Troppo. Semplicemente troppo. Col senno di poi bisognerebbe andarci più volte; la prima per farsi un idea, la seconda per capire la struttura, la terza il filo logico, la quarta preparati, la quinta per i dettagli.
Sarò molto onesto, il 90% delle informazioni inerenti le opere le ho trovate in un secondo tempo, la mia visita si é limitata a racimolare informazioni sommarie su quelle opere che più attiravano la mia attenzione, impensabile leggere tutto.
Altra caratteristica dei musei vaticani é la fiumana ovina; mentre la prima parte con i reperti romani é ignorata (par fare un esempio la statua colorata di Augusto), l'ammasso ovino é alla massima potenza nella cappella sistina, e che pur bella sia non c'é solo le! Vaffanculo alla cappella sistina, nel senso, fanculo a chi eleva a capolavoro eterno un unica opera disdegnando completamente il resto. Ovini.
Dettaglio sulla piazza San Pietro, una piccola opera calpestata e riproposta come copertina a questo post
Un due tre...quattro...cinque, sei sette e otto e sei dentro
La prima cosa ad impressionare ai musei vaticani é il marasma di gente, le colonne, le agenzie che si guadagnano da vivere semplicmente portandoti dentro, un business fuori dall'immaginario. Mai visto, non agli Uffizi, non al Louvre. Ai musei vaticani si.
Ricostruzione di buona parte dello stato più piccolo del mondo
Si, é proprio quel cupolone
Antica Roma
Come detto la prima parte propone molte statue e oggetti architettonici dell'antica Roma, forse uno dei momenti migliori in quante le masse ovine si avventano come un fiume in piena alla cappella sistina
Statua di Marte, no, non é un magazzino sul retro
Corteo di magistrati Romani
Togati e littori sono di fronte a un grandioso tempio di dieci colonne in facciata. Il frontone del tempio é decorato con episodi della storia mitica di Roma. L'opera entrò in Vaticano nel 1823 dopo essere stata integrata nella bottega di Bertel Thorvaldsen (si,
lo stesso del leone morente di Lucerna) che erroneamente completò il togato a destra come Traiano. Il monumentale rilievo decorava un edificio di età domiziana e nel grandioso tempio sullo sfondo il Tempium Gensis Flaviae, complesso dinastico edificato sul Quirinale dell'imperatore Domiziano
Non deve sempre esserci una descrizione (part I)
Lapide del liberto Lucio Volusius (Urbanus), che probabilmente aveva prestato servizio come nomenclatore per Claudio e il suo collega Lucio Vitellio alla Censura intorno all'anno 48/49
Scena di caccia al cinghiale
Mosaici delle terme di Caracalla
Mosaici delle terme di Caracalla
Mosaici, con ampie integrazioni moderne, costituivano il pavimento di due esedre nelle biblioteche delle Terme di Caracalla.
Sono suddivisi in pannelli rettangolari o quadrati: le figure intere e i busti rappresentano pugili e lottatori, con i capelli spesso raccolti nel cirrus, il caratteristico ciuffo dietro la nuca che denotava gli atleti professionisti; le braccia dei pugili sono rivestiti dai cesti (protezioni in cuoio e stoffa con elementi metallici). La vigorosa muscolatura dei corpi e i possenti lineamenti dei volti sono resi con la ricca policromia delle tessere.
Nel mosaico sono raffigurati anche i giudici di gara che si distinguono dagli altri personaggi poiché
indossano la toga. Benché la costruzione delle Terme sia inquadrabile agli inizi del II secolo d.C., alcuni hanno ipotizzato una datazione in occasione di un restauro che interessò il complesso termale agli inizi del IV secolo d.C.
