Difficile riassumere una battaglia tanto epica quanto decisiva per le sorti della Svizzera nella storia; la battaglia dei Giganti risulta essere il momento chiave, la svolta per i Confederati. Dopo questa battaglia infatti cambierà la filosofia e la politica estera svizzera; l'espansione dei territori finisce, anzi ci si ritira un pochino e si consolidano le posizioni; e così sarà, battaglie interne a parte (principalmente per questioni di religione, che altro?) fino alla fine del XVIII° secolo.
Molti libri sono stati scritti, quale prendere come riferimento? Si rischia sempre di prenderne uno troppo di parte, o dell'epoca in cui si mitizzava troppo, ecc ecc.
Tra tutti ho trovato irresistibile e molto coinvolgente un libricino, uno di quelli che in una libreria tra i vari tomi rischierebbe di non essere nemmeno visto. La battaglia dei Giganti riportata dal sacerdote di Zivido nel 1889 fa da contorno al vero scopo del libricino; raccontare la storia della cappella dedicata ai morti del tragico evento. Ne esce un libricino molto ricco di dettagli che aiuta a comprendere cosa é avvenuto in quei due fatidici giorni, partendo dall'incoronazione di Francesco fino al ritrovamento delle ossa nel XVIII secolo.
Per il nostro interesse ci limiteremo a riportare i fatti strettamente legati alla battaglia.
La prima cosa che si evince é che la battaglia di Marignano (o buona parte delle battaglie) é solo la portata principale di vari piccoli episodi antecedenti, scaramucce, negoziazioni, depredazioni. Tutte piccole operazioni che vanno spesso a finire nel dimenticatoio perché si preferisce passare subito alla portata principale ovvero la battaglia. Le varie tappe di avvicinamento al 14 e 15 settembre 1515 sono riportate in piccoli capitoli riassuntivi estrapolati dal libro.
Francesco I sale al trono
Luigi XII moriva il giorno 1° gennaio 1515 nell'età di cinquantatre anni.
Non avendo egli lasciato figlioli maschi, gli fu eletto a successore il genero Francesco duca d'Angoulème, il quale, sebbene contasse solo ventidue anni, aveva però già avuto campo di farsi apprezzare dai nobili non solamente, ma dall'esercito e dal popolo per bontà e munificenza, per slancio, coraggio e prontezza nelle cose militari.
Prima però di dar principio all'impresa, prudentemente pensò ad assicurare il suo Stato da ogni attacco. Rinnovellò l'alleanza che lo suocero stretta aveva col re d'Inghilterra e riconfermò quella con Venezia; ma, cercata l'alleanza degli Svizzeri, non l'ottenne, perché egli 'accingeva a riconquistare il Ducato di Milano, ch'essi non intendevano punto abbandonare. Sollecitò invano anche quella del sommo pontefice Leone X, il quale non voleva inimicarsi gli Svizzeri ed il Re di Spagna. Questi poi, sollecitato alla sua volta perché volesse rinnovare quella lega che già aveva stretta con Luigi XII, non volle aderirvi, promettendo per altro che non avrebbe molestata la Francia in verun modo per la durata di un anno almeno.
Gli svizzeri aspettano al varco
Gli svizzeri avrebbero potuto chiudere il conto con la Francia tempo prima, ma accecati dalo denaro non sfruttarono questa opportunità. Si mettono quindi ad aspettare la calata dai francesi ai piedi dei passi transitabili con cavalleria e artiglieria, o almeno secondo loro.Trovossi allora imbarazzato il Re, cui premeva di non esporre l'esercito a probabile rovina: conoscendo egli per altro l'impossibilità di fermarsi più a lungo fra que' gioghi inospitali a motivo degli approvi-gionamenti, chiamò a consiglio i capi più influenti ed esperimentati per udire il loro parere.
