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Il soffio sulla piuma

Mercoledì 1 maggio 2024: il museo di Leventina di Giornico apre il retrobottega: in pratica si può andare a curiosare nei magazzini per farsi un idea del dietro le quinte di qualsiasi museo. Sul tema specifico tornerò con un pezzo a parte.

Durante la visita ci viene mostrata l'ultima donazione fatta al museo: il corredo di una levatrice che ha fatto nascere 1500 bambini della valle. La guida poi ci fa prestare attenzione ad una banale tazzina contenuta tra tutti gli oggetti donati; assolutamente nulla di particolare, non fosse il suo scopo: battezzare i neonati prima che la morte se li portasse via. 
Questo riapre in me ricordi di letture passate, in special modo per quel che riguarda le paure nel passato, paura non tanto della morte del corpo in se, ma il terrore di morire senza essersi potuti battezzare o confessare prima. Questo corrispondeva vivere all'inferno per l'eternità.

La comune tazzina della salvezza si nasconde dietro la scatoletta blu - 
depositi museo di Leventina - Giornico

Gli innocenti 

Recenti studi hanno calcolato che circa. il 45% della popolazione non arrivava alla soglia dei vent'anni.

Ma il decesso entro i primi tre anni di vita - per malattia, denutrizione, debolezza o altri fattori - era percentualmente ancora più alto. Così come altissima era, in assenza di adeguate cure mediche, la probabilità che il neonato - e anche la madre - morisse durante il parto oppure nei giorni immediatamente successivi. Cosa accadeva a questo esercito di piccoli morticini?

Uno dei dilemmi più sentiti (e strazianti) era quello della sorte delle anime degli infanti morti prima di aver ricevuto il battesimo, quindi o prima di nascere o subito dopo. La teologia lasciava poco spazio all'interpretazione: il loro destino è la dannazione.

A queste posizioni rigoriste tentarono di mediare dapprima teologi del calibro di Pietro Abelardo (1079-1142) e Pier Lombardo (1100-1160), i quali sostennero che l'unica pena a loro riservata fosse quella di soffrire la mancanza della Luce Eterna, ossia della visione di Dio; e poi nel Duecento san Tommaso d'Aquino e i suoi seguaci, affermando l'assenza, per questi innocenti, del tormento del fuoco. 
Ma il Concilio di Lione del 1274 (e successivamente quello di Firenze del 1439) ribadirono con forza che le anime di chi muore in stato di peccato originale scendono all'inferno e subiscono gli usuali tormenti, per quanto più leggeri.

Pian piano, però, e proprio per far fronte all'evidente imbarazzo che suscitava l'ingiustizia di una condanna perpetua di bambini assolutamente incolpevoli, fu introdotta l'idea dell'esistenza di un luogo chiamato "limbo" (dal latino limbus, "orlo"), dove essi dimoravano per l'eternità senza subire tormenti ma "solo" la privazione di Dio. I loro corpi, però, non potevano essere seppelliti in terra consacrata, quindi trovavano posto o nei campi, o al massimo sul sagrato davanti alla chiesa.

Neonati nel limbo -  Pala d'altare di San Pedro (Cattedrale di Tuy, Pontevedra)

Richiamati dalla morte alla vita

È evidente che soprattutto per le madri una tale assenza, totale, di speranza circa la salvezza dei propri figli nati morti o deceduti prima di aver ricevuto il battesimo fosse insopportabile. I tentativi di "sviare" 'ineluttabile dannazione si ritrovano nelle credenze folkloriche diffuse in tutta l'Europa cristiana dal Medioevo fino all'età moderna (e in alcuni casi contemporanea). 

Si credeva, ad esempio, che seppellire i corpicini sub grunda, cioe some già ricordato sotto la grondaia della chiesa, li portasse alla salvezza in quanto venivano bagnati dall'acqua piovana, «inviata da un Padreterno più misericordioso» (A. Di Nola), che dunque li battezzava. Oppure si tentava di fare in modo che i cadaverini fossero comunque deposti, almeno con la testa, a contatto col suolo consacrato. Questi e altri stratagemmi erano severamente repressi dalla Chiesa, ma rimasero diffusi tra la plebe così a lungo che, ad esempio, nel 1778 il sinodo di Novara dovette vietare addirittura che gli infanti non battezzati fossero portati presso cappelle campestri o immagini di santi o reliquie «affinché non si permetta che per tale motivo usurpino benedizioni e, quasi tentando Dio, siano richiamati dalla morte alla vita».