AVE AVGVSTO
Copia dell'Augusto di Prima Porta
È un calco in gesso, in scala 1:1 della nota statua presente nel braccio nuovo dei Musei Vaticani. Rispetto all'originale però la copia presenta una vivace colorazione. Si é tentato di rendere così l'aspetto che la scultura antica possedeva in origine dopo aver individuato, attraverso indagini scientifiche, tracce policrome, oggi non più visibili a occhio nudo. Ciò dimostra che le statue classiche in marmo bianco potevano essere trattate con colori diversi per dare risalto au vari dettagli dell scultura
Pinacoteca vaticana
Arazzo di Raffaello: San Paolo in prigione
La scena, detta anche Terremoto, è lunga e stretta, poiché si trovava accanto alla cantoria della Cappella. San Paolo si trova in carcere sullo sfondo e prega oltre le sbarre. In quell'occasione si verificò un cataclisma, simboleggiato dal gigante in primo piano che scuote le fondazioni dell'edificio.
Sant'Antonio Abate
Antonio nacque a Coma in Egitto (l'odierna Qumans) intorno al 251, figlio di agiati agricoltori cristiani. Rimasto orfano prima dei vent'anni, con un patrimonio da amministrare e una sorella minore cui badare, sentì ben presto di dover seguire l'esortazione evangelica: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi e dallo ai poveri". Così, distribuiti i beni ai poveri e affidata la sorella a una comunità femminile, seguì la vita solitaria che già altri anacoreti facevano nei deserti attorno alla sua città, vivendo in preghiera, povertà e castità.
Le tentazioni, quelle brutte
L'abate Antonio, per la storia dell'arte, è soprattutto il santo delle tentazioni demoniache: sia che esse assumano – in accordo con la Vita Antonii scritta da Atanasio di Alessandria – l'aspetto dell'oro, come avviene nella tavola del Beato Angelico (circa 1436) posta nel Museo delle Belle Arti di Houston, oppure l'aspetto delle lusinghe muliebri come avviene nella tavola centrale del celebre Trittico delle Tentazioni di Hieronymus Bosch al Museo nazionale dell'Arte antica di Lisbona, oppure ancora quello della lotta, contro inquietanti demoni, scena che fu popolarissima nel XVI e XVII secolo soprattutto nella pittura del Nord. Il dipinto presente al Vaticano é l'ultimo di questo capitolo
Le Tentazioni di Sant'Antonio incisione di Martin Schongauer, ca 1490.
Grande rilievo assume, nella Vita Antonii,
la descrizione della lotta di Antonio contro le tentazioni del demonio.
Matthias Grünewald, Tentazioni di sant'Antonio, 1515-20 circa, Musée d'Unterlinden, Colmar
Le tentazioni, quelle meglio di quelle brutte
Giuseppe Graziosi, Le tentazioni di sant'Antonio, 1930 circa, Modena, Gipsoteca "Giuseppe Graziosi"
Paul Cézanne, Tentazioni di sant'Antonio, 1875 circa, E. G. Bührle Collection (Svizzera)La vita
Nei primi anni fu molto tormentato da tentazioni fortissime, dubbi lo assalivano sulla validità di questa vita solitaria. Consultando altri eremiti venne esortato a perseverare. Gli consigliarono di staccarsi ancora più radicalmente dal mondo. Allora, coperto da un rude panno, si chiuse in una tomba scavata nella roccia nei pressi del villaggio di Coma.
In questo luogo sarebbe stato aggredito e percosso dal demonio; senza sensi venne raccolto da persone che si recavano alla tomba per portargli del cibo e fu trasportato nella chiesa del villaggio, dove si rimise.
San Girolamo del Da Vinci
Non lo sapevo fosse un Da Vinci, l'ho scoperto casualmente, l'ho scoperto perché la pittura mi ha catturato, o meglio, incuriosito, così mi sono avvicinato a leggere. Mi sono molto divertito nel vedere le decine di turisti passarli davanti ignari, se solo sapessere si tratta di un Da Vinci si accalcherebbero qui, e invece il quadro per un piccolo minutoi é tutto mio
Il dipinto viene in genere datato agli ultimi anni del primo soggiorno fiorentino di Leonardo, per le stringenti affinità con l'Adorazione dei Magi. Non si conosce la destinazione originaria dell'opera e l'unica menzione avvicinabile al dipinto è quella di "cierti san Gerolami" elencati dall'artista nell'inventario personale prima della partenza per Milano nel 1482.
