Ci sono delle storie che vengono raccontate iniziando dalla scena finale. Così facendo si stuzzica la curiosità del lettore / spettatore che non potrà poi fare a meno di scoprire come si é arrivati a tutto questo. La storia della colonna infame potrebbe essere un buon esempio, iniziare dalla fine per poi fare un passo a ritroso per raccontare tutti gli eventi.
La partenza potrebbe essere questa ala del giardino sforzesco di Milano, tra le migliaia di cittadini che la percorrono in perfetta serenità, solo alcuni notano e si soffermano presso gli oggetti esposti sotto il portico nella parte sinistra
L' ala del giardino del castello sforzesco di Milano protagonista
Basterebbe però leggere tre parole alla sesta riga per iniziare a percepire qualcosa: "PESTIS ATROX SAEVIRET"
A questo punto una persona che fosse minimamente incuriosita farebbe un tentativo, ad esempio guardare cosa propone il retro della stele:
La manzoniana memoria...i ricordi si fanno largo...Manzoni, i promessi sposi, la peste a Milano....gli untori! Ecco si, gli untori! Dinanzi a noi la prova materiale e inconfutabile di quei tragici eventi con il caso concreto della condanna di due poveri innocenti. Ma come si é arrivati a tanta atrocità?
Alessandro Manzoni ci scrisse un libro, una specie di spin off al celeberrimo "I promessi sposi" dal titolo ben più lugubre di "La colonna infame" di cui un pezzo si é appena materializzato in questo placido angolo del castello sforzesco.
Quella che era nata con lo scopo di rivelare in infamia diventò essa stessa l’infamia. Un cambiamento radicale.
La storia della colonna
Eretta nel 1630 la colonna rimane al suo posto per 140 anni, e la decisione di abbatterla è frutto di una circostanza singolare. Tutto comincia nel 1772 con Domenico Balestrieri, poeta milanese e cancelliere presso la Camera Ducale di Milano, che, appena data alle stampe la sua ultima fatica letteraria, decide di inviarne una copia a Joseph Sperges, barone viennese e uomo di grande influenza.
Sperges gradisce e ringrazia, ma si dice dispiaciuto che nel libro si accenni alla colonna infame, imbarazzante testimonianza di uno scellerato errore giudiziario.La considerazione arriva all'orecchio del conte Karl Joseph von Firmian, governatore generale della Lombardia, che decide di sistemare la faccenda.
Ci vogliono tuttavia anni perché la situazione si sblocchi, complice la strenua opposizione del Senato milanese, che non ha alcun desiderio di disconoscere il proprio operato, anche se risalente a un periodo ormai lontano.
Bloccati in un'impasse, la soluzione arriva rispolverando una vecchia legge che vieta il restauro dei monumenti definiti «d'intamia».
Basta cosi danneggiare il basamento della colonna, per poi chiedere che venga abbattuta perché non più sicura.
La notte tra il 24 e 1125 agosto 1/78, una squadra di operai assoldati dal governo demolisce il monumento e ne rimuove le macerie.
Resta solo la lapide appesa a un muro, e ci rimane fino al 1803, quando viene staccata e portata al Castello Sforzesco.
Nel 1868, la strada dove si trovava la bottega del barbiere viene ribattezzata via Gian Giacomo Mora, tardivo omaggio a una povera vittima dell'ignoranza e della superstizione.
Nel 1868, la strada dove si trovava la bottega del barbiere viene ribattezzata via Gian Giacomo Mora, tardivo omaggio a una povera vittima dell'ignoranza e della superstizione.
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