Richiamati dalla morte alla vita, quindi momentaneamente risorti allo scopo di ottenere il battesimo e con esso la salvezza.

Santuari di tregua

Questo, peraltro, era lo scopo dei cosiddetti sanctuaire à répit (letteralmente, "santuari di tregua") diffusi almeno a partire dal XIII secolo in molti luoghi dell'Europa centro-settentrionale, in particolare nelle Fiandre, in Piccardia, in Alsazia, Lorena, Borgogna, nella Savoia, in Provenza e altre province francesi, in Svizzera e Austria, nella Germania renana e da noi in Valle d'Aosta. 

Le madri, accompagnate da qualche parente, vi portavano i corpicini dei loro bimbi nelle ore seguenti il decesso. Dopo averli deposti sull'altare dedicato alla Vergine - l'unica in grado di intercedere per ottenere il miracolo -, pregavano con fervore in attesa della manifestazione di un segno - uno qualsiasi - di vita almeno apparente: ritorno del colorito roseo al viso, emissione di un seppur flebile respiro, urinazione, emorragia nasale, pulsazione muscolare o movimento di qualche membro del corpo, lacrimazione e via dicendo. Non appena uno o più di questi segni si manifestava, il curato della chiesa procedeva a impartire immediatamente il battesimo al corpicino "risorto"; dopo di che, accertata la "seconda morte", il morticino veniva inumato sul posto.

Ecco come poteva apparire il santuario mariano di Oberbüren: Guidati da chierichetti con croci e bandiere e da ecclesiastici in abito corale, i fedeli avanzano in segno di supplica. Diebold Schilling, Eidgenössische Chronik.

Santuario di Oberbüren

Uno di questi santuari si trovava sul "Chilchmatt" di Oberbüren, una dolce altura alla periferia sud-orientale di Büren an der Aare. Nel 1470 circa, un'umile cappella del 1302 fu sostituita da un complesso elaborato racchiuso in un muro che, oltre alla chiesa di pellegrinaggio sopraelevata lunga 50 metri e dotata di torre d'ingresso, comprendeva un edificio per l'accoglienza, una grande casa del cappellano con nove o dieci stanze, fontane e un ossario. La chiesa apparteneva alla diocesi di Costanza e fu consacrata alla Vergine Maria, perché ci si aspettava che, in quanto madre, si prendesse cura in modo particolare delle anime dei bambini morti.

Ricostruzione del santuario mariano di Oberbüren (BE).
Servizio archeologico del Cantone di Berna, Daniel Marchand/Max Stöckli
Nel santuario mariano di Oberbüren (Cantone di Berna), la Chiesa cattolica medievale offriva alcuni servizi molto speciali: i bambini nati morti o morti alla nascita venivano brevemente riportati in vita per poter essere battezzati e poi sepolti correttamente.

La presunta resurrezione dei morti avvenuta sull'altare maggiore di Oberbüren non era in realtà altro che pura fisica. "

Alcune donne nominate dalle autorità secolari riscaldano i bambini morti tra carboni ardenti, candele e lampade poste intorno a loro. Una piuma molto leggera viene poi posta sulle labbra del bambino morto o del neonato prematuro ormai caldo e se per caso la piuma viene sollevata dalle labbra del bambino da un soffio d'aria o dal calore dei carboni, le donne dichiarano che questi bambini e neonati hanno respirato e vissuto e li fanno battezzare immediatamente, al suono delle campane della chiesa e al canto degli inni.

I corpi di questi bambini, che presumibilmente sono tornati in vita e subito dopo sono morti, vengono poi consegnati per la sepoltura cristiana, in beffa della fede cristiana ortodossa e dei sacramenti ecclesiastici", affermò il vescovo di Costanza, Otto von Sonnenberg, in una lettera alla Curia di Roma nel 1486.