Un Da Vinci, San Girolamo
Il rocambolesco ritrovamento dell'opera è raccontato da Pietro D'Achiardi in una ricostruzione ritenuta oggi poco credibile: appartenuto ad Angelica Kauffmann il dipinto sarebbe poi andato perduto, per essere ritrovato dal cardinale Joseph Fesch segato in due parti, una delle quali era usata da un rigattiere romano come coperchio per una panca, mentre l'altra (un quadrato con la testa, ancora visibile) faceva da sgabello per un calzolaio. Ad ogni modo è certo che il dipinto fu messo all'asta dagli eredi del cardinale nel 1845 con una valutazione di duemilacinquecento franchi e venne acquistato da Alessandro Aducci, un antiquario romano; quindi nel 1856 fu ceduto dalla figlia di questi a Pio IX e destinato da allora ai Musei Vaticani.
Il martirio di Santo Stefano
Lapidazione di Santo Stefano
Il 26 dicembre si ricorda Stefano protomartire, ovvero il primo cristiano ad aver dato la vita per testimoniare la propria fede in Cristo e per la diffusione del Vangelo. Stefano fu il primo dei sette diaconi scelti dalla comunità cristiana perché aiutassero gli apostoli nel ministero della fede. Intorno all'anno 36 d.C. fu accusato di blasfemia e condannato alla lapidazione. Uno dei suoi principali inquisitori fu Saulo di Tarso, che poi diventerà San Paolo.
Il martirio di Sant'Erasmo
Nicolas Poussin (Les Andelys 1594 - Roma 1665) Martirio di S. Erasmo
La grande pala fu realizzata a Roma dal Poussin negli anni 1628-29 per l'altare del transetto destro della Basilica di S. Pietro nel quale erano conservate le reliquie di S. Erasmo.
L'opera raffigura il martirio di S. Erasmo, vescovo di Formia, avvenuto durante le persecuzioni di Diocleziano nel 303 d.C. In primo piano un sacerdote indica la statua di Ercole (l'idolo pagano che Erasmo aveva rifiutato di adorare subendo per questo il martirio), mentre un carnefice estrae le viscere del Santo arrotolandole intorno a un argano da marinai. Sullo sfondo compaiono un soldato romano a cavallo e due angioletti con la palma e la corona di alloro, simbolo del martirio.
L'opera rivela l'adesione da parte dell'artista ad un classicismo meditato, studiato, neoantico che attinge alla grande tradizione italiana rinascimentale, fondendo la vitalità del colore veneto di Tiziano alla compostezza classica ai Raffaello.
Statuetta raffigurante il martirio di Sant'Erasmo, XVIII secolo, museo del sale di Stans
Il giardino dell'Eden
Questo quadro é stata la vera sorpresa della giornata, messu in un posto strategico, un passaggio obbligato, giusto all'uscita delle sale contenente dipinti dai contenuti e colori cupi rispecchia per i colori vivaci e l'ambiente rilassato. Uno dei più fotografati
Il giardino dell'Eden in un dipinto di Johann Wenzel Peter
La grande tela rappresenta il momento culminante della carriera di Wenzel Peter, pittore boemo di gran fama specializzatosi nella raffigurazione di animali. Le sue opere riproducono animali singoli o in lotta fra loro, dipinti con perizia tecnica e straordinario realismo che rivela la sua ampia conoscenza zoologica. Il Paradiso Terrestre costituisce la prova di più alto virtuosismo del pittore, dal momento che raduna intorno alle figure di Adamo ed Eva circa duecentoquaranta animali. Animali del continente europeo, africano, asiatico e dell'Oceania si affiancano ad uccelli del vecchio e nuovo mondo, a riprova della straordinaria competenza scientifica dell'autore. Nel 1831 Gregorio XVI, affascinato dal genere, acquistò venti opere del pittore da utilizzare per l'arredo della Sala del Concistoro nell'Appartamento Papale di rappresentanza.
Capatina in Egitto (Museo Gregoriano Egizio Vaticano)
Premetto che non avevo una minima idea di cosa avrei trovato ai musei Vaticani, ma sono stato piacevolmente sorpreso di aver trovato oggetti provenienti da culture che adoravano u Dio che non fosse quello cristiano.
