Che prima o poi la disastrosa ritirata da Airolo da parte dei ticinesi nella guerra del Sonderbund avrebbe fatto discutere era anche preventivabile, probabilmente nessuno se lo sarebbe aspettato con i toni e la veemenza utilizzata e men che meno che tali parole furono indirizzate direttamente e senza alcun filtro al responsabile della debacle: il colonnello Luvini.
Il duello che ne segue é solo l'atto finale di un escalation causata da un evento in cui la Svizzera, o meglio ancora il Ticino, fu indirettamente colpito: le 5 giornate di Milano.
Duello come atto finale
Al Parlamento svizzero, la maggior parte degli scambi è civile. Ci si ascolta, si discute, si vota. Dopo, i vincitori e i vinti pranzano insieme. In Svizzera, insulti e minacce sono rari in politica. Non si arriva mai alle mani nell'aula del Consiglio nazionale. Ma non è sempre stato così... Non è la prima volta. Nell'autunno del 1848, durante la prima seduta del Consiglio nazionale, scoppiò una violenta lite tra due consiglieri nazionali. Le cose non finirono lì: i due uomini si scontrarono a duello e uno di loro rimase leggermente ferito. Ma vediamo di chiarire i fatti.
Nei tempi moderni, gli uomini hanno spesso combattuto duelli per riconquistare il proprio onore.
Nel novembre 1848, il Consigliere nazionale ticinese Giacomo Luvini accusò le truppe della Confederazione di aver ripetutamente violato la sovranità del Canton Ticino. Rudolf Benz, consigliere nazionale zurighese e comandante di questi soldati, si oppose e si vendicò attaccando anche Luvini. Definì il colonnello ticinese un vigliacco, perché era stato sconfitto dagli uraniani ad Airolo durante la guerra del Sonderbund nel 1847 ed era fuggito. Giacomo Luvini non poteva lasciar correre. Sfidò a duello il Consigliere nazionale zurighese.
Il 29 novembre i due belligeranti incrociarono le spade. Secondo l'Eidgenössische Zeitung, il duello si svolse sulla piazza d'armi della caserma di cavalleria. "Era stato concordato che il duello sarebbe finito con la prima goccia di sangue versata", riportava il giornale il 3 dicembre 1848. Rudolf Benz, ferito alla mano durante lo scontro, riuscì comunque a tornare a casa il giorno stesso in una carrozza trainata da cavalli.
Giornale di Ginevra
In un tuffo nel passato ecco cosa riportava il giornale di Ginevra a più riprese tra le sue pagine
Giornale di Ginevra 05.12.1848
Ricorderete come il colonnello Benz, deputato di Zurigo, trattò l'onorevole ticinese Luvini: questo portò a un incontro tra i due avversari la mattina del 29 novembre. Il duello avvenne a colpi di sciabola. L'onorevole Benz è stato ferito, ma non in modo pericoloso.
- Il Consiglio federale ha nominato il vodese Brialle e il colonnello Stahlin di Bale come rappresentanti federali in Ticino in sostituzione dei signori Munzinger e Dr. Escher....
Giornale di Ginevra 08.12.1848
Il duello si concluse senza troppo clamore.
Il colonnello Benz fu ferito alla mano, alla coscia e al fianco; le ultime due ferite furono lievi. Cercò di parare con la mano sinistra, ma non sapeva come maneggiare la sciabola. Il giudizio di Dio è ad Airolo, non qui!
- Il colonnello Luvini ha ritirato la richiesta di risarcimento per un paio di grandi spalline perse ad Airolo.
Tageblatt: politica di asilo
Nei primi tempi della Confederazione svizzera si tennero regolarmente accesi dibattiti in Parlamento. Nell'autunno del 1848, il liberale radicale ticinese Giacomo Luvini e il liberale zurighese Rudolf Benz si scontrarono a tal punto che Benz sfidò Luvini a duello. I due colonnelli si colpirono effettivamente con le sciabole. Anche se il duello non fu esattamente all'ultimo sangue, Benz subì una leggera ferita alla mano. Ritirò quindi le sue accuse contro Luvini. Tra l'altro, lo scontro verteva su un tema di grande attualità: la giusta direzione della politica di asilo
Sessione della Tagsatzung nel 1847: il colonnello Giacomo Luvini in primo piano al centro alla destra dell'uomo in piedi (n. 19)
Bollettino di informazione "Società svizzera per le questioni parlamentari": profughi ticinesi e risarcimenti di guerra
Quando il 22 novembre 1848 il Presidente del Consiglio nazionale usò per la prima volta la campana per mantenere l'ordine, i litiganti coinvolti non si accontentarono affatto di un ammonimento così civile, ma preferirono misure più drastiche.
