà non pochi quattrini si perdono per questa via, senza che quella sia migliorata."
(H.R. Schinz, Descrizione della Svizzera italiana nel Settecento, Locarno 1985).

La someggiatura si sviluppò in Leventina a complemento dell'economia locale, e diventò, insieme al lavoro dei campi e alla pastorizia, un'attività lavorativa che procurò alla popolazione locale nuovi guadagni; tra le altre fonti di guadagno, direttamente o indirettamente legate alla someggiatura, si ricordano: la riscossione dei pedaggi per le some, il vitto e l'alloggio per viandanti, la vendita del foraggio per i cavalli, l'affitto dei prati per il pascolo del bestiame in transito, la vendita di cristalli, il servizio di guida per studiosi e curiosi sulle montagne, la vendita di prodotti dell'allevamento e del bosco.
Delle associazioni dei somieri potevano far parte soltanto i vallerani che godevano del diritto d'alpe, di vicinato e di soma. Ogni associazione dei somieri esercitava i diritti di trasporto sul longerio, tratto di strada tra una sosta e l'altra. Le operazioni di carico e scarico costavano molto ai mercanti a causa della possibilità di perdita di some, di deterioramento delle merci in attesa nelle soste, e di ritardi nel trasporto e nella consegna delle mercanzie sui mercati.

Il sistema a tappe come detto impegnava i somieri da una sosta all’altra ed era, lento e complicato, fu poi sovente sostituito dal trasporto diretto, senza scarico e trapasso. I mercanti transitavano sovente anche col proprio personale d'accompagnamento e le proprie bestie. Per questo si pagava una tassa chiamata "forletto" (Fuhrleit), destinata al ripristino delle strade. Il "forletto", attribuito alle vicinanze, veniva distribuito alle rispettive degagne (frazioni)
Il trasporto a tappe, con il servizio dei somieri locali, non venne soppiantato totalmente dal trasporto diretto: lungo i tracciati disagevoli o per il trasporto di carichi ingombranti o di minor valore, i mercanti continuarono a ricorrere all'esperienza dei somieri locali.
Il ricevitore riscuoteva dal mercante, o da chi conduceva la carovana, il denaro per il pasto che spettava al somiere, il denaro per la sosta, ed il pedaggio o forletto che andavano alla Comunita. Il ricavo del pedaggio serviva alla manutenzione delle strade e dei ponti. I dazi si riscuotevano a parte.
Poi il distributtore dei carichi consegnava la merce ai nuovi somieri, per turno, in modo che tutti i membri della corporazione partecipassero equamente al trasporto. Terminata la ripartizione dei carichi, la carovana, con i nuovi somieri e gli animali riposati, ripartiva per la prossima sosta, dove di nuovo avveniva il cambio dei somieri e degli animali e si distribuiva la paga; e cosi di seguito, di sosta in sosta, finché la notte sopraggiungeva ed obbligava a fermarsi.
All'indomani, senza indugio, la merce ripartiva.

Questi depositi si erano dimostrati particolarmente utili nei momenti di grande affluenza di merci oppure nei casi d'interruzione sul percorso, in seguito a cadute di valanghe o di frane che impedivano il proseguimento del tragitto. Per la protezione della mercanzia i commercianti pagavano i cosidetti diritti di sosta.
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Molti di loro apprezzavano queste soste perché potevano usarle come deposito, in attesa di un compratore, risparmiando cosi inutili spese di trasporto e di sosta. Il diritto di sosta valeva 14 giorni, dopo di che veniva di nuovo conteggiato per altrettanti giorni. Le soste nelle valli fanno la loro apparizione solo nel Trecento.
Il distributore dei carichi - il "partitor ballarum" - consegnava la merce ai somieri del longerio successivo, per turno, in modo che tutti i membri della corporazione partecipassero equamente al trasporto. Terminata la ripartizione dei carichi, la carovana con i nuovi somieri e gli animali riposati ripartiva per la prossima sosta.
Le spezie erano un carico pregiato, cosi come i prodotti di lusso provenienti dall'Estremo Oriente: seta cinese, tappeti, pietre preziose, e perle. Balsamo, mirra, incenso e cera erano prodotti per le chiese.

Molto richiesti a nord erano i vini provenienti dall'Italia, Cipro e Grecia e, da quando si era iniziata la coltivazione del riso in Lombardia alla fine del XV secolo, lo si esportava anche oltralpe. Il sale, un bene necessario per le comunità alpine, proveniva dal delta padano.
Verso sud lungo le strade leventinesi si trasportavano stoffe di lino provenienti dalla Champagne, i tessuti dalle regioni del Reno, le stoffe scarlatte da Gent e Bruxelles, le stoffe da Reims, Chalons sur Marne e Troyes. Le ingombranti balle di lana e di cotone provenivano dai mercati inglesi e orientali. L'ambra di Brema, Lubecca e Amburgo era particolarmente apprezzata a sud. Gli oggetti in vetro lavorato, di Strasburgo, le armi, le armature e le corazze di Solingen, Colonia e Magonza erano i prodotti tra i più richiesti, oltre agli utensili agricoli. Altre merci, come pelli e cuoio, legni di tasso e cipresso, trucioli, stoppa, transitavano lungo le faticose mulattiere della Leventina.

Secondo il Bonstetten "vi transitano annualmente 11'800 some di seta e di cotone grezzi, verso la Svizzera, e di stoffe confezionate, verso l'Italia (la soma da 300 libbre da 18 once). Da vent'anni in qua questo tipo di transito è aumentato sensibilmente. Dalla Svizzera verso l'Italia vanno ancora cavalli, mucche (in particolare), buoi, seterie e tessuti in lana, e tre milioni di libbre di formaggio. Dall'italia verso la Svizzera transitano pelli grezze (da 60 a 150 some), vino (13'000 some), riso in grande quantità, un po di olio, acquavite, specie seta e cotone; da un paio d'anni solamente giunge il caffe, via Genova; il miele ed il grano sono destinati unicamente agli abitanti delle vallate vicine al Gottardo. "
La contesa non si risolse immediatamente e in un documento del 1383, Beatrice Regina Della Schala, moglie di Bernabò Visconti, confermò la decisione presa da Giovanni Visconti trent'anni prima.
Il Dazio Grande rappresenta uno degli ultimi edifici esistenti che ricordano la volontà dei Cantoni primitivi di dominare politicamente ed economicamente il versante meridionale delle Alpi.
In base alla ricerca archeologica e all'analisi dendrocronologica condotte in occasione del restauro globale degli anni Novanta del secolo scorso, siamo oggi in grado di dire che l'edificio originario è stato terminato entro il 1561, come attesta la data leggibile su un affresco conservato all'interno (fase 1):

Voluto dagli Urani - che nel 1515 avevano stanziato 50'000 ducati per la sistemazione della strada del Piottino e per la realizzazione di una struttura daziaria - esso controllava l'entrata e l'uscita dalle Gole.
Nel 1561 dunque, ultimata la strada attraverso la gola del Piottino, fu terminata anche la costruzione del Dazio Grande. Un affresco del 1561, scoperto nel 1997, certifica l'inaugurazione della nuova strada e della casa daziaria da parte del landamano di Uri, Kaspar Imhof e del Landfogto per la Leventina Marty Drösch (Tresch).
San Carlo Borromeo, visitò nel 1567 per la prima volta la Leventina, ritornò poi nel 1570 e nel 1578 e, per l'ultima volta, nel 1581. Sicuramente ha sostato al Dazio auspicando forse la costruzione della chiesetta di fronte all'edificio principale, consacrata nel 1594 dall'arcivescovo di Milano Gaspare Visconti. La chiesa fu rimossa nel 1872 a causa della costruzione della ferrovia e ricostruita poi 100 m a nord della dogana urana. Fra il Dazio e la chiesetta fino al 1830 vi era un portone, che serviva a sbarrare la strada.
Affreschi bellissimi, soffitti e pavimenti di carpenteria imponente, la pigna in pietra ollare, il forno settecentesco del pane, arricchiscono il Dazio. L'arredamento, purtroppo, insieme a documenti e altro è stato alienato negli ultimi decenni prima della costituzione della Fondazione Dazio Grande nel 1989.
Tornando alla storia troviamo nel 1572 la prima citazione scritta del Dazio Grande nell'archivio cantonale urano. Il daziere, di regola Urano, veniva eletto da Uri per 6 anni e doveva depositare una cauzione di 2000 fiorini (il doppio di quanto si chiedeva al daziere di Flüelen).
Abitava al Dazio, gestiva la locanda con alloggio, già allora esistente, e percepiva il 10% della "cifra d'affari" quale retribuzione.
Grandi personaggi del passato come Alessandro Volta, De Saussure, Scheuchzer e molti altri raccontano con enfasi delle loro peripezie nella Gola del Piottino e soprattutto al Dazio Grande. San Carlo Borromeo, passando dal Piottino scrisse:
"...l'Oribile muggito delle acque, che rodono la pietra, di poi la salita nel ridente piano sopra al Dazio Grande coperto di fiori e delle prime rose, ma che eccetto ciliege e segale, non ha altro frutto"...
Il Dazio Grande - che aveva anche la funzione di sosta per il cambio dei cavalli - non oltre il primo decennio dell'Ottocento è stato affiancato dalla grande stalla, ancora oggi esistente.

Entro il 1840 - in concomitanza con la realizzazione e la sistemazione del percorso stradale - la struttura originaria è stata ampliata con l'aggiunta del corpo meridionale, come hanno dimostrato ancora una volta le analisi archeologica e dendrocronologica, unitamente alle date 1842 e 1845, rilevate su una scala interna e su una delle pigne.
Questo intervento ha determinato il cambiamento di funzione: il Dazio Grande è divenuto punto di sosta e di ristoro per il servizio postale del San Gottardo.
Nel 1883, la costruzione della ferrovia del San Gottardo segnò il lento declino della struttura, che perse la sua funzione originaria e venne trasformata in casa d'abitazione.

L'intervento di restauro degli anni Novanta - promosso dalla omonima Fondazione - ha rivitalizzato il Dazio Grande, consacrandolo nella funzione attuale di luogo d'incontro, di cultura e di scambio.