"Io sono colei che, è che è sempre stata e sempre sarà, e nessun mortale ha mai alzato il mio velo." Questa frase la riferisce Plutarco per averla letta incisa su una statua di Iside. Insomma i caratteri del Dio unico appartenevano un tempo alla Dea, che però non era unica.
Anubi, anzi Ernmanubi
Statua del dio Ermanubi, in marmo bianco (I-II secolo d.C.).
È un dio greco-egizio nato dalla fusione di Ermes (Ἑρμῆς) e Anubi (Ἄνoυβις)[2]. Era considerato figlio di Seth e Nefti.
La sua funzione di guida delle anime nell'aldilà incoraggiò la sua fusione con Anubi, che svolgeva la medesima funzione nell'immaginario egizio
Raffigurato con corpo d'uomo e testa di sciacallo, con in mano il sacro caduceo che era uno degli attributi principali del dio greco Ermes, Ermanubi rappresentava il sacerdozio egizio e la sua ricerca della verità
La pigna
Simbolo della pigna a Roma, ricorrente nell'architettura dell'Urbe, il cui significato sembrerebbe alludere tra le altre cose alla sede dell'anima rappresentata dalla ghiandola pineale, la cui forma ricorda appunto una pigna.
Relazione tra la percezione e la ghiandola pineale secondo Cartesio
Statua di Perseus, scolpiti da Antonio Canova La statua mostra il Perseus trionfante che tiene la testa tagliata della medusa, uno dei tre Gorgons
Sala degli animali
Nerone al Vaticano
La figura dell'Imperatore Nerone è associata generalmente alla figura del tiranno e dell'incendiario. Ma è a lui che dobbiamo la costruzione di un eccezionale complesso monumentale, la Domus Aurea (o Casa d'oro). Questa casa venne riscoperta alla fine del XV secolo, quando un romano precipitò per sbaglio in un buco nel terreno, che poi si rivelò essere una delle stanze della casa, sepolta per secoli.
Vasca dell'imperatore Nerone. Dalle dimensioni, si può capire il lusso e l'importanza dell'opera all'interno della Domus Aurea
Da quel momento, le rovine furono visitate molte volte; furono scoperte incredibili decorazioni. Così, le "grottesche" (dipinti così chiamati perché si pensava adornassero le pareti delle caverne) divennero motivi decorativi alla moda e ampiamente utilizzati dai pittori del Rinascimento.
Cupola della sala del bagno di Nerone
Plinio evoca il palazzo di Nerone nella sua Storia Naturale e contribuisce alla leggenda di questo luogo che si dice tanto grande che "abbracciava tutta Roma". Fu dopo l'incendio di Roma, nel 64 d. C., che Nerone costruì questo complesso architettonico, che comprendeva dei giardini e un lago artificiale. Non possiamo davvero parlare di una residenza perché mancano elementi essenziali, come cucine o latrine, ma più di un palazzo cerimoniale. Dopo la morte di Nerone nell'anno 68 d. C., la Domus cade nell'oblio. Poi l'imperatore Traiano decise di ricoprirla di terra. Nello stesso momento in cui viene innalzato il Colosseo tra il 72 e l'80 d. C., la Domus viene dimenticata.
Ricostruzione della Domus Aurea, in mezzo al foro sulla destra si scorge l'enorme statua raffigurante Nerone con le sembianze di un Dio, questa statua, nominata il Colosso, prenderà poi il nome il futuro Colosseo edificato li vicino dopo la scomparsa di Nerone Sarcofago di Costantina
II monumentale sarcofago in porfido rosso fu realizzato per accogliere le spoglie di una delle figlie dell'imperatore Costantino, probabilmente Costanza, morta nel 354 d.C. e sepolta nel mausoleo sulla via Nomentana accanto alla Basilica di S. Agnese. Tra il 1467 e il 1471 il sarcofago fu trasferito a piazza S. Marco e nel 1790 giunse in Vaticano, trasportato da un tiro di 40 buoi.
