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Pute e fili delle pute

Cosa non si fa pur di attirare l’attenzione vero?

E rincaro ulteriormente con:
«Duritiam cordis v[est]ris saxa traere meruistis»
Che traduco immediatamente: 
per la durezza del vostro cuore meritaste di trascinare sassi.

Gettando il lettore nel caos introduco così la storia alle parolacce partendo dalla basi, l'ABC indispensabile per ogni abile fruitore dei succosi vocaboli.

La prima parolaccia dell'italiano: puttana o putta?

Dalla data della prima attestazione dei vocaboli a cui il GRADIT (Grande dizionario italiano dell'uso) attribuisce la qualifica di volgari risulta che la più antica parolaccia dell'italiano sia puttana, l'unica che viene fatta risalire al secolo XII.

Joachim Beuckelaer, Bordello, 1562
Le scene animate di baldoria nelle locande e nei bordelli dei villaggi venivano apprezzate come una divertente prova degli istinti dei contadini. I motivi, tra cui un ubriaco che sta in equilibrio instabile sulla testa, suggeriscono che la scena deve essere letta in chiave moraleggiante: l'eccesso porta alla follia. È curioso quindi che Joachim Beukelaer abbia inserito la sua firma e la data del 26 ottobre 1562 tra i segni di gesso sulla mensola del caminetto, che rappresentano il conto delle bevande consumate. Beuckelaer fu uno dei grandi artefici di questo nuovo interesse per la vita rurale.

La donna impudica

In tal proposito ho finalmente l'occasione di svelare il mistero attorno alla donna impudica incrociata nel castello sforzesco tempo addietro

A Milano la prima “passeggiatrice” di cui si ha notizia risale al 1176, quando la città era assediata da Federico Barbarossa. Ella poteva passeggiare liberamente dall’interno delle mura all’accampamento tedesco. In una di queste passeggiate, sollevando la veste e mostrando le sue nudità, creò un diversivo, distraendo i nemici, e permise ai cavalieri milanesi di uscire, sconfiggere il nemico e procurarsi le vettovaglie con cui rifornire gli assediati.

Figura femminile impudica
Fino al 1865 nella collezione Archinto
Dalla demolita Porta Tosa in Milano - Fine XII secolo

 A ricordo dell’evento fu posto un bassorilievo a Porta Tosa, poi Porta Castello, che nel 1570 fu fatto rimuovere dall’Arcivescovo Carlo Borromeo ritenendolo osceno. Infatti la donna ritratta mostra il pube depilato.

Putta

In realtà nello stesso dizionario vi è un altro termine, per la precisione putta, che ha l'identico significato di 'prostituta' ma stranamente, forse per una banale svista, non è soggetto alla medesima imputazione di villania:

putta: [fine XI-inizio XII sec.; dal fr. ant. pute] 'prostituta.

Si tratta del termine che compare in una battuta insolente passata alla storia: Fili dele pute, traite, vale a dire 'Figli di puttana, tirate'.

Fili dele pute, traite

Va precisato, a questo riguardo, che nel GRADIT l'espressione offensiva figlio di puttana è marcata «volgare», in coerenza con il trattamento riservato alla stessa parola puttana. La variante fili dele pute è presente nell'antichissima iscrizione inserita all'interno di un affresco della basilica sotterranea di San Clemente a Roma, non lontano dal Colosseo

Il magnifico dipinto è databile alla fine del secolo XI o al più tardi ai primi anni del secolo seguente: infatti solo dopo il 1084, anno in cui le truppe di Roberto il Guiscardo devastarono tutta l'area del Celio e la stessa basilica, fu necessario edificare nuovi muri di sostegno, compreso quello destinato ad accogliere la grande opera pittorica contenente l'iscrizione.


La battuta che si legge a sinistra «Falite dereto colo palo, Carvoncelle» - cioè spingilo dietro (fatti dietro a lui) con il palo, Carboncello' - si spiega in rapporto alla vicina immagine di un servo, appunto Carboncello, che solleva e spinge con un palo la colonna scambiata per il santo. La frase si trova infatti alle sue spalle, e tutto fa pensare che gli venga indirizzata dagli altri servi, probabilmente da Albertello, che si trova al lato opposto dell'apparente colonna.