Alzossi allora il celebre quanto esperto ed ardito maresciallo Trivulzio ad assicurare il Re, come per altra e sconosciuta via si potesse inosservatamente condurre l'esercito oltre le Alpi; ed abbenché questa fosse angusta, aspra e difficile, pure egli si proponeva di seguirla pel primo, e coll'aiuto dei guastatori aprirla all'esercito tutto. Disse come da Guillestre, lasciando a sinistra il Monginevra, si potesse valicare il monte Avalzio, e, discendendo in quel labirinto
L'odissea dell'esercizo francese ha inizio
La grande marcia prende il via, innumerevoli sforzi aspettano l'esercito francese. Uno su tutti il gran masso di San PaoloPartendo adunque da Embrun Borbon, e il Triulzio, i quali gui davano l'avanguardia, fatta provvisione di vettovaglia per cinque giorni, giunsero a S. Clemente ... con gran fatica giunsero alla balza di s. Paolo; un masso enorme loro intercetta il progredire. Non s'arrestano per questo, ché il famoso pietro Navarro, fatti accostare i cassoni della polvere per le mine, ne applica maestrevolmente alcune a quel sasso, che, con orribile scoppio, ripercosso da cento parte tra quelle selvagge solitudini, ruzzola a valle scheggiato in mille pezzi aprendo loro il varco ad altri sforzi. I soldati, gareggiando d'ardire, a colpi di scure e di ferrate mazze abbattono la sommità di irti poggi, fendono e spianano i fianchi di scoscese rupi, varcano i precipizi ed i burroni gettando ponti coll'aiuto d'argani e di grosse funi.
Oltre al masso gli alpigiani creano uno sbarramentoMa giunti in capo alla valle di S. Paolo, al di là di un piccolo ponte trovano sbarrata la via da una cinta murata, colla quale gli alpigiani volevano intercettare la via all'esercito, che già s'era messo per entro a quell'intricato e faticoso passaggio, seco trascinando con indicibil fatica ed ingegnosi trovati le grosse e piccole artiglierie, sospingendo carri e sostenendo cavalli. Allora il maresciallo Trivulzio e il generale di Normandia, seguiti da alcune squadre, danno mano alle armi, si sbarazzano degli oppositori: così avanza l'esercito sino a Myeronnes
..altra faticaIl di seguente calarono nella valle di Barcellonetta. Questa valle impedita da sassi grandi et d'asprissimi poggi che vi sono interposti, metteva disperazione grande nell'impresa. Perciocché bisognava tagliare con picconi, et con scuri quei colli di sasso, e spianare l'erte; e non potendosi servire in nessun modo per quelle balze de' cavalli, l'artiglierie s'avevano a portare su le spalle de' soldati.
Prospero Colonna a Villafranca
La tregua
Gli svizzeri si rendono conto di trovarsi soli, né la Spagna né il papa sembrano volerli affiancare. Chiedono una tregua e al re di Francia e di poter trattare la pace. Il re, per nulla guerrafondaio, acconsente sperando di chiudere pacificamente la contesa.a colpi di cannone atterrarono parte delle mura, ed entrando per le rovine di essa passarono a fil di spada più di cinquecento uomini che coll'armi difendevano la propria città, sottoponendola in pari tempo al sacco ed appiccandovi anche il fuoco'. E peggio ancora avrebbero fatto se non fossero stati acquietati con uno stratagemma dal Cardinale di Sion e dalle persuasioni del Gambara e del Galeazzo, autorevoli ed energici capitani.
Arriva il Markus Röist
Trattato di pace di Gallarate
I patti convenuti erano i seguenti:
- che gli Svizzeri mantenessero la pace col Re di Francia durante la sua vita e dieci anni dopo la sua morte
- che gli Svizzeri ed i Grigioni restituissero le valli appartenenti al Ducato di Milano e da essi occupate
- che sciogliessero lo Stato di Milano dall'obbligo di pagare annualmente quarantamila ducati
- che il Re di Francia accordasse a Massimiliano Sforza il Ducato di Nemours coll'annua pensione di dodicimila franchi, cinquanta lance e moglie di sangue reale:
- che restituisse agli Svizzeri l'antica pensione di quarantamila franchi:
- che pagasse lo stipendio di tre mesi a tutti gli Svizzeri che si trovavano in Lombardia od in viaggio per entrarvi:
- che pagasse ai Cantoni, con comodità di tempo, i seicentomila scudi promessi nell'accordo di Digione e trecentomila per la restituzione delle valli:
- che tenesse continuamente al suo soldo quattromila Svizzeri, nominati col consentimento del Pontefice (in caso restituisse Parma e Piacenza), l'Imperatore, il Duca di Savoja e il Marchese di Monferrato. non facevasi alcuna menzione del Re cattolico, de' Veneziani, né d'altri.
