Tra le pagine di storia che più mi hanno lasciato esterrefatto rientrano di diritto quelle inerenti la conquista del nuovo mondo. In particolare l'impresa di Hernan Cortes che con un manipolo di uomini.
I conquistadores spagnoli erano sbarcati sulla costa messicana nel 1519 con 550 uomini e 16 cavalli, riuscirono in breve tempo a sottomettere e governare la popolazione di Tenochtitlán che si aggirava tra i 200.000 e i 250.000 abitanti.
"..tuttavia, quando li trovammo (gli indigeni), benché fosse mezzanotte, vedemmo che stavano ancora montando la guardia. Nondimeno decidemmo di attaccarli, assaltandoli con grida altissime, in modo da far credere di essere ben più numerosi.
Gli indios però stettero ai loro posti, ferirono sette cristiani e ne uccisero uno, che fu seppellito nel terreno circostante segretamente, in modo che gli indios non capissero che eravamo semplici mortali, ma ci credessero invulnerabili"
La differenza tecnologica, l'alleanza con tribù nemiche agli aztechi e le epidemie portate dal vecchio continente giustificano solo in parte questo apparente incredibile exploit. Ma che altro ci sta dietro?
Due possibili risposte le ho sfogliando il diario di Nikolaus Federmann, un avventuriero e conquistatore tedesco che per conto dei banchieri Welser, anch'essi tedeschi, esplora parte dell'attuale Venezuela.
Un tedesco tra i spagnoli?
Bartholomeus V. Welser prestò all'imperatore Carlo V una grande somma di denaro per la quale, nel 1528, ricevette in garanzia la provincia del Venezuela, sviluppandola come Klein-Venedig (piccola Venezia, in seguito Venezuela)
Dal 1528 al 1556, sette entradas (spedizioni) portarono al saccheggio e allo sfruttamento delle civiltà locali
I primi governatori del Venezuela, Ambrosius Alfinger (1529-1533), Nicolas Federmann e Georg von Speyer, catturarono e ridussero in schiavitù gli amerindi locali dopo i loro tentativi falliti di trovare l'oro sulla costa venezuelana.
I Welser contribuirono alla fondazione di città come Coro, Maracaibo e Bogotà.
L'Armata Welser che esplora la colonia Welser del Venezuela
Immortali!
Entrambi i due punti in oggetto che "facilitarono" il compito di Federmann e di altri conquistatori fu sfruttare le credenze e l'ignoranza dei popoli indigeni. Il primo di questi punti é far credere loro di essere immortali. Dal diario di Federmann viene riportato chiaramente:"..tuttavia, quando li trovammo (gli indigeni), benché fosse mezzanotte, vedemmo che stavano ancora montando la guardia. Nondimeno decidemmo di attaccarli, assaltandoli con grida altissime, in modo da far credere di essere ben più numerosi.
Gli indios però stettero ai loro posti, ferirono sette cristiani e ne uccisero uno, che fu seppellito nel terreno circostante segretamente, in modo che gli indios non capissero che eravamo semplici mortali, ma ci credessero invulnerabili"
Artificio ormai diventato canonico per noi contemporanei di nascondere i corpi in modo da alimentare la credenza di essere invincibili, così come le leggende sui pigmei o nani venezuelani è da ricercarsi nell'universo mentale dei conquistadores del tempo che, intrisi delle letture cavalleresche del XV-XVI sec. avevano difficoltà a scindere i racconti "verdaderos" da quelli "mentirosos".
Nikolaus Federmann
Ancora dal diario di Federmann:
"..Durante i 15 giorni in cui rimasi, come ho detto, per visitare i diversi villaggi di questa provincia, si ammalarono circa 60 cristiani, e alcuni tanto gravemente che non potevano marciare né a piedi né a cavallo. Ma, anche se sarebbe stato necessario rimanere più tempo affinché loro si ristabilissero, preferirono continuare il viaggio, attribuendo la loro malattia al clima umido e malsano di questa regione, e sperando di guarire con il cambio di aria.