La funzione di dazio fu trasferita nel 1837 da Rodi al passo del San Gottardo, mentre già nel 1804 era stato creato al Dazio un deposito postale.
Le poste e le dogane, nel 1849, passarono alle dipendenze della Confederazione e Giuseppe Gianella "Minore", già tenutario della posta cantonale, divenne titolare dell'ufficio postale federale al Dazio Grande. Questo ufficio fu poi trasferito nel 1904 nei pressi della stazione ferroviaria di Rodi-Fiesso.
La proprietà complessiva del Dazio Grande nel 1868 passava dal Cantone alla famiglia Gianella-Sartore di Dalpe. Gli ultimi discendenti di questa famiglia, 4 figlie, residenti in Alsazia vendettero il "Dazio" alla famiglia Manzocchi di Rodi nel 1988, dalla quale la Fondazione Dazio Grande potè acquistare lo stabile con giardinetto nel 1989. Nel 2001 poi, avvenne l'acquisto delle stalle e del terreno adiacenti, così che ora la Fondazione gestisce tutto il complesso dell'antico Dazio urano.
"Fruttava in un certo tempo dalle 16000 alle 24'000 lire l'anno, mentre le spese per la strada non superavano le 1000 lire."
Uri aveva messo le mani su qualcosa di molto redditizio. I dazieri venivano scelti da Uri e questa carica era data ai cadetti delle famiglie urane più in vista e rap presentava in un certo modo un apprendistato nella carriera politica, un trampolino di lancio.
Si stabiliva un certo contatto tra le famiglie urane e quelle di Prato, tanto che il daziere e sua moglie, e altri suoi congiunti, erano spesso padrini dei figli delle famiglie leventinesi e alcune volte qualche abitante di Prato era padrino o madrina dei figli del daziere. Questi fatti non sono senza importanza per le relazioni con Uri, per l'ascesa dei leventinesi nelle sfere dirigenti sia militari che politiche e per l'otteni-mento della cittadinanza urana: si veda il caso dei Da Pro, degli Scolari e dei Sartor.
Uri, però, tentò ripetutamente, qualche secolo dopo, di adulterare quel patto, diventando sempre più un governo di dominio assoluto ed esclusivo. Soprattutto nel 600 e nel '700, seguendo la tendenza che caratterizza tutto il mondo europeo di quel tempo, dove Paesi e Stati si fanno sempre più totalitari, la comborghesia si tramutò cosi in vera e propria sudditanza.
Un primo attacco ai diritti leventinesi fu quello di impossessarsi della gestione del Dazio Grande e della sua rendita, che da sempre spettava alla Leventina per la manutenzione della strada. Questo fatto avvenne nel 1561, dopo la costruzione dell'edificio e della nuova strada. La motivazione di questa pretesa era basata sull'inferiorità della Leventina che, quale paese suddito, non aveva il diritto di ricevere compensi o donazioni da parte dell'autorità sovrana.
"Se Leventina abbia visto di buon occhio questa usurpazione, - scrive Padre Angelico nei Leponti - ognuno sel può immaginare. Fu questo un duro colpo che privò il paese per sempre d'un utile, e reale possedimento, e che fece ben presentire indubitamente il tuono progressivo che il magistrato Urano avrebbe tenuto per aversi la completa, ed assoluta sudditanza della valle."!
Uri tentò, nel 1602, un altro grave strappo ai danni delle franchigie di Leventina, pretendendo che quest'ultima riformasse il suo statuto su quello di Uri. Nacque un vero putiferio di proteste da parte dei leventinesi; così Uri dovette sospendere il progetto. Altre forme di imposizioni si verificarono negli anni successivi e, nonostante il disappunto dei leventinesi, il Governo Urano persistette in quella pratica, suscitando un vivacissimo senso di ostilità.
Il malcontento generale e le continue pressioni della valle contro le tiranniche riforme urane, durarono ancora a lungo. Il 25 luglio 1712, i leventinesi si prestarono però in aiuto agli urani nella guerra di Villmergen. Nella loro posizione di retroguardia, combatterono le truppe protestanti vittoriose, salvando le truppe cattoliche e permettendo loro la ritirata. I prodi leventinesi domandarono ad Uri l'indennizzo per le spese e il compenso per i militi, ma Uri rifiutò.
L'ingiustizia subita dai leventinesi fece si che lo stesso giorno essi occuparono il Dazio Grande e si impossessarono della rendita. Uri non intervenne; forse fu una mossa tattica per placare un poco le ire che da tempo si erano diffuse nella valle. Da ciò nacque addirittura un Nuovo Statuto, datato 1713, dove Però i leventinesi accettarono qualche compromesso.
Da allora, gli abusi e le venalità dei balivi dell'amministrazione della giustizia andarono aggravandosi. Sembra che anche il Clero leventinese condividesse i sentimenti della popolazione; infatti, da un antico documento del 1646 si sa che in un discorso il Curato di Faido invitò chiaramente la popolazione alla sedizione. Uri reagì chiedendo l'arresto e la punizione dei Sacerdoti "agitatori"
Nel 1754, un nuovo decreto fu emesso da Uri, dove un'innovazione ardita nelle istituzioni civili del paese recò alla Leventina un nuovo intacco nelle autonomie locali. L'ordine era impartito ai Curatori dei beni degli orfani e delle vedove, che dovevano allestire un preciso inventario dei beni loro affidati.
Questo però bastò perché il daziere inviasse ad Altdorf un falso e allarmante rapporto, dove annunciava l'arresto violento e la prigionia del Landfogto, che il popolo era in sommossa ed armato contro Uri, ed era già pronto ad ogni evenienza, in parte sul San Gottardo ed in parte al Monte Piottino.
L'11 maggio 1755, Uri dichiarò lo stato di guerra e mobilitò con l'aiuto dei confederati circa 8000 uomini. Il 21 maggio le truppe di Uri e Unterwalden (ca. 2800 uomini) circondarono e costrinsero alla resa il paese di Airolo. Il 22 gli urani avanzavano rastrellando tutti i paesi sino a Dalpe, sequestrando le armi ed effettuando i primi arresti.
L'8a Compagnia restò sul San Gottardo, la 7a in Val Bedretto, la 5a e la Ga si dirissero verso Quinto, mente la 3a e la 4a verso Prato. Il Dazio fu occupato da una guarnigione, che vi si appostò con due cannoni.
Fra gli arrestati figurano il Consigliere Sartor di Dalpe, il Capitano Lorenzo Orsi di Chiggiogna, già valoroso combattente nella milizia urana e l'Alfiere Giacomo Forni.
Uri condannò a morte i tre principali istigatori della rivolta e il 2 giugno esegui la sentenza, decapitandoli a Faido davanti all'intera popolazione maschile. In un silenzio di morte, il popolo fu fatto inginocchiare e fu costretto a giurare fedeltà al Cantone Sovrano: tutte le loro leggi furono abolite e furono privati di ogni privilegio municipale, civile e giudiziario: l'uso delle armi venne severamente proibito e la maggior parte venne confiscata. Gli urani condussero gli altri otto o nove complici arrestati nelle galere di Altdorf, dove furono anch'essi decapitati senza pietà. Sulla testa degli altri fuggiaschi a capo della rivolta, fu messa una taglia e, ancora 20 anni dopo i bandi venivano rinnovati.
Mentre si sta organizzando la Repubblica Elvetica, sul modello di quella Francese della rivoluzione, la Leventina si organizza in uno stato libero con un Governo Provvisorio. In quel momento Uri avanza delle pretese di proprietà sul Dazio Grande e invia il 5 maggio 1798 una lettera al Governo Provvisorio di Leventina', nella quale si legge: "Per il Dazio, la casa, fabbriche, la stalla, i fondi mobili, si riserva di dare al popolo di Leventina quei documenti e chiarezze che ha desiderato il Governo Provvisorio per provargli che questo dipende da proprietà vera, sperando che il popolo di Leventina giusto ed equo a tempo migliore, troverà ragionevole la pretesa proprietà."
La controversia nasceva dalla diversa considerazione del duplice aspetto del problema:
primo: il diritto di gestire il Dazio e di percepire le entrate
secondo: la proprietà materiale degli stabili
Ciascuno dei due governi aveva le sue ragioni, e il Governo Provvisorio di Leventina si esprimeva così:
"Non discutendo più sul come il Dazio era passato ad Uri nel 1400 (Uri aveva tolto il diritto al Dazio asserendo che un paese suddito non può esercitare diritti sovrani, era ormai stato accettato ed era in vigore da poco meno di quattro secoli), ora Leventina non è più suddita a nessuno. Quindi la Leventina, con lo stesso diritto vantato da Uri, ha il diritto di esercitare autorità sovrana su tutta la valle, di conseguenza anche il diritto a percepire il dazio deve passare a Leventina."
Uri invece si appellava alla proprietà e non più al diritto di esercitare sovranità.
Infatti, Uri aveva provveduto alla costruzione dei nuovi fabbricati, all'acquisto dei terreni, nonché alla costruzione della strada nella gola del Monte Piottino.
Queste controversie vennero risolte dapprima, provvisoriamente, con il Governo di Leventina e poi con quello del Canton Ticino. Si riconosceva un certo diritto anche ad Uri, lasciando però la gestione alla Leventina (poi al Ticino), mentre la metà della rendita veniva versata ad Uri.
Finalmente, il 26 gennaio 1846, il Cantone Ticino riscattava il Dazio Grande, mediante il pagamento ad Uri della somma di franchi 115'563,63.
Hans Rudolf Schinz, un giovane pastore protestante di Zurigo, durante un soggiorno locarnese di due anni, è autore di una delle fonti più importanti per la conoscenza del territorio del futuro Cantone Ticino. Questo essenziale contributo, pubblicato negli anni 1783-87, è stato tradotto in lingua italiana nel 1985, con il titolo di Descrizione della Svizzera Italiana nel Settecento. Eccone alcune testimonianze:
"Gli abitanti che vedemmo e con i quali parlammo sembravano di carattere buono, leali, socievoli partecipi molto più del carattere dei tedeschi e dei montanari che della diffidenza degli italiani, della cui lingua pure si seryono. Analogie dell'atmosfera delle abitazioni, del modo di vivere, i rapporti più frequenti e il commercio con i tedeschi, insieme col gusto di una relativa libertà, invero assai limitata dopo la rivoluzione del 1755, possono essere all'origine del fatto che essi si avvicinino più a quelli che agli italiani. Se ne incontrano anche molti che parlano la lingua tedesca, e la maggior parte degli uomini la capisce. Qui alla locanda del Piottino parlano tutti tedesco, poiché l'oste, come doganiere nominato dalle autorità, deve sempre essere un cittadino di Uri."
Johann Heinrich Meyer
"Camminava con noi un leventinese. Il farsetto sdrucito che portava sulle spalle e l'espressione fosca non facevano sperare in una piacevole compagnia. Appena aprì bocca, fu subito pieno di fuoco e di vita; parlava declamando, e i suoi gesti erano eloquenti quanto le parole. In seguito incontrammo molta gente così, e solo qualche volta dei veri furfanti. Per lo più sui loro volti giallognoli sono dipinte cupa serietà e collerica aggressività, e solo di rado, invece, quella bonomia ch'è propria dei contadini svizzeri tedeschi. Tipica del loro temperamento è un' impetuosità che facilmente dà in scoppi d'ira. La loro esclamazione abituale: ‹Allegro!», viene spesso accompagnata da un'espressione contraria al senso della parola."
Desaix
"Era domenica; ed era interessante vedere la gente del luogo tanto ben vestita. In questa valle, chiamata Leventina, tutta la gente è assai bella, veste abiti di cotone, e porta cappelli rotondi."
"Non appena si è passato il ponte di pietra che attraversa il Ticino proprio accanto all'edificio del dazio, l'aspetto della natura cambia altrettanto rapidamente e stranamente che nella Schöllenen presso il Ponte del Diavolo. Ci stupimmo alla vista della selvaggia asprezza dell'orrida gola in cui scendevamo per un cunicolo scavato con grandi spese nella viva roccia.
Questa strada è senz'altro una prova di quanto lontano si spinga l'audacia dell'uomo, quando lo pungola l'esigenza di accrescere dei godimenti dei vantaggi della vita sociale e dei traffici con altri uomini e altri paesi, quando nuovi e maggiori bisogni si destano in lui e la necessità di soddisfarli aguzza l'inventiva, spinge a superare gli ostacoli, tempra le forze. A quanti disagi, a quanto duro lavoro e a quanta fatica non si espone l'uomo - pensavo - per ottenere più agi e unesistenza pi raffinata e piacel toccia, insieme con i tre ponti di pietra costruiti con grande perizia al di sopra della corrente impetuosa, è costato -come mi assicurò un abitante della valle - qualcosa come settantamila fiorini.
Se si percorre questo passaggio pensando a tutte le spese e a tutto il lavoro impiegato per costruirlo, non stupirà che il pedaggio stabilito dal sovrano nel 1513 per la manutenzione di una strada così preziosa sia stato approvato e riconosciuto da tutti gli Stati della Confederazione. Il fragore del fiume che scorreva impetuoso in un orrido abisso accanto a noi, precipitando come polverizzato, abbattendosi in onde schiumose attraverso mille blocchi di roccia, ci impediva di parlare perché nessuno riusciva a udire l'altro per lo scroscio assordante; sopra il nostro capo pendeva una smisurata massa di roccia che ad ogni istante sembrava sul punto di crollare.
L'ombra scura e profonda in cui è costantemente sepolta questa via mai illuminata dal sole, l'orrida, fredda umidità dell'acqua polverizzata, che sale come una nebbia e bagna completamente il cammino in molti punti, occupavano i pensieri di ciascuno di noi, cosi che camminavamo contemplando tutto ciò in cupo silenzio, né potemmo riprenderci dallo stupore prima che la selvaggia natura svanisse, a poco a poco, con l'allargarsi della valle in una nuova, più dolce contrada. Dovemmo continuare a scendere, ma quanto più procedevamo, tanto più avvertivamo chiaramente, nelle piante incontrate, il clima più mite e la lontananza dalle vette alpine. Quando fummo fuori dalla gola e la via divenne migliore, risalimmo a cavallo e cavalcammo lentamente, per goderci la bella mattina e il piacere dei primi raggi di sole che si affacciavano sulle montagne boscose."
Johann Heinrich Meyer
"Qui all'improvviso il paesaggio ridiventa selvaggio. La strada passa entro un'imponente gola rocciosa, lungo il Ticino che infuria spumoso con violento fragore, e scroscia giù per la roccia, vicinissimo al viaggiatore, con rombo di tuono. L'aria sempre sconvolta e la nube di goccioline che sale dal fiume diffondono un'umida frescura nella gola grigia che si leva in verticale sulla nostra testa. Dalla gola infine un ponte ad arcata conduce in una selvaggia valle folta di arbusti, e la strada continua a scendere fino al borgo di Faido."
Erano presenti in tutta Europa, ma lungo i percorsi alpini assumevano un valore speciale, per via dell'ambiente difficile in cui costituivano molto spesso l'unico punto d'appoggio.
Arrivarono infatti a servire anche i passi più alti, grazie al coraggio e alla generosità di religiosi e in seguito di laici riuniti in confraternite.

Queste istituzioni furono, nonostante tutte le loro inadeguatezze, un "locus magne misericordie": riflessi, per quanto opachi, di una misericordia realmente sperimentabile.
La loro presenza fu decisiva per la genesi dell'Europa, permettendo che le Alpi non fossero una barriera, ma svolgessero un ruolo di cerniera tra Europa mediterranea ed Europa centro-settentrionale, prima di lasciare il passo alle locande e alle osterie a pagamento.
La favorevole posizione di luoghi di culto sulle Alpi presentava inoltre dei vantaggi per i viandanti e i pellegrini, che in numero sempre crescente s'incamminavano verso Roma. Vi potevano trovare ricovero e ospitalità.

"Carlo Borromeo visitò per intiero la Leventina, e salì ancora sul S.Gottardo. Giunto su quel monte ai primi di agosto "per istrada assai ardua e difficile" vi celebrò la messa, e visitò dappoi la cappella. "Vi si tenea di notte accesa una lampada col butirro. Un'altra lampada tenevasi nelle case dell'ospitale, per sovvenir meglio di notte al bisogno dei viandanti. Si accenna che vi convenian le processioni della valle Formazza, e della Cruara. Quei di Orsera, del Vallese, di Airolo, Bedretto e Quinto non mancavan d'intervenirvi pure processionalmente. La chiesa era in grande venerazione, ed era perciò frequentata."