Berna, Soletta e Friborgo escono di scena
Vista la situazione, una parte dei capitani svizzeri (principalmente quelli dei cant. Berna, Soletta e Friburgo unitamente agli alleati di Bienne e del Vallese) accettò di negoziare e l'8 settembre stipulò con Francesco I il trattato di Gallarate, che prevedeva la fine delle ostilità e il versamento di un milione di corone ai Confederati.[...] mentre essi erano impegnati con giuramento ai patti di pace già firmati, sopraggiunse da Bellinzona il capitano generale Rostio (Markus Röist) con ventimila fanti. Bastò la presenza di questo insigne guerriero, perché gli Svizzeri comprendessero la importanza dei ragionamenti già loro prima tenuti dal Cardinale, dal Visconte e dal Gambara; per cui, dimenticando i patti convenuti, prestarono giuramento di fedeltà al loro nuovo Capitano generale e, chiedendo guerra anziché pace, anelavano al momento di battere ed esterminare il nemico esercito. Nello stesso giorno poi erano arrivati i denari di Spagna; ond'é che il Rostio, fatta la debita restituzione al Gambara, distribuì quelli in paghe e, levato il campo, s'avviò pel Comasco e di là a Monza ond'essser pronto ad entrare in Milano'.
Francesco I vuole entrare a Milano
Francesco I manda ambasciatori a Milano per essere ricevuto come amico ma i milanesi temporeggiano, e anzi, in un secondo tempo temendo ritorsioni da parte degli stessi svizzeri con alcuni di loro attaccano il Trivulzio giunto alle porte di Milano. Vengono poi fatti indietreggiare, chiedono in seguito perdono al re di Francia che di risposta si sposta verso dud nei pressi di Marignano. Qui viene a sapere che gli svizzeri, contrariamente ai paqtti sono entrati in gran numero a Milano...[...] ma lo pregassero a ritardare di otto giorni almeno la sua entrata, e questo unicamente per prevenire possibili disordini, tanto facili a verificarsi in simili circostanze, ed anche per avere tempo sufficiente ad apparecchiare vettovaglie pel regio esercito.
Accolse lietamente il Re questa legazione, rispondendo in pari tempo che ben volontieri annuiva alla domanda fattagli; che però spediva intanto a Milano il Trivulzio con duecento lance ed il Navarro con quattromila fanti, onde dessero principio all'assedio del Castello, dove sapeva essersi rinchiuso il duca
Massimiliano con un forte presidio.
Ma ben diversamente doveva procedere la cosa; imperocché i cittadini, parte commossi dalle preghiere e dalle minacce del Duca, parte temendo vendette da parte degli Svizzeri, incominciarono a mormorare: poi, ammutinatisi, s'armarono e, preceduti da alcuni Svizzeri', uscirono furenti da porta Ticinese per sorprendere e debellare il Trivulzio, che era pervenuto co' suoi a S. Eustorgio.
Avvedutosi il Maresciallo della ostile intenzione dei cittadini, che gli ebbero anche ad uccidere alcuni soldati, prestamente fece collocare nel mezzo della strada due pezzi d'artiglieria allo scopo d'intimorire quella plebaglia; la quale accortasi del pericolo che le sovrastava, voltò precipitosamente le spalle e riparò dentro le mura.
In questa località si riposarono tutti anche il di successivo, essendosi saputo che gli Svizzeri, calpestando i fatti giuramenti, erano entrati in gran numero nella città di Milano.
Altamente indignato il Re per tale spergiuro, spedi incontanente a Lodi alcune lance onde sollecitare la venuta dell'Alviano comandante delle truppe venete, ed ordinò che si levasse il campo e si prendesse posizione lungo lo stradale che da Melegnano conduce a Milano.
