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La falange svizzera

Una delle etichette con cui caratterizzo una determinata tipologia di post si chiama "l'era delle picche".

Essa si rifà al periodo in cui gli svizzeri salirono alla ribalta, quando inanellavano successo dopo successo e “non ce n’era più per nessuno”. Certo come la storia insegna si tratta solo di periodi, prima o poi come si arriva al potere poi inevitabilmente lo si perde, nulla é eterno.

Questo dominio non lo si deve tanto ad un abilità fisica particolare degli svizzeri, ma deriva semplicemente dal tempismo; gli svizzeri furono i primi ad introdurre una nuova tipologia per fare le battaglie. La nuova tattica di combattimento era efficace solo se alle nuove armi (molto semplici e "povere" in un certo senso) fosse applicata una ferrea disciplina. Ecco, la disciplina, quella che mancò da tutte le parti durante la Vecchia guerra di Zurigo qualche anno prima era ora il perno e chiave di successi del nuovo esercito svizzero

Soldati svizzeri e lanzichenecchi si cimentano in un combattimento corpo a corpo eccezionalmente feroce, noto come "guerra cattiva". Le lunghe aste delle lance sono le loro picche, che diventavano scomode da maneggiare se la spinta delle picche diventava troppo disorganizzata. In quel caso, alabarde e spade divennero le armi più letali. Incisione di Hans Holbein il Giovane. Albertina, Vienna.

I germi del cambiamento

I germi di un cambiamento, anzi di una vera rivoluzione militare, erano già presenti verso la fine del medioevo. Intorno alla metà del Quattrocento tutti sapevano che i montanari svizzeri avevano inventato un nuovo modo di combattere, di cui si dicevano meraviglie. Radunati in compagnie numerose e addestrati a combattere in gruppo, con un picchiere che teneva a bada la cavalleria nemica, un alabardiere per il combattimento ravvicinato e uno o due tiratori armati di balestra, o di quella primitiva arma da fuoco che era la colubrina, i fanti svizzeri non avevano paura di nessuno; e tutti quelli che li avevano visti combattere erano rimasti impressionati dalla loro efficienza. I governi erano già disposti a spendere grosse somme per assicurarsi i loro servigi come mercenari e cominciava a diffondersi l'idea che chi aveva dalla sua parte gli svizzeri godeva di un margine di vantaggio tecnico sull'avversario.

Stampa proveniente dalle cronache Svizzere di Johan Stumpf del 1586 -il costruttore di picche- fonte trovata da HROARR di R. Norling

E in verità, se tutti all'epoca sentivano che il segreto della vittoria stava nell'imparare a coordinare con efficienza diversi tipi di combattente, non c'è dubbio che l'integrazione di picca e armi da fuoco sperimentata dagli svizzeri aveva davanti a sé il futuro, molto più dell'integrazione fra uomo d'arme, cavalli leggeri e arcieri che costituiva il concetto di fondo della lancia. 
Ma fino alla seconda metà del Quattrocento gli svizzeri, benché famosi, erano ancora troppo poco presenti sui campi di battaglia, e i loro metodi erano ancora in una fase troppo sperimentale perché si possa attribuire loro grande importanza. La rivoluzione militare che trasformò il modo di combattere fra Quattro e Cinquecento si dovette senza dubbio innanzitutto agli svizzeri; ma prima di questa data la stragrande maggioranza delle guerre fu combattuta senza di loro e con metodi che non risentivano ancora della loro influenza.

L’era delle picche

La fanteria svizzera si era formata in un contesto tanto socioeconomico quanto geografico molto diverso da quello che aveva prodotto la cavalleria feudale. Si trattava di zone montane, molto popolose, abitate da contadini liberi. Questi avevano imparato a difendersi dalle aggressioni degli Asburgo e del duca di Borgogna utilizzando armi molto semplici che derivavano dagli strumenti del lavoro quotidiano: un lungo bastone su cui era legata un’ascia, ad esempio, da cui derivò l’alabarda (un’unica arma con una punta di lancia, una lama d’ascia e un uncino con cui si disarcionava il cavaliere). Poi venne la picca, ancora più lunga (arrivava a 5 o a 6 metri), con una punta di acciaio di oltre un metro per tenere lontana la cavalleria.

Picchieri di Berna, Soletta e Appenzello durante le guerre d'Italia

Gli svizzeri impararono, attraverso un costante addestramento, a manovrare gruppi di seimila uomini, ben serrati anche in marcia, in modo da non far passare incolume neanche un cavaliere.