Dazio Grande: acquatinta di Jakob Suter, incisa da Hürlimann presso F. Sal. Füssli, 1833
L’epoca preistorica
15'000 anni fa il territorio a sud delle Alpi era ricoperto dai ghiacciai del Ticino e dell'Adda. Quando questi si ritirarono, lasciarono dietro di loro un desolante paesaggio roccioso. Lentamente le prime forme vegetali ricoprirono le rocce: alghe, licheni, muschi e qualche arbusto nano, seguirono le poco esigenti betulle. Con il ritorno della vegetazione apparve per la prima volta l'uomo nelle nostre regioni.Estensione dei ghiacciai durante le glaciazioni quarternarie (da: AAW, Introduzione al paesaggio naturale del Canton Ticino. 1. Le componenti naturali. Bellinzona 1990)
Plausibilmente verso il 7'500 a.C. l'uomo raccoglitore di bacche e frutti si addentrò anche nelle valli alpine. Nelle regioni dell'odierno Canton Ticino esistevano nel periodo neolitico modeste culture in lenta evoluzione, tuttavia aperte agli influssi provenienti dai popoli più evoluti. Le attività principali furono probabilmente l'allevamento, l'agricoltura e un artigianato di poche pretese con un limitato raggio di diffusione. Il ritrovamento di diverse tombe risalenti alla prima età del ferro sparse sul territorio leventinese indica l'esistenza di gruppi umani in questa regione e il probabile uso del Passo del San Gottardo per il commercio locale.
Verso il 300 a.C. i Celti immigrarono più o meno pacificamente nelle zone a meridione delle Alpi per controllare le vie commerciali verso l'Italia. Le popolazioni alpine ne assorbirono la cultura: tecniche artigianali, l'organizzazione, certi culti e la lingua. Nel periodo qui tracciato non si può parlare di vie costruite, ma piuttosto di sentieri più o meno battuti: sentieri che permettevano d'un lato di portare le mandrie al pascolo, di attingere l'acqua e di scambiare delle merci con i paesi più vicini, dall'altro di diffondere delle forme di cultura più evolute e ad alcuni popoli di migrare.
Matassine filiforme e fibula a sanguisuga rinvenuti in una tomba a Dalpe.
Ufficio dei beni culturali, Bellinzona
L’epoca romana
Il popolo romano era vissuto a lungo all'ombra della cultura etrusca. Con la supremazia dei Celti sugli Etruschi, i Romani iniziarono la loro espansione dapprima verso le fertili terre del Meridione, in seguito anche verso nord, obbligati ad assicurarsi dei punti di difesa contro le incursioni celtiche. Così iniziò la lenta sottomissione dell'Italia settentrionale e la sua progressiva romanizzazione. Con la conquista della Gallia e della Germania i Romani volsero il loro interesse ai passi alpini che permettevano di raggiungere rapidamente i nuovi territori sottomessi: la presa delle vallate alpine fu inevitabile. Vennero costruite due grandi strade militari: il Brennero ad oriente e il Gran San Bernardo ad occidente. Gli altri passi delle Alpi centrali ebbero importanza regionale o locale e funsero da importanti scorciatoie sui traffici a lunga distanza.La ricchezza dei corredi delle tombe ritrovate a Madrano è indice che la popolazione locale che, presumibilmente fungeva da guida, sfruttò con profitto i traffici che dovevano passare dal Passo del San Gottardo.

Carta di distribuzione dei luoghi di rinvenimenti di epoca romana in Ticino.
(da: Archeologia svizzera 17 (1994).
Brevissima storia della Leventina
A sud della Alpi fin tanto che l'autorità maggiore sul Ticino fu esercitata dal Capitolo di Milano, l'interesse politico-militare era assai limitato e con ciò da noi regnava una relativa pace e libertà civica.Proprio questo periodo sta alla base delle nostre istituzioni autonome e liberali.
Nella seconda metà del ‘300 a Milano il potere sulla Leventina e Blenio, detenuto fino allora da ceti religiosi del Capitolo, passava gradatamente ai regnanti politici, segnatamente ai Visconti e con ciò a un regime più duro e autoritario. Così nel 1403 la Leventina domanda e accetta il protettorato di Uri e Nidvaldo per far fronte al dominio Milanese. Ecco come la Leventina divenne baliaggio urano, durato poi fino al 1798!
La disfatta confederata di Arbedo nel 1422 ristabilì per breve tempo la dominazione milanese, ma già del 1439 Milano cede il nostro territorio leventinese quale feudo a Uri.
La battaglia vittoriosa dei Confederati a Giornico nel 1478, statuisce definitivamente il baliaggio di Uri in Leventina.
A partire dal 1512 tutto il Ticino è tradotto in stato di baliaggio confederato e cioè: la Leventina sotto Uri, Blenio, Riviera e Bellinzona sotto i Waldstätten (Uri Svitto e Unterwalden), Locarno, Lugano, la Vallemaggia e il Mendrisiotto sotto i 12 cantoni di allora.Gli sconvolgimenti politico-economici enormi del "Rinascimento" hanno portato nel XVI secolo la Riforma con la successiva scissione religiosa della Svizzera. Una diretta conseguenza ha duramente colpito anche le nostre regioni, restate sì cattoliche, ma afflitte dalla persecuzione di stregoneria. Nella sola regione di Faido ben 54 donne furono giustiziate quali streghe!
Dal 1500 in poi la Leventina, per quasi 300 anni, non fu gravemente toccata dai grandi avvenimenti europei, come la guerra dei 30 anni.
Nonostante il fatto che si dovessero fornire a Uri contingenti di soldati armati, in ausilio alle truppe confederate, la dominazione politica era sopportabile e la relativa libertà dei traffici concedeva un certo benessere economico.La Rivoluzione francese, alla fine del 1700, mise in subbuglio l'Europa intera, con grandi conseguenze anche per il nostro paese.
I Francesi invasero la Svizzera nel 1798. La risultante Repubblica Elvetica (1798-1803) rese pertanto alla Leventina e a tutto il Ticino la tanto sospirata liberazione dal baliaggio.
La Leventina ha sofferto moltissimo durante questi 5 anni, in quanto è stata invasa da truppe francesi, austriache e russe. All'apogeo, nell'inverno del 1799, conosciamo la fatale impresa del generale Suwaroff.Le strade della Leventina
Ai primi uomini che cercarono un posto dove insediarsi la Leventina non dovette mostrarsi troppo invitante: ripidi pendii, canaloni percorsi da valanghe o frane e un fondovalle alluvionale. Facevano eccezione i soleggiati terrazzi riparati dalle insidie della natura. Con l'incremento della popolazione si fecero più numerosi i sentieri fino a formare la fitta rete di stradine tuttora esistente.I conflitti per la delimitazione delle zone pascolative e coltive obbligarono le persone ad organizzarsi in strutture amministrative più rigide, in Leventina si sviluppò presumibilmente a partire dal secolo XII un sistema a tre livelli - vicinanza, degagna, vicinato - che rimase in vigore fino alla costituzione del Canton Ticino.
Fino alla prima guerra mondiale il modo di vita delle comunità agricole subì solo rari sviluppi. Per raggiungere gli alpi o i prati da falciare, i contadini ricalcavano i passi dei loro antenati, su quei sentieri già in uso nella preistoria.
L’organizzazione
Le forme di convivenza delle comunità di villaggio dell'arco alpino conosciute oggigiorno si formarono a partire dal XII e XIII secolo d.C.. Le norme di queste società disciplinavano la gestione dei beni collettivi come ad esempio il mantenimento dei boschi, il diritti di pascolo o la costruzione e la manutenzione delle vie. Queste regole vennero dapprima tramandate a voce ed in seguito fissate sulla carta. In Leventina gli ordini più antichi conosciuti sono quelli della comunità di Osco (1237) che regolavano i diritti d'alpeggio e l'organizzazione del trasporto delle merci.
Le otto vicinanze che formavano il comune di valle della Leventina. La cartina rispecchia la situazione dopo il 1441, quando le vicinanze di Lodrino e Iragna facevano già parte della Riviera.

Ogni vicinanza era divisa in tre o quattro degagne, che a loro volta erano suddivise in vicinati.
Il vicinato regolava i problemi legati alla vita del villaggio (lavori da eseguire in comune, il turno del possesso degli animali riproduttori, l'ubicazione dei pozzi per il lino e la canapa ecc.)
La degagna quelli regionali che coinvolgevano i diversi vicinati (il diritto d'alpeggio e di soma, la manutenzione dei sentieri ecc.).
La vicinanza gestiva i problemi amministrativi e giuridici ed era in stretto contatto con l'autorità superiore, dapprima con il Ducato di Milano, in seguito con Uri.
Vita di paese
Le culture alpine si svilupparono in connessione con le culture delle pianure limitrofi. Gli uomini che avevano scelto di vivere nelle regioni montuose dovettero adeguarsi alla natura che li circondava e proteggersi da essa. L'estivazione è un esempio di adattamento dell'uomo alle condizioni climatiche e morfologiche della zona alpina. Il bosco di protezione dalle valanghe e dagli smottamenti che sorgeva dietro i paesi, la cosiddetta faura, rappresenta invece un tentativo dell'uomo di proteggersi dalle forze della natura.Fino alla metà del secolo XIX l'economia rurale alpina era un'economia di sussistenza, scarsamente influenzata dalle leggi di mercato. Ma sovente il raccolto non bastava per sfamare la famiglia e si era costretti o a trovare un'altra attività in valle o ad emigrare.

"D'ordinario però i bovini si mantengono nelle stalle per sei mesi dell'anno cioè dal novembre all'aprile inclusivamente. Verso la fine d'aprile ed il principio di maggio si fa pastura nel fondo delle valli e nei prati tuttavia soggetti ad una tale servitù. Verso la metà di maggio si sale ai più bassi monti, ed ai maggenghi e vi si rimane, per lo più cangiando qualche volta di stanza, sino alla metà, od alla fine di giugno, nel qual tempo si va più in alto nei pascoli denominati le Alpi, per passarvi in diverse stazioni (volg. stabii o corti) i due mesi di luglio ed agosto, e nelle migliori esposizioni, buona parte di settembre. Finita l'alpeggiatura si cala al piano e si rivisitano i luoghi già pascolati nella primavera: verso la metà di ottobre tutto il bestiame è ridotto al basso nelle vicinanze dell'abitato."
(Stefano Franscini, La Svizzera italiana, Bellinzona 1987).

"Di là Marina guardava con piacere quei grandi mucchi di fieno caricati con le forche sul carro. Ricordava che, ai suoi tempi, si facevano le mannelle che poi si stringevano in grandi mazzi. Era lei che faceva le mannelle. Papà Giovita portava il mazzo nella stalla. Per la fienagione, per non soffrire troppo il caldo, riduceva un po' la sua folta barba."
(Alina Borioli, Marina, testo inedito).


Alla fiera che si teneva una o due volte l'anno, accorrevano oltre alla gente del posto, anche i mercanti provenienti da fuori. Nelle fiere gli scambi comprendevano sia i prodotti locali sia quelli che venivano da lontano. Il contadino comprava solo quello che non poteva produrre da sè. L'autorità politica concedeva il diritto di mercato o di fiera ed emanava il regolamento che riguardava tra l'altro i pesi e le misure, la sicurezza, il divieto del gioco d'azzardo, la pulizia delle strade e delle piazze ecc. Ad Airolo la fiera del bestiame ha luogo tuttora.

Al mercato e alla fiera in definitiva si realizzava uno dei momenti d'incontro e di socialità del contadino.

Era quella strada su cui veniva indirizzato il transito dei forestieri e lungo la quale avveniva il trasporto delle merci. Ai valligiani spettava l'obbligo della manutenzione stradale. Con l'apertura del valico del San Gottardo nel XIII secolo e l'aumento dei transiti e del commercio, la strada francesca venne progressivamente attrezzata con ospizi, soste e dazi.

Acquisì una specifica importanza economica in ambito locale per le attività indotte: come in altre valli alpine, nacquero nelle valli a ridosso del passo le associazioni di trasportatori, i somieri.
I comuni della regione subalpina ripristinarono o costruirono le vie di trasporto per garantire gli scambi commerciali e il tragitto verso le fiere, che conobbero nuova vita a partire dal XII secolo.
La regione delle Fiandre francesi e fiamminghe, le città del Brabante, si imposero, verso la fine del secolo XIII, per la loro produzione manifatturiera di tessuti di lana.
Le regioni tedesche assunsero un ruolo importante nel panorama economico europeo; a partire dalla fine del XII secolo i mercanti tedeschi dei principali centri di produzione erano associati nella Lega anseatica, di cui Lubecca divenne la città più importante
Nel Medioevo le fiere - mercati periodici che si tenevano nelle città, per lo più in occasione di feste religiose - erano l'occasione per scambiare prodotti dell'artigianato cittadino con quelli della campagna: esse favorivano la nascita delle prime operazioni bancarie. Particolarmente celebri erano le fiere della Champagne, che costituirono, tra i secoli XII e XIV, il principale emporio per i prodotti tessili del nord Europa.
Con l'inizio del XV secolo, le strade del Sempione, del Monte Moro e del Gran San Bernardo, furono di nuovo ampiamente frequentate, quando le fiere di Ginevra e di Lione divennero vivaci centri di attività commerciali.
Alla metà del XV secolo, l'Italia era, con Firenze, la più grande potenza finanziaria d'Europa, e con Venezia, Genova e Milano, la più grande potenza commerciale


Da Milano, il convoglio di merci passava per Sesto Calende, per via acqua sul Lago Maggiore, arrivando a Magadino e poi Bellinzona. Meno frequentato, un altro tragitto mercantile passava da Varese, Lugano e il Monte Ceneri, giungendo a Bellinzona. Da qui, si deviava per il passo del San Bernardino, che nel Rheinwald si congiungeva con lo Spluga. La via del Gottardo prevedeva il passaggio in Leventina, Orsera e Uri, giungendo a Lucerna via lago. Da Lucerna, il traffico scorreva sui fiumi Reuss, Aare e Reno, direttamente fino a Basilea. Nella direzione opposta, il transito avveniva unicamente per via terra.
La "Zürcher strass" collegava Milano e Como con le regioni d'oltralpe, passando per Chiavenna, lo Spluga e oltre la Viamala giungeva a Coira, da cui divergevano due vie: una proseguiva per Feldkirch, lago Bodanico e la Germania meridionale; l'altra percorreva la via lacustre tra il Walensee, la Linth e il lago di Zurigo. Tra Zurigo e Basilea ci si poteva ricongiungere sulla via che univa Lucerna con Basilea. La via di terra superava il Bözberg, la via d'acqua seguiva la Limmat, l'Aar e il Reno.