Schiner sprona gli Svizzeri
Ecco quale sarebbe stato, secondo il Guicciardini, il discorso del Cardinale:Hassi oggi a fare giudizio da tutto il mondo, se della vittoria di Novara fu cagione o la nostra virtù, o la fortuna. Se mostreremo timore degli inimici, sarà da tutti attribuita o a caso, o a temerità: se useremo la medesima audacia, confesserà ciascuno essere stata virtù; ed avendo (come senza dubbio avremo) il medesimo succes. so, saremo non solamente terrore della età presente, ma in vene. razione ancora dei posteri, dal giudizio delle laudi dei quali sarà il nome dei Svizzeri antiposto al nome de' Romani. Perché di loro non si legge, che mai usassero un'audacia tale, ne che mai conseguissero vittoria alcuna con tanto valore, né che mai senza necessità eleggessero di combattere contro agli inimici con tanto disavantaggio: e di noi si leggerà la battaglia fatta presso a Novara, dove con poca gente, senza artiglierie, senza cavalli, mettemmo in fuga un esercito poderoso e ordinato di tutte le provvisioni e guidato da due famosi capitani,
[...] Però con l'aiuto di Dio, che con giusto odio perseguita la superbia dei Francesi, pigliate con la consueta animosità le vostre picche, date nei vostri tamburi: andiamo subito senza interporre un'ora di tempo, andiamo a straccare le armi nostre, a saziare il nostro odio col sangue di coloro, che per la superbia loro vogliono vessare ognuno, ma per la loro viltà restano sempre in preda di ciascuno».
Verso lo scontro
Primo giorno di battaglia
Gli Svizzeri intanto procedevano baldanzosi e spediti verso S. Donato; ma la loro marcia era seguita dall'occhio vigile ed accorto del Connestabile e del Trivulzio, i quali già avevano avvertiti alcuni colpi di colubrina, sparati, certo, nell'intento di animare i compagni alla imminente zuffa. A que' colpi intem-pestivi, a quella marcia sfrenata protesta il Muzio; ma invano, ché già quegl'intrepidi soldati avanzavano sopra le ancor fumanti rovine degli abitati di S.Giuliano. Quivi giunti alcuni esperti capitani svizzeri, Pellegrino Landerbergo, Cenzio Amerer e Rodolfo Longo, spinti i loro cavalli sull'alto d'un argine a destra del fossato che fiancheggiava la grande strada, alla sinistra videro e studiarono il campo trincerato de' Francesi; ed osservando in pari tempo alla loro destra una lunga distesa di bassi campi chiusi dallo stradale e dalla Vettabbia, idearono di porre quivi il campo onde ristorare le forze dei propri soldati ed attendervi tutte le altre insegne avanti d'attaccare battaglia'. Ma inutilmente; imperocché quella fiera gente, ormai indisciplinata e giustamente qualificata come perduta, sprezzando gli ordini dei propri capitani e le regole di una sana prudenza militare, che il più delle volte apparecchia splendide vittorie, compatta e furente piega a sinistra della grande strada, entra nei campi adiacenti, s'avventa contro gli avamposti francesi e con impeto sfrenato e pazzo si getta sopra i ripari impegnando una sanguinosa zuffa coi Guasconi e coi Tedeschi; i quali con altrettanta energia e fierezza contrastano terribilmente al nemico l'avanzarsi.
A tale atto rianimati quegli uomini poc'anzi tanto sfiduciati, gridano ad alta voce "Una sola Francia e Cuneo"; e riunitisi impegnano una nuova fazione, nella quale valorosamente pugnando caddero Cenzio Amerer e Pellegrino Landebergo.
Ma il Re, benché il giorno fosse già sull'imbrunire, non si perdé d'animo; e, volendo ultimare la batta-glia, con avvedutezza, certo, superiore all'età sua, ordina al Lanson di seguirlo col centro e sprezzando ogni pericolo si getta nuovamente nel fitto della mischia, anima colla voce e coll'esempio i suoi ed atterra quanti nemici gli si fanno incontro. Sopraggiunge in quel mentre con poderosa cavalleria anche la Banda nera, che si slancia terribile sopra i nemici riaccendendo l'incerta pugna, nella quale eroicamente cade il Talamone figlio della Tramoglia con altri nobilissimi e distinti capitani, mentre gli Svizzeri perdono i non meno valorosi loro condottieri Flecchio, Gualterio Offio e Rodolfo Longo'.