Questa superstizione è stata a lungo una spina nel fianco del vescovo, poiché la presunta Wiedererweckungskirche (chiesa della resurrezione) aveva una notevole influenza. 
Centinaia, se non migliaia, di bambini morti venivano portati a Oberbüren da luoghi lontani (secondo Otto von Sonnenberg, vescovo di Costanza, complessivamente vennero portati a Oberbüren più di 2000 bambini).

Il ritrovamento di monete tardo-medievali sul sito dimostra che i pellegrini si recavano da Berna, Zurigo, Basilea e persino dal Tirolo, dalla Francia e dai Paesi Bassi per assicurarsi la pace celeste per i loro figli morti. 

Largo, arriva il Dio Danaro

Per porre fine a questo sfacciato inganno, il vescovo Otto aveva avviato un'indagine ufficiale nel 1485. Ma la chiesa di Oberbüren non era solo un centro spirituale; c'erano anche considerazioni economiche, perché solo la resurrezione era gratuita, mentre il battesimo e la sepoltura non lo erano. Così Berna, il cui bilancio era messo a dura prova dalla costosa costruzione della sua cattedrale, si difese da ogni critica e iniziò a mettere il vescovo di Costanza contro il suo omologo, il vescovo di Losanna - ben sapendo che la diocesi di Losanna tollerava un certo numero di chiese di resurrezione di questo tipo, nella stessa Losanna, a Châtillens (Cantone di Vaud), Neuchâtel e Montagny (Cantone di Friburgo).

L'indagine di Ottone fu sventata e il santuario mariano continuò a essere sostenuto diligentemente. Nel 1495, Berna acquisì il diritto di patronato sul santuario dal monastero benedettino di Erlach; nel 1507 il consiglio insediò addirittura il proprio tesoriere come balivo.

Distintivo da pellegrino realizzato in piombo fuso, raffigurante la Vergine Maria in piedi in un raggio di luce e Gesù bambino, oltre alle parole "ober-bürre"; sarebbe stato cucito sul cappello o sul mantello del pellegrino. Intorno al 1485.
Servizio archeologico del Cantone di Berna, Badri Redha

La riforma

Alla fine fu la Riforma a decretare la fine di questa fiorente attività. Dopo una disputa tenutasi a Berna nel 1528, alla quale furono invitati il rivoluzionario zurighese Huldrych Zwingli e altri leader della Riforma, Berna decise di convertirsi formalmente alla nuova dottrina. Praticamente da un giorno all'altro, le resurrezioni a Oberbüren furono vietate, la chiesa di pellegrinaggio fu chiusa e l'icona miracolosa della Vergine Maria fu bruciata pubblicamente. Büren inizialmente resistette, ma Berna ordinò di distruggere gli altari, sotto la minaccia di dure sanzioni. 

Nel 1530 fu dato l'ordine di demolire la chiesa e di utilizzare le pietre per le mura della città; due anni dopo fu smantellato anche il campanile, fino alle fondamenta. Gli ultimi pellegrini che si recavano sul posto, nonostante i divieti, furono scacciati dai soldati sotto la minaccia delle armi.

Scheletri di neonati nel sito.
Historische Anthropologie Bern, Domenic Rüttimann

La movimentata storia del "Chilchmatt" è stata dimenticata, fino a quando un progetto di sviluppo del sito nel 1992 e gli scavi archeologici di Oberbüren nel 1997 hanno portato alla luce frammenti di muro del vasto complesso e circa 250 scheletri di feti e bambini. Oggi, solo una superficie piana con i contorni dell'ex chiesa di pellegrinaggio e una scultura dell'artista solettese Gunter Frentzel, morto nel 2017, segnano il sito del santuario medievale. 

Inchiodati a terra

Al di là di queste pratiche consolatorie, il folklore denuncia una folta messe di credenze che tendevano a considerare gli infanti morti senza battesimo come un pericolo per la società, da esorcizzare con riti anche cruenti. Nell'immaginario collettivo, erano in genere sospettati di incarnarsi in spiriti o folletti maligni che potevano aggredire a loro volta altri neonati ancora non battezzati o comunque manifestarsi ai vivi per tormentarli.

Per evitarlo, di procedeva in alcuni casi a infierire sul corpicino con mutilazioni (decapitazione, taglio dei piedi ecc.) o altre forme di esorcismo. Il Penitenziale (1008-1012) del solito Burcardo di Worms, ad esempio, condanna la pratica diffusa dell'impalamento del cadaverino, inflitta affinché non ritornasse a disturbare i vivi, con due anni di penitenza a pane e acqua.