Il Passo del Sempione come il Gran San Bernardo collegava Milano con l'Europa nord-occidentale.
Da Milano conduceva per Sesto, il lago Maggiore e Domodossola, oltre il passo riscendeva a Briga sul fondovalle vallesano, per proseguire fino al Lemano. Solo nel XVII secolo, il traffico transalpino utilizzò il Sempione, allorchè il Moncenisio venne progressivamente abbandonato.

Secondo la tradizione, un fabbro di Göschenen - figura leggendaria - gettò un ponte sulla Reuss, il Ponte del Diavolo.
Per superare un altro passaggio difficile nella gola della Schöllenen, il traffico si serviva del Ponte della Twärren, la cui costruzione venne da alcuni storici attribuita ai mercanti lombardi, alla ricerca di una via più diretta verso nord. Altri storici attribuiscono l'iniziativa ai duchi Zähringen, interessati a cercare una nuova via transalpina. Altri ancora agli allevatori di Uri, interessati a raggiungere i mercati lombardi per smerciare i propri prodotti; oppure ai Walser insediatisi nella regione nel XII e XIII secolo. I Walser - sostenuti da signorotti locali e monasteri - bonificarono in quel periodo le zone ad alta quota delle Alpi fino al Gottardo.


La giurisdizione leventinese comprendeva anche una propaggine verso Prugiasco, nella valle di Blenio, dove dalla mulattiera del Lucomagno si separava una via che, attraverso il Passo di Nara, si ricongiungeva con la strada leventinese.


La faticosa mulattiera poteva aggirare la gola della Biaschina, solo inerpicandosi sui due lati della valle: lungo la sponda destra, per Giornico, Chironico e Nivo, era percorsa prevalentemente dai viandanti e pellegrini. La strada lungo la sponda sinistra, per Giornico e Campagna di Anzonico, era utilizzata per il trasporto delle mercanzie.
È pure significativo che sin dal 1200 in questa zona fu istituito il maggiore posto di pedaggio a sud del San Gottardo. Già dal 1495 gli Urani avevano chiesto alla Dieta federale di concedere loro un consistente aumento delle tariffe, onde poter costruire l'onerosa strada attraverso la gola del Piottino. L'opera fu compiuta negli anni 1555-1561.
Aggirando la gola del Piottino, tra Faido e Cornone, la mulattiera superava un dislivello di 500 metri con un'impervia salita fino a Piana Selva, dove sorgeva l'Antico Dazio. Quando il Gottardo diventò un importante valico nel traffico transalpino, un intervento di miglioria effettuato verso la metà del XIV secolo permise l'abbandono della faticosa mulattiera di Piana Selva. In quel periodo, la sosta di Faido venne spostata da Piana Selva al Dazio Vecchio sul Monte Piottino. La nuova mulattiera, che garantì essenzialmente i traffici transalpini, conferma l'interesse milanese per la via del Gottardo nel periodo visconteo.

Da Cornone la mulattiera discendeva a Prato Leventina e quindi a Morasco.
La strada di Piana Selva, o "strata de monte, ubi dicitur ad Stratam de Bolla", come è menzionata in un documento del 1331, rimase ufficialmente in uso fino alla metà del XIV secolo. In seguito, con lo spostamento del tracciato sul Monte Piottino ("strada romana"), venne bandita in quanto consentiva l'aggiramento dei dazi.
Da qui risaliva tortuosamente il fianco del Monte Piottino, fino al punto in cui si trovano i ruderi del Dazio Vecchio, per poi discendere a Morasco, nei pressi dell'attuale Dazio Grande.
La costruzione di questa via, che consenti di abbandonare la faticosa mulattiera di Piana Selva, è indirettamente suggerita da una lunga vertenza (iniziata prima del 1353) tra i somieri di Prato e quelli di Faido riguardante la determinazione del rispettivo longerium, cioè della tratta di trasporto spettante alle singole Vicinanze.
In effetti la creazione di questo tracciato, che comporto lo spostamento della sosta da Piana Selva alla sommità del Monte Piottino, danneggiò gravemente i somieri di Prato che vedevano la propria tratta praticamente dimezzata.
La lite fu risolta nel 1396, grazie all'intervento diretto delle autorità milanesi che tacitarono i somieri di Prato con una somma di denaro. Si può supporre che la strada di Piana Selva sia stata sostituita, verso il 1350, da questo nuovo tracciato, voluto dai Visconti su pressione della Società dei mercanti di Milano, in ragione di una politica tesa allo sviluppo dei commerci, essenziali per le casse dello Stato milanese.
Questo tracciato non venne mai abbandonato e rimase in uso anche dopo la costruzione tanto della strada urana che della strada cantonale. Il traffico attraverso la gola del Piottino, infatti, veniva spesso interrotto dalle piene del Ticino rendendo necessario il temporaneo riutilizzo della "strada romana". Una sua importante ristrutturazione risale al 1834, quando fu rimessa in funzione per garantire il collegamento con il San Gottardo dopo che un'alluvione distrusse la strada cantonale.
Il Dazio Vecchio venne abbandonato alla metà del XVI secolo, dopo la costruzione da parte degli urani della strada che taglia dentro la gola del Monte Piottino.

Al Dazio Vecchio vi era una piccola locanda che offriva vitto e alloggio ai mercanti e ai viaggiatori. Di fronte alla locanda vi era la stalla, adibita pure a magazzino, dove la merce in transito veniva depositata.
Un portone chiudeva l'accesso ed era posato tra lo stabile principale e la stalla.
Un recinto spaziale, poco discosto, era destinato probabilmente al bestiame che durante la notte era custodito. I somieri sostavano davanti al portone, in attesa che il daziere, valutando la merce e il bestiame, facesse i conti. Terminate le somme, la porta si apriva. "Il commerciante pagava, accanto al salario per il conducente anche una tassa di pedaggio (Furleite-forletto) che serviva alla manutenzione di ponti e strade, e in più un diritto di sosta per l'immagazzinamento delle mercanzie. Il contrabbando, vale a dire l'aggiramento delle strade e delle soste normali, era punito."1
L'aumento del commercio transalpino, la concorrenza di altri valichi e i notevoli proventi che si sarebbero potuti ricavare dal Dazio del Piottino, convinsero gli Urani a migliorare la viabilità della "via delle genti" Furono costruiti tre nuovi tratti di strada nelle gole della Biaschina, del Piottino e dello Stalvedro: finalmente la "strada pubblica" di Leventina si snodava completamente lungo il fondovalle. Essa fu percorsa fino all'inizio del XIX secolo quando venne costruita la strada cantonale.

Con questa strada venne per la prima volta violata la terribile gola del Piottino. Il tracciato riprendeva quello della "strada romana" tra Faido e il Ponte della Vicinanza. Attraversato quest'ultimo, si riportava in sponda sinistra, in corrispondenza del Ponte di mezzo per entrare nella gola.
Il Canton Uri chiese alla Dieta di Lucerna il permesso di costruire "una strada lungo l'acqua" già nel 1493, sostenendo che la strada romana del Monte Piottino era "molto dura e cattiva".
Forse per motivi tecnici o per mancanza di soldi la costruzione cominciò solamente nel 1555, grazie al sostegno di Giacomo A Pro, facoltoso commerciante urano di origine leventinese, che riuscì a strappare alla Dieta di Baden un aumento del dazio o Leventina per ottenere i fondi necessari allo scopo.
La strada, "per forza di mine, e spaccature, e poggiata a poderose muraglie", fu terminata con la costruzione di tre ponti nel 1560 per una spesa Complessiva di 3000 corone

I mercati e le fiere locali
Il contadino era fortemente legato al suo territorio. La vita dei più si limitava al proprio villaggio, alla città e ai paesi vicini. L'economia rimase essenzialmente agro-pastorale di sussistenza, nonostante non mancassero gli scambi a distanza. I contadini vendevano al mercato cittadino i prodotti agricoli in eccedenza. I mercati settimanali offrivano in prevalenza prodotti locali e in minor quantità quelli provenienti dagli scambi a distanza.
Alla fiera che si teneva una o due volte l'anno, accorrevano oltre alla gente del posto, anche i mercanti provenienti da fuori. Nelle fiere gli scambi comprendevano sia i prodotti locali sia quelli che venivano da lontano. Il contadino comprava solo quello che non poteva produrre da sè. L'autorità politica concedeva il diritto di mercato o di fiera ed emanava il regolamento che riguardava tra l'altro i pesi e le misure, la sicurezza, il divieto del gioco d'azzardo, la pulizia delle strade e delle piazze ecc. Ad Airolo la fiera del bestiame ha luogo tuttora.

Fiera del bestiame ad Airolo
Al mercato e alla fiera in definitiva si realizzava uno dei momenti d'incontro e di socialità del contadino.
La Leventina delle mulattiere
Nel corso del Medioevo la rete stradale in Leventina subì notevoli cambiamenti. Nella valle, dove non sembrano esistere strade romane attrezzate, apparve forse già con i Longobardi la "strada francesca", chiamata anche "strada maestra" o "strada pubblica".
Era quella strada su cui veniva indirizzato il transito dei forestieri e lungo la quale avveniva il trasporto delle merci. Ai valligiani spettava l'obbligo della manutenzione stradale. Con l'apertura del valico del San Gottardo nel XIII secolo e l'aumento dei transiti e del commercio, la strada francesca venne progressivamente attrezzata con ospizi, soste e dazi.

Colonne di muli sulla strada del San Gottardo all'inizio del XIX secolo; acquaforte al tratto acquerellata di Wilhelm Rothe tratta da un disegno originale realizzato nel 1802 da Johann Gottfried Jentsch (Museo della comunicazione, Berna).
I mulattieri con le loro bestie camminano lungo la Reuss prima di incrociarsi in prossimità del Buco di Uri, una galleria scavata sotto la roccia presso la Schöllenen tra il 1707 e il 1708 sotto la direzione dell'ingegnere ticinese Pietro Morettini.
Lo sviluppo del commercio in Europa
Nel corso dell'XI secolo l'attività mercantile riprese forza in tutta Europa. In particolare Milano e la campagna lombarda registrarono un incremento demografico e un aumento della produzione agricola e artigianale, tali da porle tra le regioni più sviluppate d'Europa.I comuni della regione subalpina ripristinarono o costruirono le vie di trasporto per garantire gli scambi commerciali e il tragitto verso le fiere, che conobbero nuova vita a partire dal XII secolo.
La regione delle Fiandre francesi e fiamminghe, le città del Brabante, si imposero, verso la fine del secolo XIII, per la loro produzione manifatturiera di tessuti di lana.
Le regioni tedesche assunsero un ruolo importante nel panorama economico europeo; a partire dalla fine del XII secolo i mercanti tedeschi dei principali centri di produzione erano associati nella Lega anseatica, di cui Lubecca divenne la città più importante
Nel Medioevo le fiere - mercati periodici che si tenevano nelle città, per lo più in occasione di feste religiose - erano l'occasione per scambiare prodotti dell'artigianato cittadino con quelli della campagna: esse favorivano la nascita delle prime operazioni bancarie. Particolarmente celebri erano le fiere della Champagne, che costituirono, tra i secoli XII e XIV, il principale emporio per i prodotti tessili del nord Europa.
Con l'inizio del XV secolo, le strade del Sempione, del Monte Moro e del Gran San Bernardo, furono di nuovo ampiamente frequentate, quando le fiere di Ginevra e di Lione divennero vivaci centri di attività commerciali.
Alla metà del XV secolo, l'Italia era, con Firenze, la più grande potenza finanziaria d'Europa, e con Venezia, Genova e Milano, la più grande potenza commerciale
La fiera di Lugano
La fiera di bovini e cavalli di Lugano fu per secoli una fiera importante. Vi venivano condotti fino a 15000 bovini e 800 cavalli. Molto conosciute erano anche le fiere di Bellinzona e Chiasso, dove accorreva un gran numero di venditori e acquirenti lombardi e tedeschi. I mercanti d'oltralpe con il loro bestiame affrontavano il lungo e faticoso viaggio
L'area della fiera di Lugano. Disegno a penna acquerellato di Rocco Torricelli, 1799 ca. (Museo d'arte della Svizzera italiana, Lugano, Collezione Città di Lugano).
Oltre che nella vendita di bestiame e nella presenza di chioschi (sulla sinistra), il fascino della fiera risiedeva anche nella sua atmosfera di festa. Sulla destra, il pubblico osserva dei saltimbanchi che si esibiscono su un palco.
Le grandi vie di comunicazione nel medioevo
Nel Medioevo, i colli alpini facevano della Svizzera una regione importante per quanto concerne le vie di comunicazioni. Fin dall'Alto Medioevo, i passi del Vallese e dei Grigioni furono il centro di gravità del traffico che si spostava spesso da un colle all'altro. Nel XIII secolo il San Gottardo assurse all'importanza degli altri valichi, mentre soltanto un secolo più tardi le strade che attraversavano l'Altipiano svizzero in direzione del sud ovest europeo si aprirono al grande traffico. Particolare importanza, insieme con le strade alpine, ebbero pure le vie fluviali, che costituivano una rete orientata specialmente verso il Reno.
Molto interessante a destra del passo del Lucomagno l'utilizzo della strada lungo la Greina
Da Milano, il convoglio di merci passava per Sesto Calende, per via acqua sul Lago Maggiore, arrivando a Magadino e poi Bellinzona. Meno frequentato, un altro tragitto mercantile passava da Varese, Lugano e il Monte Ceneri, giungendo a Bellinzona. Da qui, si deviava per il passo del San Bernardino, che nel Rheinwald si congiungeva con lo Spluga. La via del Gottardo prevedeva il passaggio in Leventina, Orsera e Uri, giungendo a Lucerna via lago. Da Lucerna, il traffico scorreva sui fiumi Reuss, Aare e Reno, direttamente fino a Basilea. Nella direzione opposta, il transito avveniva unicamente per via terra.
La "Zürcher strass" collegava Milano e Como con le regioni d'oltralpe, passando per Chiavenna, lo Spluga e oltre la Viamala giungeva a Coira, da cui divergevano due vie: una proseguiva per Feldkirch, lago Bodanico e la Germania meridionale; l'altra percorreva la via lacustre tra il Walensee, la Linth e il lago di Zurigo. Tra Zurigo e Basilea ci si poteva ricongiungere sulla via che univa Lucerna con Basilea. La via di terra superava il Bözberg, la via d'acqua seguiva la Limmat, l'Aar e il Reno.