Splendeva ancora chiarissima la luna, come dice il Giovio nella sua minutissima narrazione, quando gli Svizzeri venivano cacciati alquanto lungi dall'abitato che già avevano principiato ad occupare, secondo che attesta Pasquier le Moine; ma essendosi in quel mentre sparse delle dense nubi pel cielo stellato, in pochi momenti tutti quegli intrepidi guerrieri furono ravvolti nelle tenebre, talché allo strepito ed al fragore dell'armi subentrò un silenzio profondo, solo interrotto qua e là dal lamento dei feriti e dal nitrito dei cavalli.
La notte
Intanto il Cardinale di Sion, che trovavasi confuso coi nemici, attratto dalla sinistra luce d'un casolare in fiamme, sfuggendo inosservato ai Francesi, poté colà ridursi, trovando ivi riuniti col Rostio e coll'An-giardo molti altri capitani svizzeri; i quali, fatto dar fiato ad un corno, siccome erano usi, chiamarono a raccolta gli sbandati compagni. Quindi, radunatisi a consiglio, convennero di riattaccare la battaglia all'indomani mattina.Tuttavia non tutti erano del parere che si rinnovasse la battaglia, giudicando bastevole per l'onore delle armi quanto avevano gloriosamente fatto durante la giornata; ma costoro, pregati e supplicati dagli altri più arditi, dovettero cedere e fermarsi sul campo. Altri invece temendo per la propria vita, giudicarono cosa conveniente l'abbandonare il posto; il che fece pure buon numero di cavalieri papalini, i quali, lasciati soli i loro capitani, s'avviarono a Milano.
Ma se gli Svizzeri vegliavano per apparecchiarsi ad un nuovo fatto d'armi, Francesco I di Francia non se ne stava sonnacchioso. Infatti, come poteva egli riposare tranquillo sapendo d'avere nel proprio campo nemici che ammazzavano e si facevano ammazzare con tanta intrepidezza e che non eransi potuti vincere ad onta di tutto il valore dimostrato da' suoi?
Interpellati i capitani, mandò tosto degl'inviti a Lodi perché affrettassero l'arrivo dell'Alviano e dei Ve-neti'. Poi, rilevati i punti principali delle vie, disposto meglio che poteva in tanta oscurità il centro dell'esercito coll'ala destra e sinistra, piazzate in luogo più conveniente le artiglierie e postivi a custodia i Tedeschi, percorse le file animando i soldati all'ultima battaglia ed incitandoli alla vittoria, e da ultimo si ridusse al suo posto; dove, bevuto alquanto vino, si riposò sull'affusto di un cannone.
Fu per certo in questo momento di angoscioso silenzio che, schieratisi avanti la sua mente e i passati pericoli, e gli illustri cavalieri e i prodi soldati perduti, e la incertezza della nuova battaglia, ed i pericoli che nuovamente lo attendevano, il Re di Francia, alzata l'anima pia al Dio degli eserciti, fece voto che, se fosse gloriosamente uscito da quel frangente, non solo avrebbe visitata la santa Sindone, che a quell'epoca si venerava in Chambery, ma avrebbe eretto sul luogo stesso de' suoi trionfi una cappella espiatoria per l'anima dei caduti dedicandola alla Regina delle Vittorie
Il secondo giorno
Rianimato dalla speranza e pieno di fiducia in Dio, s'alzò più sollevato da quel duro giaciglio, ed abbenché fosse ferito (leggermente però) e stanco, cangiò lesto l'armatura e lo scudo che in più parti erano guasti pei colpi ricevuti la sera innanzi, e, montato nuovamente a cavallo, stette fermo al suo posto, aspettando che colla nuova luce venisse riappiccata la battaglia.sul modo di condursi nella nuova pugna e, dispostisi in ordine di battaglia, aspettavano impazienti che le tenebre si diradassero per assaltare l'inimico.
Principiato il crepuscolo e distinguendo essi l'oste nemica già schierata, s'avanzarono in tre distinti corpi, il primo dei quali' marciò diretto al centro dell'armata francese guidato dallo stesso Re.
Continuavasi però a combattere accanitamente in quelle parti, dove gli altri corpi svizzeri, fermi ed im-pavidi, contrastavano seriamente la vittoria all'esercito francese, quando giunse l'Alviano colle sue genti a decidere le sorti della giornata.
