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I fortini della fame - Parte 1 - Contesto storico

Prima di partire a testa bassa sulla costruzione vera e propria dei fortini della fame di Camorino occorre fare un passo indietro e capire come si é giunti a tutto questo

Uno dei cinque fortini di Camorino, "Ai Munt"

Nel 1848 l'Europa è attraversata da un'ondata di rivoluzioni, animate da un insieme di aspirazioni liberali democratiche, antifeudali e sociali e alimentate da crisi economiche, carestie e aspirazioni nazionali.

La Francia, gli stati germanici e quelli italiani, l'Austria e l'Ungheria sono percorsi da un nuovo fermento popolare teso ad abbattere i vecchi regimi degli Asburgo, degli Orléans, dei vecchi governi autoritari che, dopo la sconfitta di Napoleone, il Congresso di Vienna aveva rimesso sul trono. Nella primavera di quell'anno anche Milano insorge e costringe gli occupanti austriaci alla fuga. Sono le Cinque giornate di Milano.


Questo risveglio dei popoli sarà di breve durata. Presto le forze reazionarie riusciranno a riorganizzarsi e
a reprimere i moti liberali. La Svizzera si trova cosi come un'isola repubblicana e democratica, attorniata da un'Europa monarchica e antiliberale.

Essa offre rifugio per una quantità di profughi politici e di cospiratori e diventa oggetto di pressioni e minacce da parte degli stati confinanti e in particolare dell'Austria, presenza ingombrante e ostile lungo la frontiera meridionale.

Nella prima metà dell'Ottocento l'economia ticinese si sosteneva su tre pilastri: i lavori pubblici necessari a dotare il Cantone di una rete viaria efficiente, l'esportazione di prodotti forestali e le attività esercitate all'estero dagli emigranti

L'agricoltura si fondava soprattutto sulla pastorizia che seguiva ritmi e usanze vecchi di secoli. Il Piano di Magadino e del Vedeggio non avevano ancora subito alcun intervento di bonifica, così che il Ticino si trovava a dipendere dalla Lombardia per la fornitura dei cereali indispensabili alla sua sussistenza.


La Lombardia, che assieme al Veneto apparteneva all'Impero austroungarico, era dunque meta per molti ticinesi che vi si recavano per svolgere le loro attività. 
Si trattava di un'umanità varia e colorata che a metà Ottocento era minacciata da un lato dalla rivoluzione della tecnica, da un altro da guerre ed epidemie e dall'altro ancora dalle contingenze politiche.

Furono proprio le burrascose relazioni fra Ticino e Austria a procurare la peggiore catastrofe ai migranti del Cantone e all'economia ticinese in generale.

II Ticino, che aveva guardato con simpatia ai moti risorgimentali, con il ritorno degli austriaci a Milano si trovò ad accogliere migliaia di profughi.

Il governo elvetico dovette da un lato prestare aiuto a questa moltitudine e dall'altro tentare di non peggiorare i rapporti con l'Austria che accusava il Ticino di favorire le cospirazioni degli esuli, di arruolare volontari per la causa repubblicana e di pubblicare materiale di propaganda sovversiva e antiaustriaca.

Nel settembre 1848, l'Austria decretò il blocco commerciale e arrivò a minacciare un'azione militare.
L'arrivo in Ticino di due commissari e di un contingente di truppe federali e l'ordine di espellere tutti i profughi con più di 18 anni e di non accettarne dei nuovi, convinse gli austriaci ad allentare il blocco. Tuttavia, le pressioni austriache sul Ticino non cessarono.


Sul finire del 1852 il governo ticinese decise l'espulsione di 22 cappuccini lombardi, accusati di essere agenti al soldo degli austriaci e da questi ultimi considerati loro sudditi.
Questa espulsione fu presa dall'Austria come pretesto per decidere, dopo il fallimento dei moti di Milano del febbraio 1853, il blocco delle frontiere e a sua volta decretare l'espulsione degli oltre 6'000 ticinesi che lavoravano e commerciavano in Lombardia.

La notificazione (proclama) imperiale del 16 febbraio 1853 che espelle dalla Lombardia oltre seimila ticinesi che vi lavoravano e commerciavano.
 L'originale è conservato presso gli archivi federali a Berna.


I ticinesi scacciati dalla Lombardia giunsero in Ticino in un momento particolarmente difficile.

Uno dei pilastri dell'economia locale, quello fondato sull’emigrazione, si trovava improvvisamente intaccato dalle misure austriache, sia per la quantità degli espulsi, sia perché la misura impediva l'emigrazione stagionale di altre migliaia di ticinesi. Furono particolarmente colpiti il Mendrisiotto, patria di 800 filandaie espulse, la Verzasca coi suoi 600 spazzacamini, la Valcolla con 400 ramai e stagnin, la Valle di Blenio con i suoi cioccolatai e marronai. A tutto questo si sommava la grave crisi alimentare provocata sia dal blocco delle frontiere sia dalla malattia delle patate che aveva cominciato a diffondersi attorno al 1845 e che costringeva molti alla fame.


Il protrarsi della crisi fu causa di un forte cambiamento nella pratica dell'emigrazione: molti giovani ticinesi, attratti dal miraggio dell'oro scoperto in quegli anni in Australia e in California, alimentarono la fiumana degli emigrati oltreoceano. Lo stato di miseria del Cantone provocò una straordinaria ondata di solidarietà dai cantoni svizzeri e dall'estero.
Il governo ticinese e la Confederazione intervennero pure attivamente per fronteggiare la crisi.

La miseria e la mancanza di lavoro alimentavano l'odio contro il maresciallo austriaco Radetzky ma anche risentimento contro il governo, a cui l'opposizione conservatrice addossava la responsabilità della crisi e a cui la sinistra democratica rinfacciava scarsa risolutezza.

I due gruppi di opposizione, benché lontani negli obiettivi, finirono per unirsi in un movimento fusionista e vinsero le elezioni per il Consiglio Nazionale del 1854. I risultati furono poi invalidati dall'autorità federale che non voleva consegnare il Cantone ai fusionisti. In Ticino, un comitato cantonale operò per indirizzare i disoccupati verso altri cantoni o impiegandoli per riportare all'agricoltura i molti terreni abbandonati.
Il Cantone avviò nuove opere pubbliche: strade, argini, la caserma di Bellinzona. 
La Confederazione commissionò la costruzione di fortificazioni a sud di Bellinzona. Si trattava di un'opera già progettata fin dal 1844 e che avrebbe dovuto essere presidiata da 20'000 uomini e da 36 bocche da fuoco per contenere un eventuale attacco austriaco da sud. Malgrado le misure adottate per affrontare la crisi, il clima politico del Cantone rimaneva rovente.


Nelle elezioni nazionali del 1854 i fusionisti avevano convinto l'elettorato che, se avesse votato per loro, si sarebbe presto tolto il blocco austriaco, sarebbe tornato disponibile il grano a buon mercato e sarebbe stato possibile per gli espulsi ritornare in Lombardia.

La vittoria, invalidata dalle autorità federali, mantenne alta la tensione. Quando il 20 febbraio 1854, nel corso di una furibonda rissa scoppiata in un caffè locarnese, muore pugnalato il liberale Francesco De-giorgi, le società liberali, con in testa i Carabinieri, passarono all'azione con un'insurrezione armata. I
capi fusionisti furono arrestati, il governo liberale consolidò il suo potere e poté ridare slancio e ottimismo al paese. 


Nel frattempo, dopo lunghe trattative e con qualche sacrificio finanziario, una delegazione svizzera riuscì a trovare un compromesso con l'Austria e il blocco della fame fu definitivamente tolto.

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