Le grandi vie di comunicazione nel Medioevo.
Da Atlante storico della Svizzera, Aarau 1958
Il Passo del Sempione come il Gran San Bernardo collegava Milano con l'Europa nord-occidentale.
Da Milano conduceva per Sesto, il lago Maggiore e Domodossola, oltre il passo riscendeva a Briga sul fondovalle vallesano, per proseguire fino al Lemano. Solo nel XVII secolo, il traffico transalpino utilizzò il Sempione, allorchè il Moncenisio venne progressivamente abbandonato.
Il passo del San Gottardo
Numerosi storici concordano sulla data di apertura della via del San Gottardo tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo: a quegli anni risale la consacrazione della chiesa sul passo e al 1237 risalgono gli statuti dei somieri di Osco. Il Gottardo era stato trascurato quale valico commerciale fino ad allora, per l'impossibilità di tracciare una via attraverso le gole della Schöllenen, tra Orsera e Göschenen. Il percorso, utilizzato solitamente dalla popolazione del luogo, aggirava le gole inerpicandosi sul Bäzberg ed era impraticabile con animali da soma. Alcuni ritrovamenti archeologici - come ad esempio i resti sul passo di una cappella di età tardo-carolingia - attesterebbero però un passaggio intenso del traffico transalpino già nell'Alto Medioevo
Vista prospettiva del San Gottardo - Exchaquet, 1792
La grossa pianura al centro é la campagna tra Andermatt e Hospental
Secondo la tradizione, un fabbro di Göschenen - figura leggendaria - gettò un ponte sulla Reuss, il Ponte del Diavolo.
Per superare un altro passaggio difficile nella gola della Schöllenen, il traffico si serviva del Ponte della Twärren, la cui costruzione venne da alcuni storici attribuita ai mercanti lombardi, alla ricerca di una via più diretta verso nord. Altri storici attribuiscono l'iniziativa ai duchi Zähringen, interessati a cercare una nuova via transalpina. Altri ancora agli allevatori di Uri, interessati a raggiungere i mercati lombardi per smerciare i propri prodotti; oppure ai Walser insediatisi nella regione nel XII e XIII secolo. I Walser - sostenuti da signorotti locali e monasteri - bonificarono in quel periodo le zone ad alta quota delle Alpi fino al Gottardo.

Ricostruzione della passerella da parte degli allievi della scuola media di Belp (BE)
Il cammino dritto
La maggior parte del commercio tra l'Inghilterra, l'Olanda e l'Italia si svolgeva per via terra. Il tragitto del Gottardo, "il camino dritto de le merce di Fiandra per Italia", s'impose ben presto tra le vie mercantili e l'apertura del Gottardo significò una battuta d'arresto per gli altri passi che da Oltralpe conducevano alla pianura padana. La potente corporazione milanese dei mercanti garantiva con accordi e convenzioni l'apertura e la sicurezza dei passi alpini. Il transito sulle ripide e faticose mulattiere avveniva grazie alla complessa ed efficiente organizzazione dei trasporti, sviluppatasi nella valle. La via del San Gottardo diventò una delle principali arterie dei traffici milanesi. Basti pensare che solo a Lucerna risiedevano venti case di commercio che intrattenevano relazioni commerciali con Milano.
Ricchi commercianti a Lucerna
Le strade della Leventina
Il territorio della Leventina comprendeva la valle che sulla sponda sinistra del fiume si estende dal passo del San Giacomo fino a Pollegio, e sulla sponda destra la regione tra il passo della Novena e Moleno. L'esistenza di vie di comunicazione tra Iragna e Giornico lascia supporre l'esistenza di una via che dal Lago Maggiore, seguendo la sponda destra del fiume Ticino, raggiungeva Airolo.La giurisdizione leventinese comprendeva anche una propaggine verso Prugiasco, nella valle di Blenio, dove dalla mulattiera del Lucomagno si separava una via che, attraverso il Passo di Nara, si ricongiungeva con la strada leventinese.

Blenio e Leventina attorno al 1100-1440. Notasi la propaggine fino a Prugiasco
Da: K. Meyer, Blenio e Leventina da Barbarossa a ENrico VII. Bellinzona 1977
La strada Francesca
Intorno all'anno Mille, la strada di Leventina correva già sul fondovalle, ad eccezione dei tratti nelle gole della Biaschina, del Piottino e dello Stalvedro. Solo al tramonto dell'età medievale risalgono i primi tentativi - per iniziativa dei Visconti e della Società dei mercanti milanesi - di tracciare la strada sul fondovalle anche in questi difficili tratti.
La faticosa mulattiera poteva aggirare la gola della Biaschina, solo inerpicandosi sui due lati della valle: lungo la sponda destra, per Giornico, Chironico e Nivo, era percorsa prevalentemente dai viandanti e pellegrini. La strada lungo la sponda sinistra, per Giornico e Campagna di Anzonico, era utilizzata per il trasporto delle mercanzie.
Piottino
È significativo che proprio questa stretta abbia costituito per lungo tempo la frontiera fra la Confederazione e Milano. Difatti, sia per l'adesione di Zurigo alla Confederazione nel 1351, che quella di Zugo nel 1352, i nuovi Cantoni dovettero promettere un aiuto militare fino al Monte Piottino (Platifer).È pure significativo che sin dal 1200 in questa zona fu istituito il maggiore posto di pedaggio a sud del San Gottardo. Già dal 1495 gli Urani avevano chiesto alla Dieta federale di concedere loro un consistente aumento delle tariffe, onde poter costruire l'onerosa strada attraverso la gola del Piottino. L'opera fu compiuta negli anni 1555-1561.
Aggirando la gola del Piottino, tra Faido e Cornone, la mulattiera superava un dislivello di 500 metri con un'impervia salita fino a Piana Selva, dove sorgeva l'Antico Dazio. Quando il Gottardo diventò un importante valico nel traffico transalpino, un intervento di miglioria effettuato verso la metà del XIV secolo permise l'abbandono della faticosa mulattiera di Piana Selva. In quel periodo, la sosta di Faido venne spostata da Piana Selva al Dazio Vecchio sul Monte Piottino. La nuova mulattiera, che garantì essenzialmente i traffici transalpini, conferma l'interesse milanese per la via del Gottardo nel periodo visconteo.
I tracciati sul piottino

1. La strada Piana Selva
La prima strada pubblica ricordata dai documenti per il superamento del Monte Piottino è quella di Piana Selva. Da Faido, attraversato il Ticino in corrispondenza dell'attuale "ponte del Maglio", il tracciato utilizzava il ripido sentiero per il maggengo di Piana Selva. Qui si trovava una sosta, della quale non resta traccia, detta "Antico Dazio". Da Piana Selva proseguiva fino a Cornone attraverso l'umida zona delle Bolle, dove sono ancora individuabili importanti resti della strada e alcune cappelle diroccate. Il torrente Piumogna veniva superato con un ponte in sasso, del quale sono tutt'ora visibili le spalle, ancora integro all'inizio del XX secolo.Da Cornone la mulattiera discendeva a Prato Leventina e quindi a Morasco.
La strada di Piana Selva, o "strata de monte, ubi dicitur ad Stratam de Bolla", come è menzionata in un documento del 1331, rimase ufficialmente in uso fino alla metà del XIV secolo. In seguito, con lo spostamento del tracciato sul Monte Piottino ("strada romana"), venne bandita in quanto consentiva l'aggiramento dei dazi.
2. La strada romana
Con l'impropria denominazione di "strada romana" si indica il secondo tracciato utilizzato per il superamento della gola del Piottino. La mulattiera iniziava a Faido e, seguendo la sponda sinistra del Ticino, giungeva al Ponte della Vicinanza dove si portava in sponda destra.Da qui risaliva tortuosamente il fianco del Monte Piottino, fino al punto in cui si trovano i ruderi del Dazio Vecchio, per poi discendere a Morasco, nei pressi dell'attuale Dazio Grande.
La costruzione di questa via, che consenti di abbandonare la faticosa mulattiera di Piana Selva, è indirettamente suggerita da una lunga vertenza (iniziata prima del 1353) tra i somieri di Prato e quelli di Faido riguardante la determinazione del rispettivo longerium, cioè della tratta di trasporto spettante alle singole Vicinanze.
In effetti la creazione di questo tracciato, che comporto lo spostamento della sosta da Piana Selva alla sommità del Monte Piottino, danneggiò gravemente i somieri di Prato che vedevano la propria tratta praticamente dimezzata.
La lite fu risolta nel 1396, grazie all'intervento diretto delle autorità milanesi che tacitarono i somieri di Prato con una somma di denaro. Si può supporre che la strada di Piana Selva sia stata sostituita, verso il 1350, da questo nuovo tracciato, voluto dai Visconti su pressione della Società dei mercanti di Milano, in ragione di una politica tesa allo sviluppo dei commerci, essenziali per le casse dello Stato milanese.
Questo tracciato non venne mai abbandonato e rimase in uso anche dopo la costruzione tanto della strada urana che della strada cantonale. Il traffico attraverso la gola del Piottino, infatti, veniva spesso interrotto dalle piene del Ticino rendendo necessario il temporaneo riutilizzo della "strada romana". Una sua importante ristrutturazione risale al 1834, quando fu rimessa in funzione per garantire il collegamento con il San Gottardo dopo che un'alluvione distrusse la strada cantonale.
Il dazio vecchio
I ruderi di questo antico edificio, costruito all'inizio del Trecento, sono i testimoni superstiti della seconda tappa evolutiva della mulattiera del San Gottardo.Il Dazio Vecchio venne abbandonato alla metà del XVI secolo, dopo la costruzione da parte degli urani della strada che taglia dentro la gola del Monte Piottino.

Ruderi del dazio di monte Piottino
Al Dazio Vecchio vi era una piccola locanda che offriva vitto e alloggio ai mercanti e ai viaggiatori. Di fronte alla locanda vi era la stalla, adibita pure a magazzino, dove la merce in transito veniva depositata.
Un portone chiudeva l'accesso ed era posato tra lo stabile principale e la stalla.
Un recinto spaziale, poco discosto, era destinato probabilmente al bestiame che durante la notte era custodito. I somieri sostavano davanti al portone, in attesa che il daziere, valutando la merce e il bestiame, facesse i conti. Terminate le somme, la porta si apriva. "Il commerciante pagava, accanto al salario per il conducente anche una tassa di pedaggio (Furleite-forletto) che serviva alla manutenzione di ponti e strade, e in più un diritto di sosta per l'immagazzinamento delle mercanzie. Il contrabbando, vale a dire l'aggiramento delle strade e delle soste normali, era punito."1
3. La strada urana
Nella seconda metà del XVI secolo, le autorità urane eseguirono in Leventina importanti opere di miglioria stradale. L'esportazione del bestiame e dei prodotti dell'allevamento verso il grande mercato lombardo, che motivava la loro spinta espansionistica a meridione, aveva visto i Cantoni forestali impegnati in un lungo confronto con Milano per il controllo della strada del San Gottardo. Il confronto si risolse in loro favore.L'aumento del commercio transalpino, la concorrenza di altri valichi e i notevoli proventi che si sarebbero potuti ricavare dal Dazio del Piottino, convinsero gli Urani a migliorare la viabilità della "via delle genti" Furono costruiti tre nuovi tratti di strada nelle gole della Biaschina, del Piottino e dello Stalvedro: finalmente la "strada pubblica" di Leventina si snodava completamente lungo il fondovalle. Essa fu percorsa fino all'inizio del XIX secolo quando venne costruita la strada cantonale.