Più al centro, c'è appunto la colonna sormontata dalle parole in latino di san Clemente, parole che l'artista incornicia entro due solenni archi: «Duritiam cordis vest ris saxa traere meruistis» 'per la durezza del vostro cuore meritaste di trascinare sassi'.

Procedendo verso destra, un secondo servo regge la colonna per mezzo di una fune; vicino a lui compare la scritta: «Albertel, trai» 'Albertello, tira.

Un terzo servo traina la colonna mediante la stessa fune; accanto a lui si legge: «Cosmari».
La scritta Cosmari è molto prossima a questa figura e inoltre appare isolata rispetto alle varie battute dialogiche, tanto da far supporre che possa trattarsi di un semplice "cartellino", una didascalia onomastica destinata a identificare il personaggio che incita il vicino Albertello a tirare.

L'affresco mostra infine Sisinnio, in attitudine imperiosa, munito di toga e con il braccio levato. La didascalia «Sisinium» chiarisce l'identità del personaggio, sotto il cui braccio è posta la cruda frase rivolta ai servi: «Fili dele pute, traite» figli di puttana, tirate.


Complimento quasi onorifico

Va detto che oggi figlio di puttana può essere anche una specie di complimento, se non proprio un titolo onorifico come nella nota macchietta di Paolo Villaggio, con Fantozzi che striscia davanti al megadirettore da lui qualificato come «gran figi.di putt.».


Di notevole fattura anche un “androcchia” con relativo “figlio di androcchia” che ritrovo con piacere a decenni di distanza e scopro essere di origine napoletana

Nella lingua napoletana si è soliti definire qualcuno particolarmente sveglio, soprattutto un bambino, come “figlio di ‘buona donna’”, per non essere volgari, o anche “figlio ‘e ‘ntrocchia”. 

Quella che in tutto il mondo è un’offesa gravissima, apostrofare in simili modi la madre di qualcuno non è mai bello, a Napoli è molto più attenuata, assumendo quasi i connotati di un complimento. Si parte dal presupposto, infatti, che un bambino figlio di una prostituta cresca per strada e che sia abituato alla vita più spicciola sin dalla tenera età: uno scugnizzo ancor più autonomo.

Un bambino con una parlantina particolarmente sviluppata o molto sveglio per la sua età è ancora oggi definito “figlio ‘e zoccola, così come un professionista incredibilmente bravo nel suo lavoro o una persona molto furba e dal comportamento affabile. 
La variante di “figlio ‘e ‘ntrocchia” è solo un modo meno volgare di intendere la stessa cosa. Per questo motivo viene usato quasi esclusivamente per i bambini che non dovrebbero ascoltare parolacce.

Cocotte di alto e basso bordo

Preziosi ricordi di un grande storico della lingua italiana, Giovanni Nencioni, ci informano sugli usi comunicativi di un ragazzo nato a Firenze nel 1911 e cresciuto in una tipica famiglia borghese:

Il termine prostituta, e quel puttana che oggi soddisfa le bocche di uomini e di donne, io non li ho mai uditi in casa mia, né in case affini alla mia, e neppure, a maggior ragione, parole più triviali. 
Udivo di tanto in tanto [...] il modo allusivo una di quelle o il termine mondana o il francesismo cocotte, con le gradazioni ' cocotte di alto, cocotte di basso bordo'; e sciantosa, divetta, ballerina erano spesso i suoi impropri sostituti eufemistici. [...] 

Cocotte palesemente d'alto bordo
Il fenomeno “cocotte” si diffuse in Francia durante il Secondo Impero e fino alla Belle Époque.
 Era la prostituta di lusso, ma la sua particolarità era quella di mandare in rovina i propri facoltosi amanti...insomma, uomini merluzzi ieri come oggi

Fare all'amore

Piccolo bonus extra di questa prima parte dedicata alle parolacce é la spiegazione dell'espressione "fare all'amore" su cui spesso abbiamo dibattuto in gioventù; intuivamo che era qualcosa di più, apparentemente, nobile e delicato che il mero atto fisico. Anche in questo caso ad anni di distanza la soluzione del caso. Sempre dai ricordi di Giovanni Nencioni del 1911:

Ricorreva invece, a casa mia, l'espressione fare all'amore nel senso di conversare in famiglia tra fidanzati, che allora aveva; espressione che oggi si ritira anche dagli ambienti provinciali e paesani per la concorrenza nazionale di fare l'amore con senso sanamente fisiologico.

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