Dopo che il colonnello ticinese Luvini aveva accusato le truppe inviate dal sobborgo federale di ripetute violazioni della sovranità del Canton Ticino in modo appassionato, fragoroso, persino furioso nella questione dei profughi ticinesi, in cui "quasi non riusciva a prendere fiato", e con "diverse esclamazioni declamatorie e urlanti, il loro comandante, il colonnello zurighese Benz, controbatté a queste accuse nella riunione successiva come segue: Se i fatti citati da Luvini fossero veri, egli (Benz) dovrebbe rassegnare le sue dimissioni, avendo in queste cose un senso dell'onore maggiore del colonnello Luvini, il quale, alla testa delle forze superiori durante la memorabile fuga di Airolo, dichiarò di rinunciare alla lotta perché le sue truppe erano demoralizzate, ma poi ebbe l'impudenza e l'impertinenza di addebitare alla Confederazione 800 franchi per i suoi effetti personali, abbandonati durante la vergognosa fuga, come spade e spalline".
Tra l'altro, non avrebbe più parlato con il colonnello Luvini (...) se non in un dialogo". Ciò che questo significava negli ambienti degli ufficiali era chiaro a tutti i presenti, ovvero l'invito a un duello tra uomini d'onore. Tuttavia, l'esito del duello fu a svantaggio del lanciatore di guanti Benz. Egli rimase ferito e successivamente ritirò le sue accuse contro Luvini.

Gravure de 1858 représentant Rudolf Benz.Musée national suisse
Gravure représentant Giacomo Luvini, vers 1840.Musée national suisse
Il punto cardine
A questo punto appare chiaro che il fattore scatenante ruota attorno ad una questione di rifugiati nelle terre ticinesi in cui la Confederazione decide di mettere il naso violando il diritto di Stato del canton Ticino. Il fatto che sia il colonnello Luvini a difendere la sovranità cantonale scatena la risposta fin troppo rimasta in gola sulla sua disastrosa e vigliacca fuga da Airolo durante la guerra del Sonderbund.
Ma come si é giunti a tutto ciò?
L'armistizio di Salasco
Le sorti della prima campagna del Risorgimento, cui avevano partecipato come volontari molti ticinesi , dovevan ben presto volgersi contro gli italiani; e il 9 agosto si arrivava all'armistizio Salasco. Già nei giorni che precedettero quella firma si fu un affluire e premere numerosissimo e a tratti esagitato di profughi alla frontiera meridionale del Canton Ticino: c'eran uomini validi in armi, ma anche donne vecchi e bambini, a chiedere disperati un rifugio sicuro.
Nelle barricate della ribellione popolare milanese finiscono letti, sedie, carri, pentole, armadi, ma anche poltrone, specchi, carrozze.
Scrive il Martinola: "Milano, al ritorno degli austriaci, si svuotò. Si è calcolato infatti che circa centomila milanesi, due terzi di quanti ne contava la città, fuggissero riversandosi in maggioranza nel Piemonte, e gli altri nel Ticino, creando una folla di problemi di sussistenza..."
Il quadro della realtà in questa notizia del «Repubblicano» del 7 agosto:
«Tutta la via da Chiasso a Lugano è sparsa di uomini spossati, di donne anelanti, di vecchi i quali, appena si reggono e di fanciulli»; ond'è naturale che per tutto il cantone fosse un generale affannarsi a prestar una soccorrevole mano. Lugano divenne un autentico porto di mare. Un ufficiale subalterno austriaco, che in abito borghese aveva compiuto una visitina inquisitoria sulle rive del Ceresio, dipingeva a suo modo un quadro colorito della vita borghigiana: "Di buon mattino Lugano era affatto deserta, ma a pena spuntato il sole escirono da tutti gli angoli le figure più fantastiche quali solo saprebbe inventare la calda fantasia d'un pittore di teatro."
Secondo un calcolo approssimativo potevano essere da seicento a settecento individui». Di qui il sorgere a Lugano di un «Comitato di mutuo soccorso»:
La Dieta da "una manina"
C'erano tra i profughi nomi famosi, oltre al Cattaneo e al Mazzini, come Tommaso Grossi e Antonio Fontanesi; e c'era una moltitudine senza nome. La Dieta peraltro non volle apparire nel caso discorde col generale sentimento ticinese, e nella seduta dell'11 settembre decideva di far assumere alla Confederazione le spese che l'immigrazione italiana aveva occasionato ai cantoni: ché anche altri cantoni n'erano stati toccati, sia pure in misura più esigua.
