Si, lo so, lo sappiamo, é un falso. Quindi non avrebbe nemmeno senso acquistare un libro che parli della cintura di castità. Ma decido per una volta di lasciarmi andare e sforzarmi di credere nelle dicerie, nelle dubbie testimonianze ripetute nei secoli fino a far divenire la cintura di castità un oggetto fisicamente reale e del quale buona parte della gente crede nell’utilizzo nel passato.
Ex libris
Glia albori: la cintura di lana
Per mantenere la verginità delle fanciulle si usava cingerle, quando giungevano alle soglie del matrimonio, con una cintura di lana di pecora finemente intrecciata. Si lamentava che la lana non fosse mai abbastanza buona per fabbricare tali cinti. Doveva essere molto morbida e di pecora « pura », cioè non contaminata dal « maschio ».« castaque fallaci zona recincta manu » (si protegga la casta zona dalla fallace mano) dice Ovidio.
E i genitori, per prevenire i rapporti prematrimoniali o anche il pericolo di qualunque contatto, fasciavano le parti basse delle fanciulle con il cinto. La cintura si chiudeva in fondo alla schiena con un nodo, detto «nodo di Ercole », che veniva sciolto dallo sposo dopo la cerimonia nuziale.
Nella letteratura latina si parla spesso di « sciogliere i nodi », ma questa locuzione ha preso, per estensione, il significato di rapporto sessuale.
Non si deve pensare che la cintura, anche se fatta di morbida lana intrecciata, fosse un delicato tessuto; era assai robusta e si può facilmente immaginare quale fastidia potesse dare alla povera ragazza.
Alcuni sostengono che dopo il matrimonio lo sposo cingesse la consorte con un'altra cintura per assicurarsene la fedeltà. Questo però non è provato.
Dapprima c'è il dolore fisico procurato dal ferro che le tortura la pelle, poi il tremendo disagio causato dall'impossibilità di lavarsi, e infine la sofferenza di non poter soddisfare le sue voglie. Il marito tornerà chissà quando, magari dopo dieci anni. Nel frattempo le carni vengono maciullate dal micidiale arnese.
« La cintura di castità si compone di due parti distinte, formando la prima propriamente una cintura — consistente in una striscia di metallo flessibile, talvolta ricoperta di velluto, che passa intorno al corpo all'altezza delle anche — ed essendo la seconda una placca (talora due placche) perforata e fissata perpendicolarmente alla striscia flessibile.
In una didascalia, che accompagna un modello di cintura di castità - probabilmente inglese del tardo Seicento - esposta in una collezione privata di Milano, troviamo un secondo motivo di conforto:
«Un'imperitura mitologia popolare, ma echeggiata anche in ambienti ed in libri accademici, mistifica questi arnesi. La favola vuole che essi servissero per assicurare la fedeltà delle mogli durante le lunghe assenze dei mariti, ed in particolare - non si sa bene perché, dal momento che non si ha conoscenza di alcuna documentazione che suffragherebbe un'ipotesi simile - delle mogli dei cavalieri crociati che stavano per recarsi in terra santa.
Può anche darsi che a volte, ma non come usanza normale, la fedeltà venisse assicurata in questo modo per brevi periodi, per qualche ora o per un paio di giorni, ma mai per tempi lunghi. Un momento di riflessione metterà in evidenza l'assurdità di un tale scenario: una donna così asserragliata sarebbe ben presto in preda alla morte per setticemia cagionata dagli irremovibili residui tossici, per non parlare delle abrasioni e delle lacerazioni provocate dal solo attrito con il ferro; e forse a prescindere anche, infine, dalla non scarsa probabilità che la moglie di uno che è in partenza per tempi indeterminati sia, anche se solo da pochi minuti, incinta.
Quindi sorge la domanda: la cintura è o non è uno strumento di tortura? E la risposta è un inequivocabile sì, perché questa umiliazione, questo oltraggio al corpo ed allo spirito, viene imposto dal terrore del maschio sopraffattore, dalla minaccia di dover soffrire per volontà della natura maschile ».
« una dozzina di strani ordigni alla Fiera di Saint Germain, per imbrigliare "l'affare" delle donne. Erano di ferro e cingevano come una cintura, coprivano le parti basse e si chiudevano con la chiave; erano lavorati sì sottilmente che non era possibile che la donna, una volta imbrigliata, potesse procurarsi il dolce piacere, non essendovi che qualche piccolo buco giusto per orinare ».
Al chincagliere comunque la spedizione non andò molto bene: prima fu costretto a fuggire dalla Fiera di Saint Germain, assalito dalle donne imbestialite (e, dicono, anche dagli scapoli poco propensi a farsi precludere i loro piaceri) poi addirittura da Parigi: sembra infatti che fosse incline a costruire, dietro lauti compensi, il duplicato delle chiavi. (e te pareva che come al solito non si cerca di fare i furbetti?)
