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Sonderbund in Ticino - Capitolo II - Un colpo di testa

Improvvisarsi eroi. Chi non ha mai fantasticato di risolvere una situazione intricata di propria iniziativa? Agire di sorpresa senza avvisare nessuno e risolvere il tutto con un abile colpo di coda. Bisogna però tenere presente che in caso di fallimento le critiche saranno feroci, proprio perché si é agito senza alcun consenso dei superiori.

L'episodio viene descritto nella prima parte con succulenti aneddoti che rasentano l'ilarità, probabilmente alimentati dalla frustrazione e dalla voglia di infangare tipicamente ticinese.

Nella seconda parte invece si tratta di rapporti militari, decisamente più piatti e tecnici che riportano i fatti descrivendo l'azione del folle attacco in maniera decisamente più dignitosa ma maledettamente più noiosa per il lettore

UN COLPO DI TESTA DEL COL. BRIG. PIODA: TENTATIVO DI RIPRESA DEL SAN GOTTARDO


Nel suo Rapporto generale sulle operazioni della VI. Div. il col. Luvini così racconta questo infruttuoso ed inutile tentativo:
Il comandante della prima brigata col. Pioda si era portato da Bellinzona a Faido subito dopo la scaramuccia di Val Tremola (4 nov.) e vi aveva fissato il quartier generale, sempre restando a Bellinzona il quartier generale. della VI divisione.

Il col. Luvini stava nel frattempo studiando il suo piano, pur dando ordine di non azzardarsi ad un'azione qualsiasi, a meno di essere attaccato dal nemico. Ma sia a motivo dell'impazienza degli abitanti di Airolo o delle incitazioni di qualche membro del Consiglio di Stato ticinese, oppure anche dal desiderio di cingersi dell'alloro, il col. Pioda volle, di sua iniziativa, fare il tentativo di riconquista del S. Gottardo.
Il giornale satirico ritiene che la Svizzera debba essere ripulita. I ragni rappresentano i cantoni conservatori i cui fili vengono tirati da potenze straniere. La figura leggendaria di Guglielmo Tell, che assomiglia anche a un lanzichenecco, rimane la figura invocata per difendere l'indipendenza della Svizzera.

L'8 novembre, alla una del mattino, si fecero partire da Airolo i carabinieri per occupare le alture del Sella, montagna a destra della strada di Val Tremola montando verso il Gottardo. Le truppe, stando al rapporto del comandante di brigata, non avevano ricevuto ordine di attaccare, ma il movimento che si faceva far loro indicava da sè che un attacco avrebbe potuto aver luogo.

Ora, sembra che tal movimento non sia stato sufficientemente studiato e calcolato colla conoscenza del terreno e secondo un piano prestabilito. Se si pensava unicamente di riconoscere le posizioni, non si avrebbe dovuto far avanzare le truppe così vicino al nemico,
Tendendo il combattimento inevitabile, o, se si voleva attaccarlo, si avrebbe dovuto darne l'ordine preciso prendendo le disposizioni necessarie ad una buona riuscita.

Invece i carabinieri partirono per avvicinarsi all'avversario senza portar seco sufficiente munizione e senza aver preso viveri nel sacco, tanto più necessari se si volevan trovar forze per marciare in montagna ed in ripidi sentieri.
I carabinieri, salendo da Val Canaria ad occupar la cresta del Sella a destra dello stradone del Gottardo, preceduti da guide, si disposero a catena dal basso della montagna fin oltre la seconda casa di rifugio detta di S. Giuseppe. Si avrebbe qui dovuto occupare anche la montagna a sinistra dello stradone, al di sopra della Tremola e fino alla Fibbia, per prendere cosi tra due fuochi il nemico mentre discendeva dal Gottardo.

I carabinieri si avanzarono fino a scorgere l'Ospizio mentre il nemico stava appostando le sue sentinelle sul Sella, che credeva libero, e sullo stradone, al basso.
Si faceva appena giorno quando gli Urani avanzavano in due colonne, l'una in direzione del Sella e l'altra verso la strada bassa. Il capitano dei carabinieri Ramelli, il più avanzato di tutti, raccomando ai suoi uomini di starsene nascosti e lasciarsi avvicinare dal nemico a breve distanza prima di far fuoco.

Ordine che fu osservato sul principio; ma sia poi per impazienza o per emozione quando essi videro che gli Urani venivano dritti a loro, alcuni carabinieri cominciarono a sparare! Il nemico, sorpreso, fece dietrofronte ma l'allarme era ormai dato e tutto il corpo stazionante al Gottardo, imbraccate le armi, si mise in moto piazzandosi in catena sulle creste al disopra della Tremola, che i Ticinesi non avevano pensato d'occupare.

Qui cominciò una vivissima sparatoria dalle due parti, ma, causa la scarsità di munizione, parte dei carabinieri ticinesi dovette rallentare il fuoco e fu anzi costretta ad abbandonare qualche posizione vantaggiosa. Un po più tardi essendo giunta la munizione da Airolo, il combattimento riprendeva, ma il nemico avendo ricevuto dei rinforzi urani vi si sosteneva energicamente, discendendo coi cannoni fino alla Tremola.

Le truppe ticinesi, affamate ed esauste dalla fatica, si gettarono in disordine sui viveri che arrivavano in quel momento da Airolo, il che non mancò di provocare confusione. Accortosene, il nemico pensò di approfittarne, lanciando obici e palle di cannone sui fantaccini assembrati attorno ai carri-viveri, per cui i soldati cominciarono a retrocedere.