Pure non era certo il caso di coltivar nel punto le illusioni: la solidarietà della maggioranza confederata col Ticino e la causa della libertà italiana non avrebbe più dovuto compier ulteriore cammino; e dovevan ingenerarsi anzi sospetti e contrasti. Già del resto fin dal mese d'aprile s'eran udite nell'interno voci alzarsi contro il Ticino, che pareva venir meno al suo impegno di politica neutrale; e ora, dopo la battaglia di Custoza, quelle voci d'accusa s'eran fatte più numerose e veementi. La Confederazione aveva avviato d'altro canto ormai relazioni normali e fin cordiali con l'Austria,
Radetzky non ci sta
La tensione si sarebbe fatta singolarmente forte tra il Radetzky e il Canton Ticino; scrive il Martinoia in un articolo: «Giunta di insurrezione nazionale italiana». Che se poi il Consiglio di stato interveniva, ordinando lo scioglimento della giunta, e ottenendo dal Mazzini la promessa d'astenersi da ogni attività che potesse compromettere il cantone, i clandestini armeggi e preparativi seguitavano, con la stampa e la diffusione di opuscoli e manifesti, con occulti congressi, e altri mezzi. Ne certo poteva questa realtà sfuggire all'occhiuto Radetzky, che il 19 agosto si faceva innanzi con una nota al governo ticinese, dove, affermato che nel cantone eran pur entrate milizie lombarde armate e che vi si tolleravan arruolamenti di volontari contro l'Austria, intimava che senza por tempo in mezzo si provvedesse e a disarmare e a vietare: se no, incombeva la minaccia d'espeller tutti i ticinesi che abitavan nel Lombardo-Veneto e d'interromper le relazioni commerciali: né s'escludeva un'azione diretta per le armi.
Il generale Josef Radetzky, comandante dell'esercito austriaco nel Lombardo-Veneto
Luvini risponde
Pensiamo che il Consiglio di Stato continuerà a mantenere in tutto il diritto d'asilo non solo, ma a rispondere con fermo e conveniente linguaggio alle note che giungessero, riassumendo, il rapporto, che portava per prima la firma del Luvini, proponeva di dichiarare: «1. È degno di lode il riscontro dato dal Consiglio di Stato al feldmaresciallo Radetzky; 2. Vien invitato il Governo a tener sempre un linguaggio fermo e dignitoso difendendo la nostra indipendente posizione, difendendo il diritto d'asilo; 3. Abbia a vegliare perché la neutralità della Svizzera non sia offesa e perché siano mantenuti i doveri internazionali»: e la triplice proposta era salutata da «prolungati applausi».
Ticinesi espulsi
Né in quel momento il Ticino poteva sentirsi solo, in quanto la Dieta era tuttavia del parere che all'arroganza del Radetzky convenisse la risposta del silenzio. E pure la situazione doveva proprio in quei momenti subir un radicale cambiamento, e andare, come si dice, precipitando.
Il Radetzky, il 15 settembre, tornava alla carica presso il Consiglio di Stato con l'annuncio di drastiche misure, da mandarsi a effetto tre giorni dipo: le quali si potevan riassumer così: che primamente tutti i ticinesi dimoranti nelle provincie lombardo-venete ricevevan l'ordine di rimpatriare; che immediatamente cessavano tutte le comunicazioni postali e commerciali tra Lombardia e Ticino; che nessun passaporto rilasciato dal governo ticinese sarebbe più stato valido per l'ingresso in Lombardia, se non munito del «visto» dell'imperial regio ministro presso la Dieta federale...
Non era passata grand'ora che duemila ticinesi già erano stati espulsi: e come s'era detto loro che il motivo non risiedeva nelle lor persone ma nella politica ostile dell'autorità cantonale, si poteva indurre che negli austriaci stesse anche la riposta speranza di scindere il popolo ticinese dal suo governo, e voltarglielo anzi contro. L'autorità cantonale s'appellava ancora alla Dieta, la quale invero faceva della questione ticinese una «questione federale»:
I Ticinesi sono stati espulsi a centinaia senza distinzione di età, di fortuna, di lunghezza di dimora ecc., essi hanno dovuto abbandonare colla moglie e coi figli il loro domicilio coi loro negozi ed affari entro 24 ore
Ben disse il signor Franscini: Il popolo soffre si, ma soffre in pace; ed in sostanza il paese è tranquillo, i danni non sono grandi come si temeva, come immaginava il feldmaresciallo.
nessun lamento, il popolo soffre e tace. Tace perché conosce il vero stato delle cose...»
