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Due pene di morte poco note

La fantasia umana trova una delle sue massime espressioni quando si trova a dover escogitare qualcosa di doloroso, di cattivo, per la parte del male. Forse perché presente nei nostri incubi più profondi.

Ecco un paio di metodi di esecuzioni quantomeno di nicchia in cui mi sono imbattuto negli ultimi mesi

Impiccato coi cani

I manoscritti miniati del "Sachsenspiegel" del XIV secolo mostrano una benda sugli occhi del giustiziato, ma ovviamente in seguito non fu più utilizzata. Per rendere ancora più vergognosa questa punizione, i colpevoli ebrei, che a volte venivano anche impiccati per i piedi, avevano al loro fianco due cani vivi - più raramente scimmie - che scattavano sul corpo del giustiziato.

Come se essere impiccati non bastasse. 
L'impiccagione però é radicalmente diversa, é fatta per legando i piedi ad una trave, immobilizzando le mani, il tutto affiancati da due cani nella stessa identica situazione. La causa della morte non é quella di un impiccagione standard in cui la corda passa attorno al collo ma per le ferite infierite dai cani. Uno stillicidio, un agonia prolungata

Nel Natale del 1583, un ebreo viene impiccato per i piedi sulla forca vicino a Biberach per furto, insieme a due cani. Johann Jacob Wick, Raccolta di notizie. Dal 1560 al 1587 (F31, f.178v).

Cannonato

Il metodo di esecuzione col cannone veniva utilizzato dall’Asia al Brasile, passando per l’Europa. Era usato dai colonialisti portoghesi anche in Sri Lanka e in Mozambico, ma soprattutto da quelli inglesi in India – certo non in patria, non cui dovevano dimostrarsi civili -. In particolare venne utilizzato maggiormente tra il 1857 e il 1858 a seguito della rivolta dei Sepoys o Prima Guerra d’Indipendenza Indiana, nella quale culminarono i Moti indiani proprio contro l’Impero coloniale britannico rappresentato dalla Compagnia delle Indie Orientali (British East India Company).


Abbiamo a disposizione una foto in bianco e nero di un giovane condannato a morte iraniano, legato di schiena alla bocca del cannone e in attesa del suo destino. Non sappiamo l’anno preciso, ma sicuramente è avvenuta negli anni Novanta dell’Ottocento. Il condannato doveva ovviamente saltare in aria.


Una meticolosa descrizione del metodo di esecuzione ci arriva da un autore britannico di quegli anni (1833 – 1884), George Carter Stent, il quale, evidentemente testimone oculare, fa sapere che a saltare in aria per prima era la testa – che veniva sbalzata via “per circa dieci metri” – poi le braccia, le gambe – che in genere rimanevano sotto la bocca del cannone – “mentre il corpo è letteralmente spazzato via, non ne si vede più traccia”. Per finire c’erano avvoltoi e cani che, ormai abituati, aspettavano che tutto fosse compiuto, per potersi cibare del cadavere.

Il metodo di esecuzione è tragicamente semplice e in genere non c’erano imprevisti. Tuttavia durante un’esecuzione di massa di rivoltosi sepoys a Ferozepur, un gruppo di sabotatori anzichè sparare una cartuccia a salve com’era stato ordinato, spararono dal cannone uccidendo numerosi spettatori, mentre a coloro che sopravvivevano dovettero essere amputati gli arti.

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