Da alcuni mesi sto eseguendo una ricerca che mi porta a scartabellare tra alcuni archivi parrocchiali, comunali e cantonali. Districarsi tra le grandi famiglie per ricercare una determinata persona risulta in un primo sguardo assai arduo. Poi prestando più attenzione si scopre che buona parte dei nomi ha le date di nascita e decesso molto vicine. In maniera impressionante se comparata ai nostri giorni. La mortalità infantile era molto elevata ed inevitabilmente incideva molto sulla concezione della vita dei nostri avi. Abbastanza carne al fuoco per un ennesimo viaggio nel tempo...si parte!
Il parto nel Ticino del XIX secolo
Nei secoli passati il momento della nascita e la prima infanzia rappresentavano generalmente la fase più critica dell'intera esistenza e quella caratterizzata dai tassi di mortalità più elevati: a Vira Gambarogno e Magadino, ad esempio, nei primi decenni dell'Ottocento la metà dei decessi colpiva bambini di età inferiore ai 5 anni, mentre alla fine del secolo, a Lugano, questi erano circa un terzo del totale. Nel quinquennio 1881-1885, in Ticino il 19,1% dei bambini moriva prima di raggiungere l'anno, mentre a livello nazionale la percentuale era del 17,1%.
Levatrici altamente squalificate
Se per parti dal decorso normale erano generalmente sufficienti conoscenze acquisite attraverso l'esperienza, le comari si rivelavano spesso incapaci di fornire un aiuto concreto non appena intervenivano delle complicazioni: in Valle Morobbia, ad esempio, in caso di parto podalico si riteneva sufficiente applicare sul ventre della partoriente una pappa a base di semi di lino per fare in modo che il bambino si girasse.
Vi era inoltre un'inosservanza pressoché assoluta delle più elementari norme igieniche: si credeva infatti che una spósa la dovèe crompaa in d'üm lécc tott sa la vorèe vidèe sò criatüra a nii dré políd, una sposa doveva partorire in un letto sporco se voleva vedere il neonato crescere bene (Biasca).
In questo contesto trova una giustificazione il fatto che il compito di nominare le comari fosse normalmente di pertinenza del parroco: la scelta delle donne cui affidare questo incarico era governata principalmente da criteri di carattere morale, e
il loro compito non era tanto quello di fornire un aiuto decisivo in caso di parti difficili, quanto piuttosto di amministrare correttamente il battesimo d'emergenza nelle situazioni disperate, prestando quindi maggiore premura alla salvezza dell'anima del bambino che non alla vita sua e della madre.
Praticone vs diplomate
I primi tentativi di dotare il Ticino di un sistema sanitario efficiente, che riservasse la dovuta attenzione anche alle condizioni in cui avvenivano i parti, risalgono ai primi anni dell'Ottocento ma, a causa anche delle ristrettezze economiche in cui versava il Cantone, non ottennero risultati tangibili: «sulla professione di ostetriche già nel 1806 il Gran Consiglio chiese un progetto: fu spedito, ma senza risultati: lo chiese di nuovo nel 1815, ma accadde lo stesso. Fatto si è che la bisogna fu abbandonata al segno, che si contano in tutto il Cantone non più di dieci o dodici comari regolarmente patentate», scriveva StefanoFranscini nell'opera La Svizzera italiana (1837). In quello stesso anno vi fu però la creazione della Commissione cantonale di sanità che, fra le prime misure, adottò quella di subordinare l'esercizio delle professioni mediche al possesso di un certificato di capacità e quindi all'autorizzazione rilasciata dallo Stato; cercò quindi di incentivare la formazione di levatrici attraverso l'istituzione di un sussidio che permettesse loro di ottenere un'istruzione adeguata presso istituti dell'Italia settentrionale o di altri cantoni confederati.
Un'importante eccezione a questa realtà era rappresentata dagli ospedali S. Maria di Lugano e S. Giovanni di Bellinzona, che già a partire dagli anni Trenta avevano assunto alle loro dipendenze levatrici diplomate che avevano tra l'altro il dovere di assistere gratuitamente le partorienti povere.
Il numero di levatrici rimaneva però insufficiente e, soprattutto, la loro distribuzione sul territorio molto disomogenea, sfavorendo decisamente le zone rurali e più discoste: delle 42 donne abilitate alla professione tra il 1888 e il 1897, 22 esercitavano nel Sottoceneri, 4 nel Locarnese, 3 nel Bellinzonese, 5 tra Blenio e Leventina, nessuna in Vallemaggia e Verzasca (di altre 5 non si conosce la destinazione); ancora all'inizio del Novecento, il corrispondente di Leontica per il Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana lamentava che «ben di rado si fa ricorso ad una levatrice patentata, non essendovene in paese».
Nemmeno con la diffusione più generalizzata delle condotte, tuttavia, l'assistenza alle puerpere fu garantita; causa l'abitudine delle donne di lavorare fin nell'imminenza del parto, le difficoltà degli spostamenti e la vastità dei territori, poteva capitare che la gestante fosse colta dalle doglie lontano da casa e che si sgravasse da sola sui monti o nei campi, oppure che l'ostetrica non giungesse in tempo: quand gh'è rivòu la comár el fanc l'éra gè nassú, quando è arrivata la comare il bambino era già nato (Mesocco);
Cambio di rotta
Sulla base dell'istruzione ricevuta, le levatrici diplomate introdussero importanti cambiamenti nel modo di affrontare il parto, primo fra tutti una maggiore attenzione alle norme igieniche.L'operato delle levatrici contribuì al superamento di ataviche credenze riguardo al modo di accudire i neonati, portando, poco alla volta, all'abbandono di abitudini quali quella di fasciarli nei primi mesi di vita nella convinzione di favorirne la crescita corretta, o di non tagliare loro i capelli al fine di preservarli dalla balbuzie. Dal canto loro, le puerpere beneficiarono finalmente di un regime alimentare più consono alla loro condizione.
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