Pure se altro scopo perseguiva il Radetzky, di suscitare a Berna una tal quale sfiducia verso l'irrequieto cantone meridionale, si deve ammetter che nel punto qualcosa coglieva; ché nella Dieta intanto gli umori stavano mutando.
Berna invia due commissari federali
L'atteggiamento federale non era voluto uscire da una generica prudenza, nel contempo veniva dalla Dieta deciso un altro provvedimento, che aveva rette intenzioni politiche, ma che forse poteva suonare per il Ticino gravissimo: di inviar in loco due commissari federali «per vigilar sugli interessi della Svizzera», col conforto, poi, di una brigata sotto comando federale. Né giovò che il deputato Luvini si facesse nell'occasione avvocato del Ticino con tutta la sua eloquenza e irruenza, pronunciando un discorso che al dir di Francesco Chiesa, storico documentato e appassionato di quel momento, fu «il suo più mirabile», davvero «tragico come il grido in cui la suprema passione di un popolo si raccoglie e si manifesta»
I due commissari federali, nominati dalla Dieta nella seduta del 27 settembre, col chiaro incarico di far osservare dal Ticino i1 principio della neutralità e imporre l'opinione della federale maggioranza, erano il landamano di Soletta Giuseppe Munzinger e il consigliere di stato di Zurigo Alfredo Escher;
Agli ordini del colonnello brigadiere Ritter, un consistente corpo di truppe, che si partivan in due battaglioni, uno zurighese, comandato dal tenente colonnello Benz, e uno sangallese, comandato dal tenente colonnello Fäh; un invio a dir poco umiliante, come apparve, se non proprio alla popolazione, agli uomini del governo. Gli ordini che venivan da Berna non lasciavan dubbi: di disarmar i rifuggiti italiani e di sequestrar ogni invio d'armi che entrasse nel cantone: e commissari e truppe s'ado-peraron a eseguirli con estrema energia e diuturno zelo, sì da suscitar irritazioni e peggio, e nei giornali una reazione vivacissima, che a tratti fatalmente sconfinava nell'ingiusto.
Mazziniani all'attacco
Così, il 26 ottobre si verificaron i moti della val d'Intelvi, dove il Mazzini inviò da Lugano quattrocento armati; moti ch'ebbero un inizio favorevole, ma poi volsero, com'era fatale, al peggio. E parimente si dié la rivolta mazziniana in Valtellina, che determinò due centurie di volontari, rifuggiti a Bellinzona, a varcar il confine pel passo di San Jorio; sennonché, avuta notizia del fallimento del conato in val d'Intelvi, non se ne fece in pratica nulla, e si tornò sui propri passi attraverso la val Colla. Sul lago Maggiore, infine, Il capitano Daverio, impadronitosi del porto di Luino. Gli episodi condotti con forze inadeguate, eran destinati a rimaner meri episodi,
Ben lo comprese tosto il Consiglio di Stato, che il I° di novembre decretava l'espulsione dei profughi che avevan avuto parte alle spedizioni in val d'Intelvi e sul lago Maggiore. Ma i commissari non vollero dirsi paghi, e pretesero l'espulsione di tutti i profughi italiani, come una distinzione tra gli attivi e i passivi, i turbolenti e i quieti, non poteva, al lor dire, farsi. Il governo ticinese pertanto non cedette sul punto, e tosto replicava che «inquietare una tal classe di persone nel pacifico asilo di cui godono in questa parte della libera Svizzera ospitale, massime nell'attuale stagione, sarebbe stato un urtare di fronte la pubblica opinione, che avrebbe stimato recarsi grave offesa all'onore e alla riputazione del nome svizzero»;
Proponevano i due commissari di allontanar dal Ticino tutti i profughi, da internarsi nel resto della Svizzera, solo accordando riguardi speciali ai vecchi, alle donne, ai fanciulli, e di negare al Ticino la facoltà di accoglierne altri;
Tracce di Röstigraben
Per usar le parole di Francesco Chiesa, «torbide e iraconde sedute», dove dieder di cozzo due diverse concezioni dell'elvetica neutralità: una aperta, poggiante sul concetto della libertà dei popoli e insomma, per dir tutto, rịsorgimentale, e l'altra più formale, rigorosa, fatta di realismo e insomma anche di «sacro egoismo»: professata la prima soprattutto dai cantoni latini, la seconda dai cantoni tedeschi.
