Alle medie ci obbligarono a leggere un libro: "la luna e i falò" di Cesare Pavese. Il libro raccontava del rientro a casa del protagonista dopo molti anni in cui era rimasto all'estero come emigrante in cerca di fortuna.
Il grande messaggio che mi lasciò fu quello della "bellezza di tornare a casa". Il viaggio di ritorno, rivedere tutti i paesaggi che si conoscono e che ci separano da casa é un piacevole sensazione di conto alla rovescia verso la gioia di arrivare alla propria dimore, quella tanto sognata e sofferta. L'agognato giorno, l'attesa alba era finalmente arrivata.
Parallelamente questa felicità si contrappone dalla tristezza di essere lontano da casa, più é forte la malinconia più é grande la gioia di rientrare. Sembra che gli svizzeri (emigranti e in passato spesso anche mercenari) sembra ne soffrissero particolarmente
Mal du pays
In Svizzera, l'espressione mal du pays, che in tedesco corrisponde a Heimweh, letteralmente "nostalgia di casa", che a sua volta corrisponde alla nostalgia per la patria lontana, è di origine alemanna. Compare per la prima volta nel 1651, in una raccolta di testi di scherno: considerato in un primo tempo un provincialismo, solo alla fine del XVIII secolo gli venne riconosciuta dignità letteraria. Ancora nel 1726 Albrecht von Haller preferì intitolare una sua poesia Sehnsucht nach dem Vaterlande, evitando la parola Heimweh.
Verso terre lontane II, dipinto, 1911, Hans Bachmann, Zurigo. Olio su tela
Schweizerheimweh
È sempre in questo Paese che la Heimweh è stata definita come un fenomeno medico e culturale, e per molto tempo è stata considerata una malattia peculiare di questo Paese e dei suoi abitanti, motivo per cui era nota anche come "mal di Svizzera" o Schweizerheimweh. Nel 1688, Johannes Hofer, un medico di Mulhouse, la descrisse per la prima volta in una dissertazione a Basilea come una patologia che chiamò "Nostalgia", un termine che in seguito entrò nella lingua francese.
Scheuchzer ritenne che si trattasse di un effetto della pressione atmosferica che nei Paesi in pianura era, a suo parere, più elevata che nelle Alpi e ostacolava quindi la circolazione sanguigna degli Svizzeri, abitanti delle "vette più alte d'Europa". La nostalgia era considerata letale: si poteva guarirne solo grazie al ritorno in patria, attenuare il male solo con il trasferimento del malato in luoghi d'altura.
Nell'articolo Nostalgia, maladie du pays pubblicato nell'Encyclopédie d'Yverdon nel 1774, Albert de Haller descrisse il fenomeno come una sorta di malinconia, "che poteva portare alla debolezza, alla malattia e alla morte, ma che la speranza di un ritorno poteva curare".
Il canto dei vaccai
Melodia strumentale menzionata per la prima volta nel 1545; in seguito melodia perlopiù cantata (in dialetto svizzeroted. Har Chueli, ho Lobe) con cui le mucche al pascolo (dette anche Lobe) vengono richiamate alla stalla, indotte a disporsi in fila e rese tranquille durante la mungitura. Il termine ted. corrispondente (Kuhreihen) deriva dal verbo kuoreien, cioè "allineare (reien) le mucche"
Theodor Zwinger sostenne che il Canto dei vaccai provocasse la nostalgia del Paese nei soldati svizzeri al servizio straniero e li inducesse alla Diserzione
La pubblicità del cacao Suchard, risalente alla prima metà del XX secolo, riporta note e parole del canto dei vaccai della Gruyère (Collezione privata).
Dal profilo della storia culturale riveste importanza il legame tra Heimweh e canto dei vaccai.
Johannes Hofer riferisce che
i mercenari svizzeri udendo il canto dei vaccai erano colpiti da delirium melancholicum e pertanto spinti alla diserzione: per questa ragione era passibile di morte chi, nel servizio all'estero, lo suonava o cantava.
Jean-Jacques Rousseau riprese tale diceria nel suo Dictionnaire de musique (1767). Il motivo del canto dei vaccai che provocava la nostalgia divenne noto in tutto il mondo ed entrò a far parte della storia della letteratura e della musica
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