sarcofago di Costantina: sarcofago in porfido rosso proveniente dalla chiesa di Santa Costanza, dove fu sepolta la figlia di Costantino I, Costantina
Il coperchio ha quattro spioventi e un alto bordo sul quale corrono delle ghirlande sostenute da protomi. La cassa non è profilata e reca una ricca decorazione a rilievo di amorini alla vendemmia, dove i tralci di vite concorrono a formare complesse girali che decorano tutto il registro superiore, i bordi nei lati minori e inquadrano al centro dei lati lunghi delle scenette con putti. Nella parte inferiore dei lati lunghi figurano vari animali che mischiano la simbologia pagana e cristiana, come i pavoni, simbolo di Giunone, che quale regina degli dei, simboleggia le imperatrici, e le pecore, simbolo dei cristiani. Nella scena centrale vi sono degli amorini che vendemmiano entro corone vegetali.
La simbologia della vendemmia nell'arte funeraria è molto antica e legata ai culti dionisiaci, secondo i quali l'uva morendo, al pari dell'essere umano, poteva creare qualcosa di migliore che era il vino
Non deve sempre esserci una descrizione (part II)
Sala della biga
Sala della biga
Costruita alla fine del 1700 dall'architetto Giuseppe Camporese, la Sala della Biga fa parte del Museo Pio Clementino in cui sono raccolte le opere d'arte greco-romana acquisite dai pontefici nel corso dei secoli. Questa ala del museo è famosa per ospitare il grande gruppo marmoreo della “Cassa di Biga” che rappresenta appunto una biga trainata da due cavalli. Si tratta di una scultura risalente al I secolo d.C. che fu rinvenuta nella Chiesa di San Marco dove era usata come cattedra episcopale. Nella sala è conservato anche la copia di un “Discobolo”, l'originale in bronzo, datato 560-550 a.C., venne ritrovato nella Villa di Adriano a Tivoli.
Cesaricidio
La morte di Giulio Cesare - manifattura fiamminga - Bruxelles, 1549. Arazzo, ordito in lana, trama in lana e seta - cm 495 x 753
L'opera fa parte di una serie di arazzi con la Storia di Giulio Cesare, acquistata da Giulio Ill nel 1555, L'arazzo fu tessuto su disegni realizzati da Pieter Coecke Van Aebt (1502-15503) e bottega per una prima serie datata 1540, commissionata da Enrico VIll d'inghilterra e oggi dispersa. L'episodio, tema iconografico raramente riprodotto in arazzo, mostra il momento in cui l'imperatore romano Cesare è aggredito dal suoi quattro assassini mentre un gruppo di senatori assiste alla scena.
Sullo sfondo a sinistra, è raffigurato il momento precedente all'omicidio in cul Artemidoro tenta di avvisare Cesare della congiura contro di lui. L'arazzo è impreziosito da una lussureggiante bordura, costituita da festoni di frutti e foglie abitati da putti giocosi.
La galleria delle carte geografiche
All'inizio del XVI secolo, quando papi e principi cercavano in ogni modo di mostrare la loro ricchezza e istruzione, in Italia divenne di moda decorare palazzi, monasteri e ville con cicli di carte geografiche. Il ciclo più importante è la Galleria delle mappe, nei Musei Vaticani a Roma.
Papa Gregorio XIII incaricò del progetto un gruppo di artisti e scienziati, fra i quali il frate domenicano e matematico Egnazio Danti. Essi decorarono un corridoio di 120 m, nel cortile del Belvedere, con 40 enormi mappe affrescate a colori vivaci che rappresentavano ciascuna una regione e le isole dell'Italia. Ogni mappa misurava circa cm 300 x 400 ed era disposta nella galleria in modo tale da dare l'illusione di attraversare l'Italia a piedi da nord a sud, con le regioni tirreniche sul lato orientale e quelle adriatiche sul lato occidentale, mentre scene bibliche
ornano la volta.
Pellegrino Danti, nato a Perugia da una famiglia di pittori, da giovane studiò teologia. Nel 1555 entrò a far parte dell'ordine domenicano e cambiò nome in Egnazio.