Sebbene l'oggetto sia un falso clamoroso del quale non si riescono a trovare testimonianze certe risalenti al medioevo incredibilmente si trovano dei casi di fine 800 effettivamente avvenuti e riportati dalla stampa dell'epoca. Ecco una coso concreto
Il caso (del 1883) riguarda una ragazza spagnola che lavora al servizio di un medico, ovviamente sposato. Non contento di avere rapporti carnali con la moglie, costui comincia, riuscendoci, a circuire la dipendente, e porta avanti entrambe le relazioni, finché un giorno parte per un viaggio di lavoro. Per essere sicuro che la giovane "amante" non si prenda delle libertà, le fa costruire una piccola e graziosa cintura di ferro artisticamente lavorata e gliela cinge ai fianchi. L'ingenua se la tiene addosso per sei mesi, ininterrottamente, nonostante l'impedimento ai movimenti e atroci sofferenze.
Nella letteratura latina si parla spesso di « sciogliere i nodi », ma questa locuzione ha preso, per estensione, il significato di rapporto sessuale.
Non si deve pensare che la cintura, anche se fatta di morbida lana intrecciata, fosse un delicato tessuto; era assai robusta e si può facilmente immaginare quale fastidia potesse dare alla povera ragazza.
Alcuni sostengono che dopo il matrimonio lo sposo cingesse la consorte con un'altra cintura per assicurarsene la fedeltà. Questo però non è provato.
Ai tempi dei crociati
È una comune credenza che la cintura di castità fosse usata dai cavalieri crociati nel Medioevo. Tutti si figurano il crociato che, prima di partire per la Terrasanta, cinge le anche della castellana con una cintura metallica. La poveretta, esile e bianca (come ci viene proposta dall'iconografia del tempo) si aggira infelice nel castello, praticamente reclusa nella sua stanza e in preda ai tormenti.Dapprima c'è il dolore fisico procurato dal ferro che le tortura la pelle, poi il tremendo disagio causato dall'impossibilità di lavarsi, e infine la sofferenza di non poter soddisfare le sue voglie. Il marito tornerà chissà quando, magari dopo dieci anni. Nel frattempo le carni vengono maciullate dal micidiale arnese.
Un superallupato Fantozzi sta per fare i conti con la cintura al rientro dalle crociate
Definizione dal dizionario di sessuologia
La descrizione di Jean Jacques Pauvert, tratta dal Dictionnaire de Sexuologie (1962) ne dà un'immagine da far rabbrividire:« La cintura di castità si compone di due parti distinte, formando la prima propriamente una cintura — consistente in una striscia di metallo flessibile, talvolta ricoperta di velluto, che passa intorno al corpo all'altezza delle anche — ed essendo la seconda una placca (talora due placche) perforata e fissata perpendicolarmente alla striscia flessibile.
La seconda parte dell'apparecchio è generalmente costituita di metallo, di osso o di avorio, e in modo da premere sul mons veneris e da estendersi tra le gambe, fino a coprire completamente la vulva. La foratura, a volte dentellata, consente l'esercizio delle funzioni naturali, senza tuttavia permettere che nemmeno la punta del mignolo possa entrare in alcun buco.
La serratura è posta generalmente alla cintura, e talvolta di dietro, nel punto in cui le due strisce di metallo si uniscono. L'utilizzazione delle due placche si è rivelata necessaria quando si voleva proteggere non solo gli organi genitali, ma anche l'ano, per impedire in tal modo certi tipi di rapporti che si diceva fossero venuti dall'Oriente attraverso Venezia. In generale la cintura di castità aveva lo scopo non solo di prevenire ogni coito illegittimo, ma anche ogni soddisfacimento autoerotico ».
Nella xilografia tedesca di Sebald Beham (XV secolo) è rappresentata una donna seminuda, coperta soltanto dalle mutande di ferro, in piedi tra due uomini; alla sua destra il marito, vecchio e brutto, le circonda le spalle con aria di possesso, dal fianco gli pende una borsa, che l'infedele sta alleggerendo dei soldi che passa con l'altra mano all'amante. Quest'ultimo, un giovane barbuto, ha già in mano la chiave dell'intima serratura.