Mi misi dunque in cammino verso il Mare del Sud, facendo trasportare dagli indios i malati che più soffrivano su amache o su particolari letti. Dissi inoltre agli abitanti che quelli volevano viaggiare così perché erano dei gran signori. Feci marciare a piedi gli uomini che erano rimasti sani, anche se erano i proprietari delle cavalcature, e feci montare invece i malati su queste, due su ciascuna bestia, nascondendo in tutti i modi il loro stato agli indios. Essi infatti credevano che noi non fossimo soggetti alla malattia o alla morte, e se avessero scoperto il contrario, sarebbe stato un vero problema, perché avrebbero potuto decidere di attaccarci. Si deve immaginare quale preoccupazione incombesse su tutti noi, trovandomi in un paese lontano, sconosciuto e con i miei soldati malati e incapaci di difendersi.
Mi misi dunque in cammino verso il Mare del Sud, facendo trasportare dagli indios i malati che più soffrivano su amache o su particolari letti. Dissi inoltre agli abitanti che quelli volevano viaggiare così perché erano dei gran signori. Feci marciare a piedi gli uomini che erano rimasti sani, anche se erano i proprietari delle cavalcature, e feci montare invece i malati su queste, due su ciascuna bestia, nascondendo in tutti i modi il loro stato agli indios. Essi infatti credevano che noi non fossimo soggetti alla malattia o alla morte, e se avessero scoperto il contrario, sarebbe stato un vero problema, perché avrebbero potuto decidere di attaccarci. Si deve immaginare quale preoccupazione incombesse su tutti noi, trovandomi in un paese lontano, sconosciuto e con i miei soldati malati e incapaci di difendersi.
La tavola "Terra Brasilis" contenuta nell'Atlante Miller (1519).
I cavalli
Altro punto collegato sempre ad antiche credenze il cavallo che terrorizzava letteralmente gli indigeni. Sempre dal diario di Federmann se ne legge chiarmamnete:"... Mi criticheranno coloro che non conoscono gli indios, per aver diviso così le mie truppe, visto che avrebbe potuto essere uno stratagemma per separarci e, successivamente, distruggerci, cosa che sarebbe stata molto facile visto che avevo con me molti malati; tuttavia la mia condotta era stata ben meditata. In primo luogo, c'è da dire che gli indios hanno davvero molta paura dei cavalli, al punto che alcuni cavalieri e una piccola truppa di fanteria possono metterne in fuga un numero tale che nemmeno mi azzardo a dire, sempre che il terreno permetta di manovrare con la cavalleria."
Nelle "Storie del Nuovo Mondo" di Fernando Colombo i cavalli vengono citati diverse volte in occasione di scontri con i nativi, "specialmente confidandosi nei cavalli, dai quali gli indios temevano d'essere divorati, e per ciò tanto era il loro spavento che non ardivano entrare in alcuna casa ove vi fosse stato un cavallo".
Una tavola di Milo Manara per il libro "Cristoforo Colombo" di Enzo
Biagi dà l'idea del terrore che incutevano i cavalli agli indios che non li avevano mai visti.
Il primo a sbarcare cavalli sul continente americano fu Hernán Cortés che il 7 luglio 1521 presso Otumba ebbero la meglio sull'eserciyo azteco grazie a 22 cavalli e relativi cavalieri pesantemente corazzati e armati di lancia che si scagliarono contro i capi dell'esercito azteco, avendone la meglio, sconfisse anche il resto dell'esercito, rimasto privo di comandanti.
Fu il vero giro di boa nella Conquista del Messico.
Nonostante l'inferiorità numerica, gli spagnoli riuscirono a ribaltare la situazione, grazie anche al supporto di mercenari di Tlaxcala ostili agli aztechi.
Incisione su acciaio del 1870 che evidenzia la battaglia di Tenochtitlan avvenuta il 13 agosto del 1521 e vinta grazie ai cavalli. Sulle ceneri di Tenochtitlán fu costruita Città del Messico.
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