La strada urana nella gola del Piottino oggi
Con questa strada venne per la prima volta violata la terribile gola del Piottino. Il tracciato riprendeva quello della "strada romana" tra Faido e il Ponte della Vicinanza. Attraversato quest'ultimo, si riportava in sponda sinistra, in corrispondenza del Ponte di mezzo per entrare nella gola.
Il Canton Uri chiese alla Dieta di Lucerna il permesso di costruire "una strada lungo l'acqua" già nel 1493, sostenendo che la strada romana del Monte Piottino era "molto dura e cattiva".
Forse per motivi tecnici o per mancanza di soldi la costruzione cominciò solamente nel 1555, grazie al sostegno di Giacomo A Pro, facoltoso commerciante urano di origine leventinese, che riuscì a strappare alla Dieta di Baden un aumento del dazio o Leventina per ottenere i fondi necessari allo scopo.
La strada, "per forza di mine, e spaccature, e poggiata a poderose muraglie", fu terminata con la costruzione di tre ponti nel 1560 per una spesa Complessiva di 3000 corone
Nel 1561 fu completata anche la costruzione del Dazio Grande.

Piottino
Furono inoltre costruiti due nuovi tratti di strada nelle gole della Biaschina e dello Stalvedro: finalmente la "strada pubblica" di Leventina si snodava completamente lungo il fondovalle. Essa fu percorsa fino all'inizio del XIX secolo quando venne costruita la strada cantonale.
Fino all'inizio del XVII secolo la "strada pubblica" verso il passo del San Gottardo aggirava la gola dello Stalvedro, salendo verso Madrano.
Mulattiere
Si stenta a capire come, nella stretta e disuguale mulattiera, intere carovane con bestie da soma pesantemente caricate, potessero transitare.Oltre San Gottardo, nella valle della Reuss, quando la mulattiera passava ancora alla sinistra del fiume, fra Amsteg e Gurtnellen, vi era, sopra Amsteg, nel luogo detto Inschi, un passaggio cosi stretto che le some dovevano essere misurate già a Flüelen, e disposte secondo le loro dimensioni.

In Leventina, quando la strada passava ancora dalla Monda di Nivo, vi era a nord di Nivo, il passo della Senda; non più di un metro di larghezza consentiva il transito di carichi poco voluminosi.
"Non passava un quarto d'ora - scrive un autore del Settecento - senza che si incontrasse una carovana. Erano file di venti, trenta cavalli carichi di pesanti some, con sul carico un'ampia coperta, con la museruola che impediva loro di brucar l'erba ai margini pericolosi della strada, con grandi paraocchi, con al capo pennacchi e pendagli, e al collo grandi e squillanti somagliere."
(Emilio Clemente, La strada del San Gottardo e il trasporto delle mercanzie, in "Valle Leventina Almanacco", 1966, pp. 23-27)
Ogni cavallo era sorvegliato da un somiere, perché le bestie non si urtassero tra di loro o all'incrocio con altre carovane. Queste povere bestie, che erano di un'abilità e di una resistenza eccezionale, avanzavano sicure anche sull'orlo degli abissi, con passo cauto e misurato. Ma anche gli uomini che le guidavano erano di una tempra speciale. I somieri non temevano nessun pericolo. Se il tempo sulla montagna era turbinoso, si mettevano ugualmente in cammino, affrontando con sangue freddo le situazioni più difficili. Sopportavano i più grandi strapazzi con indifferenza, virtù che era loro necessaria, in quanto dovevano sempre camminare dietro ai cavalli, e questi ultimi non cambiavano mai il loro passo lento e cadenzato.

Ogni cavallo era sorvegliato da un somiere, perché le bestie non si urtassero tra di loro o all'incrocio con altre carovane. Queste povere bestie, che erano di un'abilità e di una resistenza eccezionale, avanzavano sicure anche sull'orlo degli abissi, con passo cauto e misurato. Ma anche gli uomini che le guidavano erano di una tempra speciale. I somieri non temevano nessun pericolo. Se il tempo sulla montagna era turbinoso, si mettevano ugualmente in cammino, affrontando con sangue freddo le situazioni più difficili. Sopportavano i più grandi strapazzi con indifferenza, virtù che era loro necessaria, in quanto dovevano sempre camminare dietro ai cavalli, e questi ultimi non cambiavano mai il loro passo lento e cadenzato.

Basti per cavallo o mulo. Guerino e Patrizio Guerino. Castione
La manutenzione delle vie
La costruzione e la manutenzione delle strade nell'ambiente alpino richiedevano innumerevoli sforzi e lavoro comunitario. Il diritto di soma comportava per il somiere l'onere della manutenzione delle vie sul tratto di strada del comune in cui risiedeva. A causa di intemperie, frane e valanghe, i costi di tale manutenzione erano frequenti e ingenti.Il trasporto diretto, mediante l'impiego di somieri esterni, esigeva il prelevamento di una nuova tassa, il forletto, destinato alla manutenzione viaria, tassa che precedentemente veniva riscossa per la scorta armata.
"La strada è quasi ovunque lastricata con pietre grezze e pezzi di roccia e scende a zig-zag nella valle; nei tratti più ripidi è sostenuta da un muro a secco. In più punti il sentiero è doppio: quello tenuto peggio, ma che con la neve è percorribile, viene usato d'inverno; qua e là sono stati piantati pali che fungono da segnavia (...), affinchè si perda meno la strada o non si esca dal tracciato e si cada nel precipizio. L'altro sentiero lo si percorre con maggiore sicurezza nei mesi estivi e quando la neve si sta sciogliendo."
"Da novembre a metà maggio viene pagata un'imposta di "rottura" al comune di Airolo per ogni cavallo che vi passa per il Gottardo. Con essa si pagano le spese che il comune affronta per sgombrare la strada dopo una nevicata."
"Un'altra tassa è anch'essa un pedaggio e si chiama "forletto". Beneficiano di tale imposta soltanto i comuni attraversati dalla strada e nei quali si trovino le soste. I cavallanti sono tenuti a versare tale tributo in ciascun luogo per ogni merce trasportata in ragione di 6 quattrini a collo e a seconda del valore della merce. (...) Con questa tassa si potrebbe migliorare moltissimo la strada maestra; in realtà non pochi quattrini si perdono per questa via, senza che quella sia migliorata."
(H.R. Schinz, Descrizione della Svizzera italiana nel Settecento, Locarno 1985).
L’organizzazione dei trasporti
Lungo i valichi alpini le popolazioni assunsero il "monopolio" del servizio trasporti per conto dei mercanti, pellegrini e viaggiatori, monopolio regolato dai diversi comuni situati sulla strada. Per superare il tratto alpino in Leventina occorreva l'aiuto dei somieri della valle. Tra Lucerna e i laghi ticinesi e lombardi, si dovevano cambiare i mezzi di trasporto, utilizzando chiatte e animali da soma, affidandosi al servizio delle comunità locali.
La someggiatura si sviluppò in Leventina a complemento dell'economia locale, e diventò, insieme al lavoro dei campi e alla pastorizia, un'attività lavorativa che procurò alla popolazione locale nuovi guadagni; tra le altre fonti di guadagno, direttamente o indirettamente legate alla someggiatura, si ricordano: la riscossione dei pedaggi per le some, il vitto e l'alloggio per viandanti, la vendita del foraggio per i cavalli, l'affitto dei prati per il pascolo del bestiame in transito, la vendita di cristalli, il servizio di guida per studiosi e curiosi sulle montagne, la vendita di prodotti dell'allevamento e del bosco.
Il trasporto diretto
All'incremento delle spedizioni commerciali corrispose una nuova forma di organizzazione dei trasporti, sviluppata soprattutto dalle case commerciali italiane. Quando nel XV secolo la Leventina diventò baliaggio, gli Urani piegarono la loro politica alle esigenze del ceto mercantile e regolarono in modo uniforme l'organizzazione dei trasporti lungo la strada tra Flüelen e Magadino. Si impose così il sistema di trasporto diretto, chiamato "Theil", " Strackfuhr", "a dirittura" o forletto. Il nuovo sistema prevedeva, nei nodi nevralgici della via transalpina, l'impiego di rappresentanti esterni e fissi, i fattori, che trasportavano le merci con bestie di loro proprietà su lunghi percorsi, tra Flüelen e Magadino, Coira e Chiavenna, Sion e Domodossola.
Porto di Magadino
Il sistema a tappe come detto impegnava i somieri da una sosta all’altra ed era, lento e complicato, fu poi sovente sostituito dal trasporto diretto, senza scarico e trapasso. I mercanti transitavano sovente anche col proprio personale d'accompagnamento e le proprie bestie. Per questo si pagava una tassa chiamata "forletto" (Fuhrleit), destinata al ripristino delle strade. Il "forletto", attribuito alle vicinanze, veniva distribuito alle rispettive degagne (frazioni)
Il trasporto a tappe, con il servizio dei somieri locali, non venne soppiantato totalmente dal trasporto diretto: lungo i tracciati disagevoli o per il trasporto di carichi ingombranti o di minor valore, i mercanti continuarono a ricorrere all'esperienza dei somieri locali.
Le soste
Le soste erano edifici che sorgevano lungo la strada maestra; servivano al deposito delle mercanzie in transito, durante la notte o in caso di cattivo tempo, per il cambio delle bestie da soma e per il riposo dei somieri che le accompagnavano. Nella sosta entravano le carovane in arrivo, uomini e animali stanchi per la ripida e difficile strada.Il ricevitore riscuoteva dal mercante, o da chi conduceva la carovana, il denaro per il pasto che spettava al somiere, il denaro per la sosta, ed il pedaggio o forletto che andavano alla Comunita. Il ricavo del pedaggio serviva alla manutenzione delle strade e dei ponti. I dazi si riscuotevano a parte.
Poi il distributtore dei carichi consegnava la merce ai nuovi somieri, per turno, in modo che tutti i membri della corporazione partecipassero equamente al trasporto. Terminata la ripartizione dei carichi, la carovana, con i nuovi somieri e gli animali riposati, ripartiva per la prossima sosta, dove di nuovo avveniva il cambio dei somieri e degli animali e si distribuiva la paga; e cosi di seguito, di sosta in sosta, finché la notte sopraggiungeva ed obbligava a fermarsi.
All'indomani, senza indugio, la merce ripartiva.

Questi depositi si erano dimostrati particolarmente utili nei momenti di grande affluenza di merci oppure nei casi d'interruzione sul percorso, in seguito a cadute di valanghe o di frane che impedivano il proseguimento del tragitto. Per la protezione della mercanzia i commercianti pagavano i cosidetti diritti di sosta.
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La casa cantoniera della Tremola invece era al sicuro dai pericoli naturali e restò in attività quale locanda-osteria sino attorno al 1955, quando era gestita da Ortensia Albertini e Daria Genoni, le ultime di tanti airolesi che operarono in quella struttura. Va rilevato che alla cantoniera della Tremola c’era nelle “mezze stagioni”, oltre al cambio dei cavalli, anche il trasferimento delle merci dai carri alle slitte. Non deve essere neanche dimenticato che, per il cambio dei cavalli, alla cantoniera della Tremola gli animali dovevano passare dal locale-osteria per raggiungere la stalla sita dietro contro la roccia, ove c’era posto per quattro cavalli.
Molti di loro apprezzavano queste soste perché potevano usarle come deposito, in attesa di un compratore, risparmiando cosi inutili spese di trasporto e di sosta. Il diritto di sosta valeva 14 giorni, dopo di che veniva di nuovo conteggiato per altrettanti giorni. Le soste nelle valli fanno la loro apparizione solo nel Trecento.
Il distributore dei carichi - il "partitor ballarum" - consegnava la merce ai somieri del longerio successivo, per turno, in modo che tutti i membri della corporazione partecipassero equamente al trasporto. Terminata la ripartizione dei carichi, la carovana con i nuovi somieri e gli animali riposati ripartiva per la prossima sosta.
Sentiero dei mulattieri del Gottardo
Le merci
Tra le numerose merci, trasportate lungo la valle in direzione nord, alcune erano particolarmente pregiate. Tessuti preziosi, come le sete e i velluti, provenivano da Genova, i broccati dorati da Lucca e da terre lontane, le sostanze coloranti e i medicinali.Le spezie erano un carico pregiato, cosi come i prodotti di lusso provenienti dall'Estremo Oriente: seta cinese, tappeti, pietre preziose, e perle. Balsamo, mirra, incenso e cera erano prodotti per le chiese.

Mirra: Resina di Commiphora (Asia)
Molto richiesti a nord erano i vini provenienti dall'Italia, Cipro e Grecia e, da quando si era iniziata la coltivazione del riso in Lombardia alla fine del XV secolo, lo si esportava anche oltralpe. Il sale, un bene necessario per le comunità alpine, proveniva dal delta padano.
Verso sud lungo le strade leventinesi si trasportavano stoffe di lino provenienti dalla Champagne, i tessuti dalle regioni del Reno, le stoffe scarlatte da Gent e Bruxelles, le stoffe da Reims, Chalons sur Marne e Troyes. Le ingombranti balle di lana e di cotone provenivano dai mercati inglesi e orientali. L'ambra di Brema, Lubecca e Amburgo era particolarmente apprezzata a sud. Gli oggetti in vetro lavorato, di Strasburgo, le armi, le armature e le corazze di Solingen, Colonia e Magonza erano i prodotti tra i più richiesti, oltre agli utensili agricoli. Altre merci, come pelli e cuoio, legni di tasso e cipresso, trucioli, stoppa, transitavano lungo le faticose mulattiere della Leventina.