Il maneggio della picca era difficile ed esigeva un lungo apprendistato e la marcia a passo cadenzato…Tra i 16 e i 18 anni si apprendeva il maneggio della picca e la disciplina della formazione: scuola rude dove i più deboli venivano eliminati. Veniva curato anche l’addestramento per resistere a lungo nella corsa e per agire nel corpo a corpo contro i cavalieri. In questo intervento gli addestrati scivolavano in mezzo ai cavalli galoppanti dei nemici, afferravano parando i colpi, le briglie dei cavalieri e li tiravano giù dalla sella.

 Questa macchina da guerra, assoldata da molti grandi sovrani, originariamente messa a punto per scopi puramente difensivi, divenne col tempo uno strumento efficace anche per l’attacco, dato che poteva caricare anche gli altri reparti di fanteria con una forza inarrestabile. Ciò che rendeva temibili gli svizzeri era il forte legame che li univa, quasi di natura democratica (arrivavano ad eleggere i propri ufficiali) e che faceva sì che essi combattessero compatti, con un ammirabile senso della disciplina e uno spirito di corpo sconosciuti agli eserciti feudali e ad altri mercenari. La loro attività era una vera e propria industria nazionale, tanto che le trattative per assoldarli andavano fatte direttamente con le autorità cantonali.

La regina delle battaglie

I germi di mutamento che il modo di combattere degli svizzeri aveva lasciato intravvedere fin dalla metà del Quattrocento giunsero a completa maturazione durante la lunga stagione delle guerre d'Italia, scandita da grandi battaglie come quelle di Fornovo (1495), Cerignola (1503), Agnadello (1509), Ravenna (1512), Marignano (1515) e Pavia (1525), e conclusasi con la pace di Cateau-Cambrésis del 1559, che sancì per tre secoli il predominio asburgico in Italia. 
Nel corso di queste guerre, combattute sul territorio della Penisola da eserciti in cui si affiancavano truppe francesi, tedesche, spagnole e italiane, si affermò un modo di combattere radicalmente diverso da quello che abbiamo descritto nel capitolo precedente. Sia pure con progressivi aggiustamenti, questo nuovo modo di combattere avrebbe continuato a caratterizzare le guerre del Cinquecento e del primo Seicento, come le guerre di religione in Germania e in Francia, le guerre della Spagna cattolica contro i protestanti dei Paesi Bassi e dell'Inghilterra, e in parte ancora la guerra dei Trent'anni (1618-48) e la guerra civile inglese (1642-46).

Anonimo tedesco, battaglia di Pavia 1525

La più importante innovazione promossa dagli svizzeri fu l'introduzione della picca come armamento principale del soldato di fanteria. Lunga diversi metri e dotata di una punta acuta di ferro, era pressoché inutilizzabile da un combattente isolato, ma diventava un'arma formidabile quando era maneggiata da una formazione di migliaia di uomini addestrati a manovrarla tutti insieme. 

Di fronte a una fanteria armata di picca, e schierata in un massiccio quadrato profondo anche settanta file, la cavalleria non aveva praticamente nessuna possibilità di successo; il che vuol dire che di colpo, dopo molti secoli, i fantaccini divennero i dominatori dei campi di battaglia. Le squadre di cavalieri in armatura, che in precedenza formavano il nerbo di qualsiasi esercito, dovettero fortemente ridimensionare il loro ruolo, e quegli eserciti che per tradizione cavalleresca e nobiliare continuavano a fare affidamento sulla forza d'urto degli uomini d'arme a cavallo andarono incontro a delusioni cocenti, come accadde ai francesi alla battaglia di Pavia.

"Bassi ufficiali"

La sua adozione produsse conseguenze durature non soltanto tecniche, ma in senso più ampio culturali. L'uso della picca non richiedeva un addestramento individuale, ma collettivo, giacché la sua efficacia dipendeva esclusivamente dal fatto che gli uomini accalcati spalla a spalla riuscissero a manovrare correttamente quest' arma ingombrante e pesantissi-ma, senza ostacolarsi a vicenda. Nacque perciò l'esigenza di adibire degli specialisti all'addestramento delle reclute e apparvero quei "bassi ufficiali", come si disse allora, sergenti e caporali, che hanno poi conservato fino a oggi questo ruolo cruciale

Nei quadrati dei picchieri il collettivo formato dai soldati contava più delle qualità individuali; l'ordine e la disciplina cominciarono a diventare requisiti necessari, e anche di questo vennero incaricati i sottufficiali. Si scoprì l'utilità di far marciare gli uomini tutti insieme a passo cadenzato, e a questo scopo si introdusse l'uso di pifferi e tamburi per scandire i movimenti

Picchieri appoggiati da moschetti respingono un attacco di cavalleria

Affascinati da quella che sembrava loro una rinascita della legione romana o della falange macedone, i teorici rinascimentali s'impegnarono nella costruzione di una nuova scienza militare che poneva al centro dell'interesse i problemi delle formazioni da adottare, della sincronia dei movimenti e dell'addestramento collettivo, tutti concetti che avranno amplissimo sviluppo nella teoria e nella prassi militare europea.