Papabile e comprensibile illustrazione che corre
 nell'immaginario umano dopo aver letto le righe precedenti

Questo movimento non sfuggi agli Urani che si diedero a gridar «vittoria», a cui i carabinieri ticinesi risposero con un più vigoroso attacco, costringendo gli Urani a ripiegare coi loro cannoni ed a risalire la montagna precipitosamente.

Si avrebbe dovuto approfittare di questo momento per far avanzare le colonne e gettarle contro il nemico in fuga, ma disgraziatamente non soltanto si lasciò sfuggire questa bella occasione, ma si fece suonare il cornetto della ritirata!
Il combattimento dovette quindi cessare; il nemico potè raggiungere senza ostacoli il Gottardo e i Ticinesi ritornarono ad Airolo.

I carabinieri ben comandati dal maggiore Demarchi, si condussero coraggiosamente. Il nemico ebbe parecchi uomini morti e feriti; da parte nostra soltanto tre feriti, tra i quali il tenente dei carabinieri
Francesco Carloni che diede prova di raro coraggio.
Questo combattimento ebbe per risultato di far conoscere alle truppe del Sonderbund che i nostri carabinieri non erano abbastanza numerosi e che la nostra fanteria non era solida.

La notizia del combattimento dell'8 nov. giunse lo stesso di, a mezzogiorno, a Bellinzona e indusse il Cate, di Div. a partire senz'ulteriore ritardo per raggiungere Faido e fissare, in seguito, il suo Quartiere generale ad Airolo. 

Giulio Rossi a pag 55 del suo opuscoletto: «II S.B. nel Ticino» racconta che il cap. Ant. Demarchi (vedi ritratto in altro capitolo) nella mischia susseguitasi colla sua compagnia fucilieri aveva afferrato una carabina e faceva fuoco nella linea dei tiratori per animare i giovani militi, ebbe la sciabola rotta da una palla avversaria che per paco lo avrebbe tolto ai vivi. I rapporti da noi qui pubblicati, del Luvini e del Pedrazzi, non ne fanno cenno. 

Versione capitano Pedrazzi

Un assai più precisa e particolareggiata esposizione dell'accaduto è raccontata dal capitano Pedrazzi nel suo rapporto al maggiore Agostino Demarchi. Merita la pena di farne la riproduzione.

Airolo, 14 novembre 1847.
Signor Maggiore.
Giusta l'ordine che mi avete dato, la mattina dell'8 mi sono portato colla mia compagnia sulla montagna del S. Gottardo per servire di rinforzo e di difesa, in conseguenza dell'attacco avvenuto dalla compagnia Ramelli col nemico.

Giunto alla prima casa di ricovero alla bocca della valle Tremola, trovai il sig. maggiore Pioda che colà stazionava con alcune compagnie di fucilieri e nei dintorni  verano pure alcuni carabinieri dispersi della compagnia Ramelli ed il capitano Fogliardi calla sua compagnia.

....In allora feci osservare che mi sembrava assai importante di occupare il dosso al disopra della casa sud di ricovero, ed egli mi soggiunse che vi aveva già messo delle sentinelle.

Vari ufficiali e soldati intanto ascendevano e discendevano quel dosso, dal quale si scoprivano gli avamposti del nemico, ed io, dato l'ordine ai miei uomini di mettere il cappotto e di starsene fermi in quel luogo fino a nuovo ordine, dissi che volevo andare anch'io di dietro della casa di ricovero, per vedere gli avamposti del nemico e la posizione....

Si fu in quel momento che mi accorsi che la nostra truppa discendeva per lo stradale e già toccava il Motto Bartola e che anche la mia compagnia discendeva con essa. Il capitano Rusca avendomi riferito che ciò avveniva dietro ordine del signor maggiore Pioda e che la sola sua compagnia doveva rimanere al ricovero, mi disponeva anch'io a discendere quando vi fui trattenuto dalla comparsa del nemico, che accortosi di questa mossa di tutta la nostra truppa discendeva (un ufficiale alla testa con molti carabinieri) dietro gli scogli della montagna e poteva sorprendere ed uccidere le nostre sentinelle....

Essendomi avanzato al di dentro e sopra la casa di ricovero, per vedere meglio i movimenti del nemico, essendosene esso accorto, scaricò sopra di me molti colpi di carabina; già le palle giungevano sullo stradale dinnanzi alla casa di ricovero ove trovavasi la compagnia Rusca, che si mise subito a fuggire; procurai di trattenerla ma mi si rispondeva che non potevano coi fucili difendersi contro i carabinieri. Allora mandai un soldato per staffetta a renderne avvertito il maggiore Pioda, domandando che mi si facesse venire subito la mia compagnia.

...hanno ben difesa la posizione e ritardata da quel lato la calata del nemico, che però aveva già occupata la posizione sopra la casa di ricovero....

La mia compagnia del ten. Maggetti e Rusca e coll'istruttore bernese sig. Jaegi (?) era giunta ed era avanzata in faccia alla casa di ricovero prendendo posizione dietro le stalle e sugli scogli superiori; sostenne lungamente l'attacco e la difesa e con assai buon successo poichè il nemico cominciava già a ritirarsi quando si udi sopra il Motto Bartola a suonare, non so da chi, la ritirata col cornetto, e tutte le nostre truppe discesero al Motto Bartola. Il nemico ne approfittò di questa ritirata per viemmeglio rafforzare la sua posizione alla prima casa di ricovero ed anzi ne prese possesso.

Non posso chiudere questo rapporto senza dichiarare che in generale, tranne alcuni pochi, la mia compagnia si è condotta assai bene».

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