Secondo il Bonstetten "vi transitano annualmente 11'800 some di seta e di cotone grezzi, verso la Svizzera, e di stoffe confezionate, verso l'Italia (la soma da 300 libbre da 18 once). Da vent'anni in qua questo tipo di transito è aumentato sensibilmente. Dalla Svizzera verso l'Italia vanno ancora cavalli, mucche (in particolare), buoi, seterie e tessuti in lana, e tre milioni di libbre di formaggio. Dall'italia verso la Svizzera transitano pelli grezze (da 60 a 150 some), vino (13'000 some), riso in grande quantità, un po di olio, acquavite, specie seta e cotone; da un paio d'anni solamente giunge il caffe, via Genova; il miele ed il grano sono destinati unicamente agli abitanti delle vallate vicine al Gottardo. "
Un interruzione del traffico
Fra le frequenti contese tra le comunità della valle in merito alla strada del Gottardo, una in particolare, sorta nel 1353 per causa del trasporto di merci fra i somieri di Prato e quelli di Faido, provocò un'interruzione del traffico che si fece sentire fin nelle lontane regioni del Reno e della Mosella: in quell'occasione i "mercatores de Alemanea et Lotaringia" si rivolsero a Giovanni Visconti, Signore di Milano, per far cessare la contesa tra le due vicinanze, permettendo così ai mercanti di percorrere nuovamente la via del San Gottardo. In una sentenza ratificata da Giovanni Visconti nel 1353, venne stabilito che il longerio spettante a Faido non doveva essere intralciato dai vicini di Prato e che nella condotta delle mercanzie bisognava attenersi a quanto fino allora osservato.La contesa non si risolse immediatamente e in un documento del 1383, Beatrice Regina Della Schala, moglie di Bernabò Visconti, confermò la decisione presa da Giovanni Visconti trent'anni prima.
Le fasi costruttive del Dazio Grande
Le vicende legate al Dazio Grande sono strettamente connesse a quelle del Passo del San Gottardo: esso costituisce una testimonianza non comune della storia del controllo e dell'utilizzazione della strada del passo tra il XVI secolo e la fine dell'Ottocento.Il Dazio Grande rappresenta uno degli ultimi edifici esistenti che ricordano la volontà dei Cantoni primitivi di dominare politicamente ed economicamente il versante meridionale delle Alpi.
In base alla ricerca archeologica e all'analisi dendrocronologica condotte in occasione del restauro globale degli anni Novanta del secolo scorso, siamo oggi in grado di dire che l'edificio originario è stato terminato entro il 1561, come attesta la data leggibile su un affresco conservato all'interno (fase 1):

Il complesso del Dazio Grande prima delle trasformazioni del 1840
(litografia di autore anonimo)
Voluto dagli Urani - che nel 1515 avevano stanziato 50'000 ducati per la sistemazione della strada del Piottino e per la realizzazione di una struttura daziaria - esso controllava l'entrata e l'uscita dalle Gole.
Nel 1561 dunque, ultimata la strada attraverso la gola del Piottino, fu terminata anche la costruzione del Dazio Grande. Un affresco del 1561, scoperto nel 1997, certifica l'inaugurazione della nuova strada e della casa daziaria da parte del landamano di Uri, Kaspar Imhof e del Landfogto per la Leventina Marty Drösch (Tresch).
San Carlo Borromeo, visitò nel 1567 per la prima volta la Leventina, ritornò poi nel 1570 e nel 1578 e, per l'ultima volta, nel 1581. Sicuramente ha sostato al Dazio auspicando forse la costruzione della chiesetta di fronte all'edificio principale, consacrata nel 1594 dall'arcivescovo di Milano Gaspare Visconti. La chiesa fu rimossa nel 1872 a causa della costruzione della ferrovia e ricostruita poi 100 m a nord della dogana urana. Fra il Dazio e la chiesetta fino al 1830 vi era un portone, che serviva a sbarrare la strada.
Affreschi bellissimi, soffitti e pavimenti di carpenteria imponente, la pigna in pietra ollare, il forno settecentesco del pane, arricchiscono il Dazio. L'arredamento, purtroppo, insieme a documenti e altro è stato alienato negli ultimi decenni prima della costituzione della Fondazione Dazio Grande nel 1989.
Tornando alla storia troviamo nel 1572 la prima citazione scritta del Dazio Grande nell'archivio cantonale urano. Il daziere, di regola Urano, veniva eletto da Uri per 6 anni e doveva depositare una cauzione di 2000 fiorini (il doppio di quanto si chiedeva al daziere di Flüelen).
Abitava al Dazio, gestiva la locanda con alloggio, già allora esistente, e percepiva il 10% della "cifra d'affari" quale retribuzione.
Grandi personaggi del passato come Alessandro Volta, De Saussure, Scheuchzer e molti altri raccontano con enfasi delle loro peripezie nella Gola del Piottino e soprattutto al Dazio Grande. San Carlo Borromeo, passando dal Piottino scrisse:
"...l'Oribile muggito delle acque, che rodono la pietra, di poi la salita nel ridente piano sopra al Dazio Grande coperto di fiori e delle prime rose, ma che eccetto ciliege e segale, non ha altro frutto"...
Il Dazio Grande - che aveva anche la funzione di sosta per il cambio dei cavalli - non oltre il primo decennio dell'Ottocento è stato affiancato dalla grande stalla, ancora oggi esistente.

La stalla oggi
Questo intervento ha determinato il cambiamento di funzione: il Dazio Grande è divenuto punto di sosta e di ristoro per il servizio postale del San Gottardo.
Nel 1883, la costruzione della ferrovia del San Gottardo segnò il lento declino della struttura, che perse la sua funzione originaria e venne trasformata in casa d'abitazione.

Dazio prima dell’inizio dei restauri, fine anni 80
L'intervento di restauro degli anni Novanta - promosso dalla omonima Fondazione - ha rivitalizzato il Dazio Grande, consacrandolo nella funzione attuale di luogo d'incontro, di cultura e di scambio.