Spinto dalla passione per lo studio della matematica e della geografia, Danti si trasferi a Firenze nel 1563 su invito del duca Cosimo I de' Medici, dove insegnò matematica. Qui ebbe anche l'incarico di un primo grande progetto cartografico: 53 mappe, mappamondi e dipinti per il Guardaroba di Palazzo Vecchio. Dopo il successo di Firenze, Danti fu nominato professore di matematica all'Università di Bologna. Invitato a Roma da Papa Gregorio XIII per lavorare alla riforma del cosiddetto Calendario gregoriano, gli fu affidato l'incarico di sovrintendere ai disegni di una serie di carte regionali che avrebbero decorato la nuova Galleria delle mappe in Vaticano. Oltre ai suoi impegni cartografici e matematici, Dante fu un vescovo molto rispettato e stimato per le sue opere di bene a favore dei poveri del Sud dell'Italia.
Parte della mappa di Milano, in particolare i laghi e le vallate della parte centrale e meridionale del Ticino.
Le carte di Danti sovente mostravano importanti eventi storici avvenuti nello stesso territorio in periodi diversi. La mappa di Milano presta poca attenzione alla città, ma si concentra su almeno tre importanti battaglie che ebbero luogo nella regione: quella fra Annibale e Scipione nel 218 a.C. (si int6ravede il quadratino bianco in mezzo in basso), la sconfitta dei Longobardi da parte di Carlo Magno nel 774 d.C. e la sconfitta francese a Pavia nel 1525.
I martiri di Gorcum
I Martiri di Gorcum (o Gorcumiensi) furono diciannove martiri cattolici, tra cui undici frati francescani minori osservanti, un frate agostiniano e un monaco premostratense, un canonico regolare di sant' Agostino, un frate domenicano e quattro sacerdoti secolari, che durante la guerra degli ottant'anni furono catturati dai Gheusi del mare calvinisti a Gorcum, sottoposti a numerose torture e mutilazioni, condotti poi a Brielle e infine impiccati nel fienile di un monastero diroccato. Sono venerati come santi dalla Chiesa cattolica.
I Martiri di Gorcum, tela di Cesare Fracassini (1838-1868)
"..presero prigionieri tutti i religiosi e iniziarono a insultarli, chiedendo loro dove avessero nascosto i loro tesori, e di fronte ai loro dinieghi li malmenarono violentemente, dando anche fuoco a padre Pieck che era svenuto.
Per dieci giorni i religiosi rimasero prigionieri nella torre e furono sottoposti a sevizie continue; poi il capo dei Gheusi, il barone di Lumey Guillaume de la Marck, chiese che venissero trasferiti nella vicina città di Brielle dove lui si trovava.
La sera del 5 luglio furono fatti salire su una grande barca, che fece diverse soste per esporre i prigionieri alla curiosità e agli insulti della folla dei vari paesi. Giunsero a Brielle il mattino del 7 luglio. Li accolse il Lumey, che li fece camminare fino alla città disposti su due file simulando una processione religiosa, costringendoli a cantare inni e litanie ed esponendoli al ludibrio della folla che li bersagliava con pietre, sabbia e secchi di acqua sporca. Infine li condusse in prigione
A mezzanotte il Lumey, svegliandosi dopo le abbondanti libagioni serali, preso da una violenta collera dopo aver riletto i messaggi di Guglielmo I d'Orange e di Martin, ordinò che tutti i preti e i religiosi papisti venissero impiccati subito. Mandò quindi alla prigione per prelevarli un suo luogotenente e un prete apostata di Liegi, tale Jean Omal; di fronte alle loro rimostranze che non si poteva eseguire una sentenza di morte in piena notte, si infuriò ancora di più, urlando che lui era il padrone assoluto e poteva decidere tutto ciò che voleva, senza dover obbedire a Guglielmo d'Orange o a chicchessia. All'una di notte i martiri furono condotti fuori dalla città, nel monastero agostinano di santa Elisabetta, che i monaci avevano abbandonato e che i Gheusi avevano saccheggiato e semidistrutto. Là, nel granaio dove si trovavano due grandi travi, iniziarono a impiccarli uno dopo l'altro, iniziando da padre Pieck, che fino all'ultimo respiro incoraggiò i confratelli. Dopo la sua morte i più anziani andavano incoraggiando i più giovani; in quest'opera si distinse particolarmente il vicario Girolamo da Weert, che fu zittito a colpi di picca in faccia; quando poi i soldati scoprirono che aveva sul petto e sul braccio destro il tatuaggio di una croce che si era fatto fare durante un pellegrinaggio a Gerusalemme, iniziarono a scorticarlo per cancellare le croci. Goffredo da Melveren, uno dei più anziani dei martiri, morì pregando il Signore di perdonare i suoi carnefici, ripetendo le parole di Cristo sulla croce, Signore perdona loro perché non sanno quello che fanno. Fra gli ultimi rimase Goffredo Van Duynen, che i soldati volevano risparmiare conoscendolo personalmente e sapendo che era un sant'uomo, ma lui li esortò a procedere.