Uscendo egli da Melegnano s'incontrò in una moltitudine confusa di fanti e cavalieri francesi fuggenti, che Aimer du Pré ed Obigni si sforzavano di trattenere e riunire. Indignato dalla viltà di tanti codardi, l'Alviano li rimproverò severamente così apostrofandoli: «Voltate le spalle, o pagliacci, e marciate alla sconfitta dell'inimico». Indi sprona il cavallo, e gridando «Francia! Francia! San Marco! San Marco!» entra con irresistibile impeto nel campo ed investe sì poderosamente nel fianco le elvetiche schiere che desse si scompigliarono un istante.
La fiera mischia scompagina alquanto i cavalieri veneti, ma, essendo poi giunti in loro aiuto altri armati, essi poterono riordinarsi e caricare nuovamente quegli indomiti e terribili montanari; i quali, vedendo sopraggiungere un sempre maggior numero di guerrieri della serenissima Repubblica de Venezia, cominciarono a scoraggiarsi ed a sentirsi venir meno le forze, anche per le toccate ferite e per la fatica durata; onde, apertosi con supremo sforzo un passaggio tra le schiere di Francia, sempre combattendo, invasero le abitazioni della vida di Zivido, dove, occupate le case ed i granai, gli orti e le cantine, accanitamente si difesero ancora per tre ore circa, come racconta Pasquier le Moine, perdendo poi miseramente quasi tutti la vita, imperocché Francesi e Tedeschi li vinsero col fuoco e colle rovine là dove non poterono arrivare col ferro.
Anche quegli Svizzeri che qua e là ancora resistevano finirono coll'abbandonarsi alla fuga, decimati dalle incessanti scariche dei cannoni francesi, ed alcuni loro drappelli, accecati dalla polvere e dal fumo delle artiglierie, perduto l'orizzonte, corsero alla volta di S. Brigida passando vicino agli equipaggi del Re e per di là al Lambro, dove poterono salvarsi: altri invece, gettatisi nei campi opposti, pervennero in riva alla roggia Nuova, ed ivi entrati nei terreni adiacenti e bersagliati dalle frecce dei Guasconi, guadagnarono la sponda sinistra di detta roggia penetrando nelle vicine boscaglie e, riuscendo a fuggire pel ponte del lambro sopra Carpianello; mentre i più tardi, perché feriti e malconci furono raggiunti ai Mulini e trucidati
La ritirata
Meravigliarono i Francesi di così ordinata e quasi trionfale partenza; epperò il Re, temendo un agguato ed accettando il consiglio del Triulzio, ordinò che quegli Svizzeri non venissero menomamente molestati. Tal fine ebbe quella celebre quanto sanguinosa battaglia, che il Trivulzio disse essere stata «non d'uomini, ma di giganti, sicché le diciotto battaglie campali, in che si era egli trovato, a paragone di questa chiamar si poteano giuochi da fanciulli». Grande fu il giubilo dei Francesi per questa vittoria; ma grande deve essere stato altresi il loro dolore per la perdita di tant soldati e più ancora per l'uccisione di tanti prodi, insigni e nobili cavalieri.
Giunti a Milano, gli Svizzeri furono ricevuti umanissimamente da quei cittadini, come dice il Giovio;
imperocché i loro feriti vennero premurosamente accolti negli ospedali ed essi rifocillati con pane e vino, secondo quanto racconta il buon Burigozzo nella sua cronaca. Tennero poi essi un consiglio sulla
grande piazza del Castello, dove trovaronsi riuniti in si gran numero, da non lasciar credere che avessero ricevuta una sconfitta. Chiesero tre mesi di paga, che non poterono avere essendo il Duca privo di denaro; ond'essi, lasciate tre compagnie alla custodia del Castello, alzarono le loro bandiere ed uscirono da Milano per Porta Comasina recandosi a Como, dove fecero provviste prima d'internarsi di là nei patri monti. Il Cardinale di Sion preferi l'esilio anziché venire a patti con Francia e, preso seco il Duca di Bari Francesco sforza, colla cavalleria del Papa ed una grossa banda di Sedunensil passò l'Adda e da Lecco entrò nella Valsasina, indi nella Valtellina, varcando poscia le Alpi per arrestarsi ad Inspruck nel Tirolo.
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