Nella necropoli, recentemente scavata (2006), di Baggiovara in provincia di Modena, databile tra il tardoantico e l'inizio del Medioevo (ovvero tra il vi e il vii secolo d.C.), sono emerse, da questo punto di vista, alcune tombe particolarmente interessanti. Tre di esse (tombe 7, 8 e 19) appartengono a bambini in età neonatale. I corpicini sono sistemati su una tegola e racchiusi da altre due tegole disposte a doppio spiovente (tomba "alla cappuccina") oppure in una cassetta di mattoni, orientati con il capo a est e i piedi a ovest e senza corredo. Il cadaverino della tomba 8 è stato sepolto con alcuni rospi decapitati, evidentemente a scopo apotropaico.

Revenants

«Revenants», ossia i "ritornanti" dalla morte
Tali pratiche però non erano riservate solo ai bambini morti al di fuori dello "stato di grazia", bensì erano applicate in tutti i cosiddetti casi di "malamorte", quando cioè gli individui erano deceduti in una maniera che interrompeva il naturale corso del destino - morte improvvisa, per incidente, assassinati, giustiziati, suicidi, di parto nel caso delle donne - oppure in stato di scomunica, o ancora perché appartenevano ad altre fedi religiose, erano sospetti di stregoneria o deformi, oppure perché erano ritenuti in qualche modo "diversi". In genere venivano sepolti in terreno non consacrato e anche per questo si aveva il terrore che tornassero a tormentare i vivi. Si rendeva dunque necessario procedere a una serie di azioni mirate a evitarlo.

Il cadavere veniva legato con corde, stoffe, cinghie di cuoio (che non si sono conservati in quanto deperibili, ma hanno lasciato tracce permanenti sullo scheletro e sulla sua posizione, ripiegata o contratta in modo innaturale), oppure sottoposto a mutilazione (amputazione degli arti, decapitazione), appesantito da pietre, o seppellito con oggetti dal forte valore apotropaico (chiodi, spine, paletti acuminati, amuleti vari). In Cornovaglia, ad esempio, il corpo del suicida veniva fissato al terreno trapassandolo con una lancia in modo che non potesse rialzarsi. 
E se malauguratamente si fosse levato lo stesso dalla tomba? Nessun pericolo: era sepolto infatti agli incroci in modo che si confondesse sulla via da seguire per tornare a infestare il villaggio.

Dalla già citata necropoli di Baggiovara, che in tutto consta di diciassette sepolture, giungono gli echi di queste inquietanti pratiche. Gli inumati delle tombe 11 e 13 hanno subito, rispettivamente, la mutilazione della parte inferiore della gamba sinistra il primo, del braccio destro, di entrambi i piedi e del cranio il secondo. Tali mutilazioni, secondo gli studi condotti dall'Università Ca' Foscari di Venezia, sarebbero avvenute post mortem, poco tempo dopo il decesso. La tipologia denuncia chiaramente la paura che il soggetto in questione potesse, in qualche modo, "ritornare", evidentemente a creare scompiglio tra i vivi.

Tali pratiche potevano avvenire anche dopo parecchio tempo che il soggetto era morto, soprattutto quando si verificavano catastrofi naturali o epidemie ed era necessario, nella mentalità dell'epoca, trovarne il colpevole. Allora si procedeva all'apertura del sepolcro di individui particolarmente sospetti e, nel caso il cadavere si fosse presentato incorrotto o con i tipici segni ricordati sopra a proposito dei bambini apparentemente risorti per ricevere il battesimo, era additato come responsabile delle disgrazie in quanto revenant e "non-morto". Si provvedeva quindi a mutilare il cadavere, a decapitarlo e a trafiggerlo con pali acuminati in modo che non potesse più nuocere. Una testimonianza eloquente? Quella del cronista Saxo Grammaticus (1150-1220 ca.) il quale narra come, per liberarsi della peste causata per vendetta da un uomo ucciso durante un tumulto, gli abitanti «riesumarono il cadavere, lo decapitarono e gli trafissero il petto con un bastone acuminato; così la gente risolse il problema».

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