Proponevano i due commissari di allontanar dal Ticino tutti i profughi, da internarsi nel resto della Svizzera, solo accordando riguardi speciali ai vecchi, alle donne, ai fanciulli, e di negare al Ticino la facoltà di accoglierne altri.
Gli italiani, ammoni il Battaglini, non eran nella maggioranza uomini pugnaci ma «misera gente..., intere famiglie spaventate, anelanti, incerte ancora di trovarsi in terra sicura», onde vederli era «spettacolo commovente, che faceva piangere e inorgoglire insieme di essere svizzeri». E ancora: «Sopra circa mille settecento individui che si trovano nel Ticino, vi hanno cinquecento donne e quattrocento fanciulli.
Molti si rifugiarono nel Ticino per solo orrore degli oppressori della loro patria, incapaci di armeggiare...»: sicché ricacciarli in gran numero, come si voleva, era ingiustizia palese.
S'alzò pure a parlare il generale Dufour, che dié a vedere d'intender bene le ragioni degli uni e degli altri, riconobbe la necessità d'allontanar l'emigrato «quando aguzza la penna o prende il fucile», ma non del «suo fratello innocente»,
Ed ecco giungere il duello
Né la rissa personale poté evitarsi, come quando, avendo il Luvini accusato d'indisciplina il battaglione del tenente colonnello Benz, questi, ch'era pur deputato, s'alzò a incontrollatamente replicare, con insinuazioni e strali all'indirizzo del Luvini stesso e della ritirata ticinese d'Airolo: donde poi venne una sfida sul terreno, che vide lo zurighese perdente.
Il Consiglio di Stato ticinese, su invito formale del Munzinger, decideva il 4 dicembre di espeller dal cantone tutti i profughi superiori ai diciott'anni, e d'intimar a ogni nuovo rifuggito di allontanarsi dal cantone dentro una settimana.
Il Munziger venne nominato membro del primo Consiglio federale, forse si provò qualche amarezza e stizza, che la gioia della contermporanea elezione di Stefano Franscini non valse a fugare in tutto.
Composizione del primo governo federale. Dietro da sinistra: Ulrich Ochsenbein – Dipartimento militare, Jonas Furrer – Dipartimento politico, Daniel-Henri Druey – Dipartimento di giustizia e polizia. Davanti da sinistra: Friedrich Frei-Herose – Dipartimento di dazi e commercio, Wilhelm Matthias Naeff – Dipartimento delle poste e pubbliche costruzioni, Stefano Franscini – Dipartimento degli interni e Martin J. Munzinger – Dipartimento delle finanze . (KEYSTONE/Photopress-Archiv/Str)
I duelli
Se il duello ebbe luogo, fu anche grazie alla polizia bernese. I duelli erano vietati dal 1651. Nonostante ciò, le autorità chiusero un occhio e osservarono la scena da lontano, come riporta l'Eidgenössische Zeitung: "Il capo della polizia avrebbe saputo dell'evento ma non avrebbe osato impedirlo, quindi si limitò a delimitare il luogo del duello da lontano e a osservare la scena con un binocolo".
I duelli erano molto comuni nel XIX secolo; erano - per dirla con una caricatura - un modo per gli uomini di recuperare l'onore ferito. Negli ambienti militari e nobiliari si ricorreva rapidamente alle armi per ottenere una "riparazione". Anche nelle università, pistole e sciabole erano di uso comune. Solo nel 1937 il primo codice penale svizzero vietò questo tipo di duello a livello nazionale.
Sebbene si fossero scontrati per anni in Consiglio nazionale, Giacomo Luvini e Rudolf Benz non erano più molto amici. Aneddoticamente, Rudolf Benz fu l'autore del codice penale del Cantone di Zurigo, pubblicato nel 1871. Nonostante avesse combattuto contro Giacomo Luvini nel 1848, rese il duello un reato penale: "Il duello è punito con una pena detentiva fino a due mesi e una multa, sia per l'iniziatore del duello che per il suo avversario, indipendentemente dalle lesioni fisiche che ne derivano".
Valigetta per pistola da duello "Devillers", 1900 ca.
Si sparava con palle di cera. Entrambi i tiratori erano protetti da un cappotto e da una maschera. La pistola aveva anche un guardamano.

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