Maladetto, abominoso ordigno

Ma la picca da sola non era sufficiente. Perché i picchieri potessero manovrare in sicurezza le loro armi micidiali, era necessario che degli ausiliari li proteggessero da attacchi inaspettati dei nemici, che avrebbero potuto farsi sotto fino a rendere impossibile la manovra delle picche. Nella fanteria del primo Cinquecento, ai picchieri si affiancavano sempre squadre di fanti armati di spada e scudo oppure di alabarda, più adatti al combattimento corpo a corpo, e altri armati di archibugio, l'antenato dei nostri moderni fucili, che sostituì abbastanza rapidamente l'arco e la balestra come arma per il combattimento a distanza. Nonostante la sua primitività, l'archibugio venne subito riconosciuto come un'invenzione destinata a trasformare l'arte della guerra. Lo dimostra, fra l'altro, l'invettiva di Ariosto contro il «maladetto, abominoso ordigno» che aveva reso superfluo e inattuale il valore dei «cavallieri antiqui».

Combattute da eserciti in cui i fanti erano ormai di gran lunga più numerosi dei cavalieri, le battaglie divennero più lunghe e più statiche. Per sfruttare al meglio le qualità difensive della fanteria, e per ridurre la vulnerabilità derivante dall'estrema lentezza di tiro degli archibugi, divenne consueto allestire sul campo di battaglia fortificazioni improvvisate, parapetti e trinceramenti, da cui era difficile scacciare un difensore ben deciso a tener duro. Nei punti più importanti di questi trinceramenti si collocavano i cannoni, che ormai accompagnavano ogni esercito. Erano pochi, molto costosi, scarsamente standardizzati e in genere di calibro troppo grosso rispetto a quello adottato più tardi per l'artiglieria da campagna, con il risultato che erano poco o per nulla maneggevoli; ma il loro fuoco, da posizioni fisse e fortificate, divenne già in quest'epoca uno degli elementi centrali intorno a cui si organizzava il combattimento.

Salari alti e vestiario di lusso

La recente storiografia militare è d'accordo nel ritenere che la trasformazione delle tecniche belliche verificatasi con l'introduzione della picca e dell'archibugio debba essere considerata una vera e propria rivoluzione. Due distinte rivoluzioni: la prima delle quali sancì il declino definitivo della cavalleria in armatura, stabilendo una volta per tutte il predominio della fanteria sui campi di battaglia. La combinazione fra la forza d'urto della picca e il tiro d'interdizione degli archibugi e dei cannoni è la chiave per capire qualcosa dei combattimenti del tardo Rinascimento.

A metà del Quattrocento un uomo d'arme poteva contare su un salario pari a cinque volte quello d'un fante, e qualunque combattente a cavallo - anche i più modesti come gli arcieri - riceveva uno stipendio almeno doppio rispetto al meglio pagato dei fanti: ma al tempo delle guerre d'Italia i combattenti a cavallo, in maggioranza cavalli leggeri, avevano salari inferiori a quelli dei fanti svizzeri.

Se questi ultimi spuntavano salari così alti è ovviamente perché erano stati loro a inventare le nuove tecniche di combattimento, e dunque erano i fanti più addestrati e temuti, quelli che facevano davvero la differenza sui campi di battaglia. Tuttavia l'iniziale predominio degli svizzeri non durò a lungo: già nei primi decenni del Cinquecento la Germania meridionale era diventata il vivaio di una fanteria altrettanto competitiva sul mercato, i lanzichenecchi.

Ovunque, i soldati amavano considerarsi superiori ai contadini o agli artigiani e ostentare anche nel vestiario un lusso che li accomunava ai gentiluomini: come osservò un contemporaneo, «ogni minimo soldatuzzo di picca secca vuol concorrere d'arme e di vestiti non solo col suo capo di squadra, ma con l'istesso capitano». Nella realtà cinquecentesca il soldato può illudersi di occupare uno "stato" prestigioso: c'è in lui ancora molto del libero professionista, con pretese di nobiltà, che formava le compagnie mercenarie del tardo Medioevo, e c'è qualcosa del gentiluomo che trae il proprio onore dal fatto di rischiare la vita per il servizio del principe.

Mercenario svizzero del XVI secolo
Il costume storicizzante riflette l'amore per la vita e per la guerra.
Il codino risale al periodo intorno al 1460.
Attaccato ai calzoni, nel XVI secolo il baccalà assunse forme sempre più sfacciate.
Questo accessorio maschile non può essere servito da protezione, come spesso si presume. 
Scomparve dopo il 1600.
Museo storia Berna


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