In una didascalia, che accompagna un modello di cintura di castità - probabilmente inglese del tardo Seicento - esposta in una collezione privata di Milano, troviamo un secondo motivo di conforto:
«Un'imperitura mitologia popolare, ma echeggiata anche in ambienti ed in libri accademici, mistifica questi arnesi. La favola vuole che essi servissero per assicurare la fedeltà delle mogli durante le lunghe assenze dei mariti, ed in particolare - non si sa bene perché, dal momento che non si ha conoscenza di alcuna documentazione che suffragherebbe un'ipotesi simile - delle mogli dei cavalieri crociati che stavano per recarsi in terra santa.
Può anche darsi che a volte, ma non come usanza normale, la fedeltà venisse assicurata in questo modo per brevi periodi, per qualche ora o per un paio di giorni, ma mai per tempi lunghi. Un momento di riflessione metterà in evidenza l'assurdità di un tale scenario: una donna così asserragliata sarebbe ben presto in preda alla morte per setticemia cagionata dagli irremovibili residui tossici, per non parlare delle abrasioni e delle lacerazioni provocate dal solo attrito con il ferro; e forse a prescindere anche, infine, dalla non scarsa probabilità che la moglie di uno che è in partenza per tempi indeterminati sia, anche se solo da pochi minuti, incinta.
Quindi sorge la domanda: la cintura è o non è uno strumento di tortura? E la risposta è un inequivocabile sì, perché questa umiliazione, questo oltraggio al corpo ed allo spirito, viene imposto dal terrore del maschio sopraffattore, dalla minaccia di dover soffrire per volontà della natura maschile ».
« A proposito della cintura di castità, Monsieur de Laborde sottolinea che, come uso abituale, essa non è affatto esistita. Soprattutto in una nazione spirituale come la nostra; possono essere state forgiate eccezionalmente, per capriccio di qualche maniaco ».
Business
Secondo Pierre de Bourdeille, signore di Brantôme, gli italiani, non contenti di brutalizzare con simile strumento le proprie donne, cercano addirittura di esportare il chiavistello oltre le Alpi. Nella sua raccolta di notizie piccanti, intitolata Vita delle dame galanti e delle donne illustri ci narra che, sotto il regno di Enrico II, un chincagliere italiano portò:
« una dozzina di strani ordigni alla Fiera di Saint Germain, per imbrigliare "l'affare" delle donne. Erano di ferro e cingevano come una cintura, coprivano le parti basse e si chiudevano con la chiave; erano lavorati sì sottilmente che non era possibile che la donna, una volta imbrigliata, potesse procurarsi il dolce piacere, non essendovi che qualche piccolo buco giusto per orinare ».
Al chincagliere comunque la spedizione non andò molto bene: prima fu costretto a fuggire dalla Fiera di Saint Germain, assalito dalle donne imbestialite (e, dicono, anche dagli scapoli poco propensi a farsi precludere i loro piaceri) poi addirittura da Parigi: sembra infatti che fosse incline a costruire, dietro lauti compensi, il duplicato delle chiavi. (e te pareva che come al solito non si cerca di fare i furbetti?)
La cintura di Cluny
La cintura di Cluny è un oggetto indubbiamente regale, finemente lavorata; si compone di due placche d'argento, foderato di damasco e trapunto d'oro. L'apertura della parte anteriore, di forma ovoidale, è dentellata; l'apertura della placca posteriore ha forma di trifoglio. Il metallo è inciso e raffigura Adamo ed Eva. Le due placche sono perfino snodabili e tenute insieme da una cerniera.
Un altro esemplare di cintura conservato al Museo di Cluny
Florenzer
Un altro spunto di riflessione ce lo fornisce il fatto che Diderot chiama la cintura di castità « congegno fiorentino » e con ciò crediamo che intendesse il congegno che, oltre a coprire la parte anteriore, si allungava a coprire anche il posteriore. Perché « fiorentino »? Perché era convinzione comune che la parte posteriore fosse particolarmente amata dal fiorentini, tanto è vero che in passato florenzer voleva dire omosessuale.Testimonianze recenti
Alla fine essendo il martirio divenuto insopportabile, ne parla a un'amica che le suggerisce di andare al pronto soccorso.
Lei segue il consiglio e, quando i medici vedono in quale stato sono ridotti i suoi genitali, scatta l'inchiesta.
Lei segue il consiglio e, quando i medici vedono in quale stato sono ridotti i suoi genitali, scatta l'inchiesta.
L'amante non subisce il processo perché la magistratura, a seguito degli accertamenti, rileva che il fatto è avvenuto di comune accordo; che il colpevole abbia esercitato sulla giovane (sprovveduta e in situazione subalterna) una violenza psicologica, ai giudici spagnoli non è venuto nemmeno in mente!
Gadgets odierni
Inutile dire che nella varietà odierna, composta di gente annoiata subito pronta a provare l'improvabile non ci si mette molto a trovare gadgets per assaporare "antiche emozioni".
Commenti
Posta un commento