Gli introiti al Dazio Grande sono documentati solo a partire dal 1756 e rappresentavano allora fino al 30% delle entrate complessive del Canton Uri.
Caduto il baliaggio urano sulla Leventina nel 1803, la proprietà del Dazio Grande, con stalle, prati e chiesetta, in più gli introiti daziali, passarono al Canton Ticino, dopo lunghe e penose trattative durate dal 1804 al 1846!La funzione di dazio fu trasferita nel 1837 da Rodi al passo del San Gottardo, mentre già nel 1804 era stato creato al Dazio un deposito postale.
Le poste e le dogane, nel 1849, passarono alle dipendenze della Confederazione e Giuseppe Gianella "Minore", già tenutario della posta cantonale, divenne titolare dell'ufficio postale federale al Dazio Grande. Questo ufficio fu poi trasferito nel 1904 nei pressi della stazione ferroviaria di Rodi-Fiesso.
La proprietà complessiva del Dazio Grande nel 1868 passava dal Cantone alla famiglia Gianella-Sartore di Dalpe. Gli ultimi discendenti di questa famiglia, 4 figlie, residenti in Alsazia vendettero il "Dazio" alla famiglia Manzocchi di Rodi nel 1988, dalla quale la Fondazione Dazio Grande potè acquistare lo stabile con giardinetto nel 1989. Nel 2001 poi, avvenne l'acquisto delle stalle e del terreno adiacenti, così che ora la Fondazione gestisce tutto il complesso dell'antico Dazio urano.
Dazio, daziere e pedaggio
Si trovavano spesso due voci distinte: dazio e pedaggio. Il pedaggio era la parte riguardante le spese di costruzione e di manutenzione delle strade, mentre il dazio era una vera e propria imposta che andava alla cassa cantonale di Uri, non più come prima alla cassa della Comunità di Leventina."Fruttava in un certo tempo dalle 16000 alle 24'000 lire l'anno, mentre le spese per la strada non superavano le 1000 lire."
Uri aveva messo le mani su qualcosa di molto redditizio. I dazieri venivano scelti da Uri e questa carica era data ai cadetti delle famiglie urane più in vista e rap presentava in un certo modo un apprendistato nella carriera politica, un trampolino di lancio.
Si stabiliva un certo contatto tra le famiglie urane e quelle di Prato, tanto che il daziere e sua moglie, e altri suoi congiunti, erano spesso padrini dei figli delle famiglie leventinesi e alcune volte qualche abitante di Prato era padrino o madrina dei figli del daziere. Questi fatti non sono senza importanza per le relazioni con Uri, per l'ascesa dei leventinesi nelle sfere dirigenti sia militari che politiche e per l'otteni-mento della cittadinanza urana: si veda il caso dei Da Pro, degli Scolari e dei Sartor.
Uri e Leventina
Oltre al patto di comborghesia e di protezione del 19 agosto 1403 con Uri e Obwalden, la Leventina (nell'ottobre del 1405) aveva stretto con Uri un altro trattato di reciproco rispetto, basato su di un'alleanza analoga a quella in vigore tra i diversi paesi confederati. I benefici che Uri ritraeva dall'esenzione dei dazi (fino alle porte di Varese e di Milano), furono estesi anche ai leventinesi, portando così un notevole vantaggio alla valle. I leventinesi, accesi propagatori di una politica d'espansione a sud, erano attivi commercianti nella Svizzera interna, nonché fino a Varese e Milano.Uri, però, tentò ripetutamente, qualche secolo dopo, di adulterare quel patto, diventando sempre più un governo di dominio assoluto ed esclusivo. Soprattutto nel 600 e nel '700, seguendo la tendenza che caratterizza tutto il mondo europeo di quel tempo, dove Paesi e Stati si fanno sempre più totalitari, la comborghesia si tramutò cosi in vera e propria sudditanza.
Un primo attacco ai diritti leventinesi fu quello di impossessarsi della gestione del Dazio Grande e della sua rendita, che da sempre spettava alla Leventina per la manutenzione della strada. Questo fatto avvenne nel 1561, dopo la costruzione dell'edificio e della nuova strada. La motivazione di questa pretesa era basata sull'inferiorità della Leventina che, quale paese suddito, non aveva il diritto di ricevere compensi o donazioni da parte dell'autorità sovrana.
"Se Leventina abbia visto di buon occhio questa usurpazione, - scrive Padre Angelico nei Leponti - ognuno sel può immaginare. Fu questo un duro colpo che privò il paese per sempre d'un utile, e reale possedimento, e che fece ben presentire indubitamente il tuono progressivo che il magistrato Urano avrebbe tenuto per aversi la completa, ed assoluta sudditanza della valle."!
Uri tentò, nel 1602, un altro grave strappo ai danni delle franchigie di Leventina, pretendendo che quest'ultima riformasse il suo statuto su quello di Uri. Nacque un vero putiferio di proteste da parte dei leventinesi; così Uri dovette sospendere il progetto. Altre forme di imposizioni si verificarono negli anni successivi e, nonostante il disappunto dei leventinesi, il Governo Urano persistette in quella pratica, suscitando un vivacissimo senso di ostilità.
Il malcontento generale e le continue pressioni della valle contro le tiranniche riforme urane, durarono ancora a lungo. Il 25 luglio 1712, i leventinesi si prestarono però in aiuto agli urani nella guerra di Villmergen. Nella loro posizione di retroguardia, combatterono le truppe protestanti vittoriose, salvando le truppe cattoliche e permettendo loro la ritirata. I prodi leventinesi domandarono ad Uri l'indennizzo per le spese e il compenso per i militi, ma Uri rifiutò.
L'ingiustizia subita dai leventinesi fece si che lo stesso giorno essi occuparono il Dazio Grande e si impossessarono della rendita. Uri non intervenne; forse fu una mossa tattica per placare un poco le ire che da tempo si erano diffuse nella valle. Da ciò nacque addirittura un Nuovo Statuto, datato 1713, dove Però i leventinesi accettarono qualche compromesso.
Da allora, gli abusi e le venalità dei balivi dell'amministrazione della giustizia andarono aggravandosi. Sembra che anche il Clero leventinese condividesse i sentimenti della popolazione; infatti, da un antico documento del 1646 si sa che in un discorso il Curato di Faido invitò chiaramente la popolazione alla sedizione. Uri reagì chiedendo l'arresto e la punizione dei Sacerdoti "agitatori"
Nel 1754, un nuovo decreto fu emesso da Uri, dove un'innovazione ardita nelle istituzioni civili del paese recò alla Leventina un nuovo intacco nelle autonomie locali. L'ordine era impartito ai Curatori dei beni degli orfani e delle vedove, che dovevano allestire un preciso inventario dei beni loro affidati.
La rivolta della Leventina
Si era giunti così all'anno 1755: il clima della rivolta era imminente e tutti aspiravano ardentemente a conquistare l'indipendenza. La domenica 8 maggio, essendo stato visto a Faido il Landfogto Gamma passare a cavallo, diretto verso il Dazio Grande, i leventinesi credettero che si recasse presso il daziere urano Tanner per predisporre l'intervento armato. Suonarono a stormo ed alcuni giovani corsero a fermare il Landfogto, accompagnandolo poi al domicilio. Erano appostate delle guardie sulla strada verso Airolo, per impedirne la fuga, ma non fu tenuto prigioniero, né maltrattato.Questo però bastò perché il daziere inviasse ad Altdorf un falso e allarmante rapporto, dove annunciava l'arresto violento e la prigionia del Landfogto, che il popolo era in sommossa ed armato contro Uri, ed era già pronto ad ogni evenienza, in parte sul San Gottardo ed in parte al Monte Piottino.
L'11 maggio 1755, Uri dichiarò lo stato di guerra e mobilitò con l'aiuto dei confederati circa 8000 uomini. Il 21 maggio le truppe di Uri e Unterwalden (ca. 2800 uomini) circondarono e costrinsero alla resa il paese di Airolo. Il 22 gli urani avanzavano rastrellando tutti i paesi sino a Dalpe, sequestrando le armi ed effettuando i primi arresti.
L'8a Compagnia restò sul San Gottardo, la 7a in Val Bedretto, la 5a e la Ga si dirissero verso Quinto, mente la 3a e la 4a verso Prato. Il Dazio fu occupato da una guarnigione, che vi si appostò con due cannoni.
Fra gli arrestati figurano il Consigliere Sartor di Dalpe, il Capitano Lorenzo Orsi di Chiggiogna, già valoroso combattente nella milizia urana e l'Alfiere Giacomo Forni.
Uri condannò a morte i tre principali istigatori della rivolta e il 2 giugno esegui la sentenza, decapitandoli a Faido davanti all'intera popolazione maschile. In un silenzio di morte, il popolo fu fatto inginocchiare e fu costretto a giurare fedeltà al Cantone Sovrano: tutte le loro leggi furono abolite e furono privati di ogni privilegio municipale, civile e giudiziario: l'uso delle armi venne severamente proibito e la maggior parte venne confiscata. Gli urani condussero gli altri otto o nove complici arrestati nelle galere di Altdorf, dove furono anch'essi decapitati senza pietà. Sulla testa degli altri fuggiaschi a capo della rivolta, fu messa una taglia e, ancora 20 anni dopo i bandi venivano rinnovati.
Il moto leventinese del 1755 è il solo che nei tre secoli della Dominazione Svizzera si sia verificato nei baliaggi italiani.
La degenerazione aristocratica dei metodi del Governo d'Uri e la ribellione dei leventinesi contro ogni forma di innovazione, contribuirono all'innesco di azioni tanto barbare quanto inutili.Repubblica elvetica
Nel 1798 termina la sovranità di Uri sulla Leventina (come dei confederati sul Ticino e sugli altri baliaggi).Mentre si sta organizzando la Repubblica Elvetica, sul modello di quella Francese della rivoluzione, la Leventina si organizza in uno stato libero con un Governo Provvisorio. In quel momento Uri avanza delle pretese di proprietà sul Dazio Grande e invia il 5 maggio 1798 una lettera al Governo Provvisorio di Leventina', nella quale si legge: "Per il Dazio, la casa, fabbriche, la stalla, i fondi mobili, si riserva di dare al popolo di Leventina quei documenti e chiarezze che ha desiderato il Governo Provvisorio per provargli che questo dipende da proprietà vera, sperando che il popolo di Leventina giusto ed equo a tempo migliore, troverà ragionevole la pretesa proprietà."
La controversia nasceva dalla diversa considerazione del duplice aspetto del problema:
primo: il diritto di gestire il Dazio e di percepire le entrate
secondo: la proprietà materiale degli stabili
Ciascuno dei due governi aveva le sue ragioni, e il Governo Provvisorio di Leventina si esprimeva così:
"Non discutendo più sul come il Dazio era passato ad Uri nel 1400 (Uri aveva tolto il diritto al Dazio asserendo che un paese suddito non può esercitare diritti sovrani, era ormai stato accettato ed era in vigore da poco meno di quattro secoli), ora Leventina non è più suddita a nessuno. Quindi la Leventina, con lo stesso diritto vantato da Uri, ha il diritto di esercitare autorità sovrana su tutta la valle, di conseguenza anche il diritto a percepire il dazio deve passare a Leventina."
Uri invece si appellava alla proprietà e non più al diritto di esercitare sovranità.
Infatti, Uri aveva provveduto alla costruzione dei nuovi fabbricati, all'acquisto dei terreni, nonché alla costruzione della strada nella gola del Monte Piottino.
Queste controversie vennero risolte dapprima, provvisoriamente, con il Governo di Leventina e poi con quello del Canton Ticino. Si riconosceva un certo diritto anche ad Uri, lasciando però la gestione alla Leventina (poi al Ticino), mentre la metà della rendita veniva versata ad Uri.
Finalmente, il 26 gennaio 1846, il Cantone Ticino riscattava il Dazio Grande, mediante il pagamento ad Uri della somma di franchi 115'563,63.
Testimonianze di viaggio - I leventinesi
Hans Rudolf SchinzHans Rudolf Schinz, un giovane pastore protestante di Zurigo, durante un soggiorno locarnese di due anni, è autore di una delle fonti più importanti per la conoscenza del territorio del futuro Cantone Ticino. Questo essenziale contributo, pubblicato negli anni 1783-87, è stato tradotto in lingua italiana nel 1985, con il titolo di Descrizione della Svizzera Italiana nel Settecento. Eccone alcune testimonianze:
"Gli abitanti che vedemmo e con i quali parlammo sembravano di carattere buono, leali, socievoli partecipi molto più del carattere dei tedeschi e dei montanari che della diffidenza degli italiani, della cui lingua pure si seryono. Analogie dell'atmosfera delle abitazioni, del modo di vivere, i rapporti più frequenti e il commercio con i tedeschi, insieme col gusto di una relativa libertà, invero assai limitata dopo la rivoluzione del 1755, possono essere all'origine del fatto che essi si avvicinino più a quelli che agli italiani. Se ne incontrano anche molti che parlano la lingua tedesca, e la maggior parte degli uomini la capisce. Qui alla locanda del Piottino parlano tutti tedesco, poiché l'oste, come doganiere nominato dalle autorità, deve sempre essere un cittadino di Uri."
Johann Heinrich Meyer
"Camminava con noi un leventinese. Il farsetto sdrucito che portava sulle spalle e l'espressione fosca non facevano sperare in una piacevole compagnia. Appena aprì bocca, fu subito pieno di fuoco e di vita; parlava declamando, e i suoi gesti erano eloquenti quanto le parole. In seguito incontrammo molta gente così, e solo qualche volta dei veri furfanti. Per lo più sui loro volti giallognoli sono dipinte cupa serietà e collerica aggressività, e solo di rado, invece, quella bonomia ch'è propria dei contadini svizzeri tedeschi. Tipica del loro temperamento è un' impetuosità che facilmente dà in scoppi d'ira. La loro esclamazione abituale: ‹Allegro!», viene spesso accompagnata da un'espressione contraria al senso della parola."
Desaix
"Era domenica; ed era interessante vedere la gente del luogo tanto ben vestita. In questa valle, chiamata Leventina, tutta la gente è assai bella, veste abiti di cotone, e porta cappelli rotondi."
Testimonianze di viaggio - il Piottino
Hans Rudolf Schinz"Non appena si è passato il ponte di pietra che attraversa il Ticino proprio accanto all'edificio del dazio, l'aspetto della natura cambia altrettanto rapidamente e stranamente che nella Schöllenen presso il Ponte del Diavolo. Ci stupimmo alla vista della selvaggia asprezza dell'orrida gola in cui scendevamo per un cunicolo scavato con grandi spese nella viva roccia.
Questa strada è senz'altro una prova di quanto lontano si spinga l'audacia dell'uomo, quando lo pungola l'esigenza di accrescere dei godimenti dei vantaggi della vita sociale e dei traffici con altri uomini e altri paesi, quando nuovi e maggiori bisogni si destano in lui e la necessità di soddisfarli aguzza l'inventiva, spinge a superare gli ostacoli, tempra le forze. A quanti disagi, a quanto duro lavoro e a quanta fatica non si espone l'uomo - pensavo - per ottenere più agi e unesistenza pi raffinata e piacel toccia, insieme con i tre ponti di pietra costruiti con grande perizia al di sopra della corrente impetuosa, è costato -come mi assicurò un abitante della valle - qualcosa come settantamila fiorini.
Se si percorre questo passaggio pensando a tutte le spese e a tutto il lavoro impiegato per costruirlo, non stupirà che il pedaggio stabilito dal sovrano nel 1513 per la manutenzione di una strada così preziosa sia stato approvato e riconosciuto da tutti gli Stati della Confederazione. Il fragore del fiume che scorreva impetuoso in un orrido abisso accanto a noi, precipitando come polverizzato, abbattendosi in onde schiumose attraverso mille blocchi di roccia, ci impediva di parlare perché nessuno riusciva a udire l'altro per lo scroscio assordante; sopra il nostro capo pendeva una smisurata massa di roccia che ad ogni istante sembrava sul punto di crollare.
L'ombra scura e profonda in cui è costantemente sepolta questa via mai illuminata dal sole, l'orrida, fredda umidità dell'acqua polverizzata, che sale come una nebbia e bagna completamente il cammino in molti punti, occupavano i pensieri di ciascuno di noi, cosi che camminavamo contemplando tutto ciò in cupo silenzio, né potemmo riprenderci dallo stupore prima che la selvaggia natura svanisse, a poco a poco, con l'allargarsi della valle in una nuova, più dolce contrada. Dovemmo continuare a scendere, ma quanto più procedevamo, tanto più avvertivamo chiaramente, nelle piante incontrate, il clima più mite e la lontananza dalle vette alpine. Quando fummo fuori dalla gola e la via divenne migliore, risalimmo a cavallo e cavalcammo lentamente, per goderci la bella mattina e il piacere dei primi raggi di sole che si affacciavano sulle montagne boscose."
Johann Heinrich Meyer
"Qui all'improvviso il paesaggio ridiventa selvaggio. La strada passa entro un'imponente gola rocciosa, lungo il Ticino che infuria spumoso con violento fragore, e scroscia giù per la roccia, vicinissimo al viaggiatore, con rombo di tuono. L'aria sempre sconvolta e la nube di goccioline che sale dal fiume diffondono un'umida frescura nella gola grigia che si leva in verticale sulla nostra testa. Dalla gola infine un ponte ad arcata conduce in una selvaggia valle folta di arbusti, e la strada continua a scendere fino al borgo di Faido."
Gli ospizi
Agli occhi di un viaggiatore medioevale le Alpi dovevano apparire come un luogo pericoloso e difficile da attraversare, ma punteggiato da una rete di case accoglienti. Nati nell'ambito dell'esperienza cristiana, gli hospitia o domus hospitales avevano lo scopo di accogliere e aiutare in modo concreto e gratuito non solo i viaggiatori, ma anche più in generale i deboli.Erano presenti in tutta Europa, ma lungo i percorsi alpini assumevano un valore speciale, per via dell'ambiente difficile in cui costituivano molto spesso l'unico punto d'appoggio.
Arrivarono infatti a servire anche i passi più alti, grazie al coraggio e alla generosità di religiosi e in seguito di laici riuniti in confraternite.

Friedrich Rosenberg e Charles-Melchior Descourtis,
Sommità del passo del San Gottardo con l’ospizio e il lago, 1788
Queste istituzioni furono, nonostante tutte le loro inadeguatezze, un "locus magne misericordie": riflessi, per quanto opachi, di una misericordia realmente sperimentabile.
La loro presenza fu decisiva per la genesi dell'Europa, permettendo che le Alpi non fossero una barriera, ma svolgessero un ruolo di cerniera tra Europa mediterranea ed Europa centro-settentrionale, prima di lasciare il passo alle locande e alle osterie a pagamento.
Monasteri e pellegrini
Dai primi secoli di cristianizzazione divenne consuetudine per potentati, feudi e signori locali fondare monasteri, allo scopo di controllare una determinata regione - al pari di postazioni militari. I monasteri sorti accanto ai passi alpini testimoniano il dominio politico sulle strate-giche regioni con valichi. Un esempio fu l'abbazia di Disentis.La favorevole posizione di luoghi di culto sulle Alpi presentava inoltre dei vantaggi per i viandanti e i pellegrini, che in numero sempre crescente s'incamminavano verso Roma. Vi potevano trovare ricovero e ospitalità.

"Carlo Borromeo visitò per intiero la Leventina, e salì ancora sul S.Gottardo. Giunto su quel monte ai primi di agosto "per istrada assai ardua e difficile" vi celebrò la messa, e visitò dappoi la cappella. "Vi si tenea di notte accesa una lampada col butirro. Un'altra lampada tenevasi nelle case dell'ospitale, per sovvenir meglio di notte al bisogno dei viandanti. Si accenna che vi convenian le processioni della valle Formazza, e della Cruara. Quei di Orsera, del Vallese, di Airolo, Bedretto e Quinto non mancavan d'intervenirvi pure processionalmente. La chiesa era in grande venerazione, ed era perciò frequentata."
(Cattaneo Rodolfo. I Leponti, ossia memorie storiche leventinesi del P.Angelico. Lugano 1874.)
Verso la metà del XIII secolo, l'abate Alberto di Stade, presso Amburgo, consigliò l'itinerario del Gottardo, fra i diversi tragitti frequentati dai pellegrini di ritorno da Roma: "Da Lowens (Lugano) si raggiunge Belence (Bellinzona) e per Elvelinum (Gottardo) si perviene a Lucernam cum stagno. Quindi si prosegue verso nord. "
Verso la metà del XIII secolo, l'abate Alberto di Stade, presso Amburgo, consigliò l'itinerario del Gottardo, fra i diversi tragitti frequentati dai pellegrini di ritorno da Roma: "Da Lowens (Lugano) si raggiunge Belence (Bellinzona) e per Elvelinum (Gottardo) si perviene a Lucernam cum stagno. Quindi si prosegue verso nord. "
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