All'ultimo momento solo due dei ventuno accettarono di abiurare: un cappuccino di nome Guglielmo, che poi si arruolò con i Gheusi e due anni dopo fu impiccato per furto, e il novizio francescano Enrico, che come testimone diretto poi stenderà un preciso resoconto di tutti i fatti accaduti.
I 19 martiri di Gorcum nella piazza di Brielle
Uno svizzero
Francesco Podesti, Incoronazione dell’effigie dell’Immacolata ad opera di Pio IX, 1859-61, Sala dell’Immacolata, dettaglio si guardia svizzera con spada a due mani
Battaglia di Ponte Milvio
Il soggetto del dipinto è la battaglia di Ponte Milvio, quando Costantino sconfisse Massenzio. La convulsa scena di battaglia è ispirata ai rilievi sui sarcofagi romani e su altri monumenti, con l'imperatore che ad esempio è plasmato su quello del fregio traianeo nell'Arco di Costantino.
Cartone dell'affresco, Louvre
Al centro incede trionfante Costantino su un cavallo bianco, che macina i nemici sotto gli zoccoli. Gli si parano davanti le truppe avversarie, che si piegano però alla sua inarrestabile avanzata. A destra si vede il ponte Milvio, strapieno di soldati;
nel fiume le barche dell'esercito di Massenzio vengono colpite e fatte rovesciare dagli arcieri, mentre altri soldati vi cadono per la spinta della zuffa; tra questi, in basso a sinistra, si trova anche Massenzio a cavallo, riconoscibile per la corona in testa, che è ormai inevitabilmente destinato alla sconfitta. In alto tre apparizioni angeliche confermano l'esito divino della battaglia.
Scuola di Atene
La Scuola di Atene è un affresco (770×500 cm circa) di Raffaello Sanzio, databile al 1509-1511 ed è situato nella Stanza della Segnatura, una delle quattro "Stanze Vaticane", poste all'interno dei Palazzi Apostolici: rappresenta una delle opere pittoriche più rilevanti dello Stato della Città del Vaticano, visitabile all'interno del percorso dei Musei Vaticani.
È l'opera più famosa in assoluto tra quelle del pittore urbinate e la più importante dei Musei Vaticani dopo la Volta della Cappella Sistina e il Giudizio Universale di Michelangelo.
Scuola di Atene
Ti ruberei, se solo riuscissi a staccarti dalla parete
Durante il sacco di Roma gli affreschi della Stanza della Segnatura, come anche altre opere d'arte, subirono danni dai soldati luterani che accesero fuochi il cui fumo danneggiò gli affreschi e tracciarono scritte incise sulla fascia basamentale che vennero coperte da ridipinture seicentesche. Durante la Repubblica Romana instaurata dai giacobini e successivamente nel periodo napoleonico, i francesi elaborarono alcuni piani per staccare gli affreschi e renderli trasferibili. Infatti, espressero il desiderio di rimuovere gli affreschi di Raffaello dalle pareti delle Stanze Vaticane e inviarli in Francia, tra gli oggetti spediti al Musee Napoleon delle spoliazioni napoleoniche, ma questi non vennero mai realizzati a causa delle difficoltà tecniche e i tentativi falliti e disastrosi dei francesi presso la chiesa di San Luigi dei Francesi e Trinità dei Monti a Roma.
Personaggi
Le cinquantotto figure presenti nell'affresco hanno sempre sollecitato gli studiosi circa la loro identificazione. Qualche nome: Platone, Aristotele, Socrate, Alessandro Magno, Pitagora,
Diogene (Al centro sta sdraiato sui gradini Diogene, con i chiari elementi iconografici (l'abito lacero e l'atteggiamento di ostentato disprezzo del decoro e la ciotola), Euclide, Pitagora
Uomini del passato con fattezze di uomini del presente
L'evocazione degli uomini illustri del passato venne collegata indissolubilmente al presente, dando talvolta agli uomini antichi le fattezze di personaggi contemporanei. Probabilmente nelle figure dell'affresco erano riconoscibili i personaggi della corte pontificia, tra cui umanisti, letterati e principi. Per la critica moderna però, nella generale scarsità di fonti attendibili, scritte o iconografiche, si identifica soprattutto un nutrito gruppo di artisti.
Già Vasari menzionò i ritratti di Federico II Gonzaga,allora giovanetto, di Bramante, e di Raffaello stesso[16]. Particolarmente conosciute, ma non sempre documentate, sono le ipotetiche raffigurazioni di Michelangelo nella figura di Eraclito, Leonardo da Vinci come Platone e Bramante come Euclide. Controversa è poi l'identificazione di Francesco Maria Della Rovere nel giovane stante vestito di bianco. La presenza degli artisti nell'affresco ribadiva l'elevazione del loro mestiere tra le arti liberali, secondo lo spirito pienamente rinascimentale[
Eraclito
Verso il centro Eraclito, isolato, poggia il gomito su un grande blocco. La vicenda di questo personaggio nel dipinto è molto famosa. Nel cartone preparatorio dell'affresco questa figura non c'è. Sembrerebbe che Raffaello, curioso di vedere cosa stesse dipingendo il suo rivale Michelangelo nella Cappella Sistina, una notte sia entrato nella Cappella, arrampicandosi sui ponteggi, ed abbia visto il ciclo di affreschi che Buonarroti stava realizzando rimanendo molto sorpreso. Per rendere omaggio a Michelangelo, quindi, avrebbe deciso di inserire il suo rivale nella Scuola di Atene e abbia dipinto Eraclito, pensieroso e appoggiato ad un blocco, con il volto di Michelangelo.
Papa Pio XI
Pio XI (in latino: Pius PP. XI, nato Ambrogio Damiano Achille Ratti; Desio, 31 maggio 1857 – Città del Vaticano, 10 febbraio 1939) è stato il 259º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica dal 1922 alla sua morte. Dal 7 giugno 1929 fu il primo sovrano del nuovo Stato della Città del Vaticano.
Busto in ceramica di Papa Pio XI dello scultore Adolfo Wildt
Ratti fu pure un appassionato alpinista: scalò diverse vette delle Alpi e fu il primo - il 31 luglio 1889 - a raggiungere la cima del Monte Rosa dalla parete orientale; conquistò, sebbene gravato del peso di un ragazzo che portava sulle spalle, il Gran Paradiso[15]; il 7 agosto 1889 scala il Monte Cervino, e a fine luglio 1890 il Monte Bianco, aprendo la via successivamente chiamata "Via Ratti - Grasselli"
Ratti, nel 1899, ebbe un colloquio con il famoso esploratore Luigi d'Aosta Duca degli Abruzzi per partecipare alla spedizione al Polo Nord che il Duca stava organizzando. Ratti non venne preso, si dice, perché un sacerdote, per quanto eccellente alpinista, avrebbe intimidito gli altri compagni di viaggio, rudi uomini di mare e montagna
Cappella Sistina, foto rubata - Eventuali descrizioni sono volutamente omesse.
Ricci pastorali
Esco, tra due ali di turisti in colonna al bagno, il tempo é prezioso e va sfruttato, mi siedo nei giardini giusto il tempo per far riposare un attimo le gambe, me lo posso permettere perché sto per schivare la parte con le foto del papa con la maglietta della nazionale di calcio e quant'altro, una caduta culturale profonda che però non é sufficiente ad abbassare la media espositiva di questo incredibile museo.
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