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Voglia dei cazzi

 Il titolo del post si rifà ad una raccolta di fabliaux pubblicate sotto la supervisione di Barbero. E che il titolo non deve fare scandolo siamo tutti concordi: di cazzi esibiti sfrontatamente ce ne sono stati fin dall'antichità

Scena di un fabliau tratta da un ciclo di amor cortese (?), Parigi o Borgogna, 1430 circa - vetro dipinto.
I fabliaux, in italiano favolelli, sono racconti erotici del XIII e del XIV secolo recitati da menestrelli. L'uomo che sta urinando e le due donne potrebbero rappresentare un triangolo amoroso, tema spesso ripreso nei fabliaux.

I cazzi antichi

 Tintinnabulum raffigurante un Mercurio polifallico. La scultura, in bronzo, proviene da Pompei, risale al I secolo d.C., ed è custodita presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli (inventario n. 27854)

Il Tintinnabulum era un sonaglio, azionato dal vento, e composto da più campanelle legate a un'unica struttura portante. Spesso il Tintinnabulum era raffigurato come un Fascinus: una figura magico-religiosa che aveva il compito di allontanare il malocchio e portare fortuna e prosperità. Spesso il Fascinus era dotato di un fallo gigantesco che ne aumentava l'efficacia

Nel caso specifico il padrone di casa doveva essere decisamente sfigato perché il personaggio rappresentato è, non solo polifallico, ma i falli gli si dipartono dalla testa a sfidare la sfiga potenzialmente proveniente da tutte le direzioni. Le campanelle, allo stato mancanti, erano attaccate alla punta dei peni laterali

Fabliaux

I Fabliaux sono dei poemetti in rima baciata tipici del medioevo francese lunghi poche centinaia di versi, e di contenuto prevalentemente erotico, se non apertamente osceno.

Si tratta di un materiale che nelle mani del Magister Alessandro Barbero, con la sua proverbiale ironia, è divenuto un libro unico, ricco di anedotti, racconti scanzonati e con un titolo dirompente!

Una scoperta per tutti coloro che non conoscono questo lato giocoso e godereccio del Medioevo, solitamente dipinto come epoca oscura e lontana da ogni idea di piacere e voluttà.

Qualche stralcio succoso e disastroso

La riflessione di Jean de Meung sul rapporto fra le parole e le cose è qui condotta alla logica conseguenza: se quel che ripugna sono le parole, basterà cambiare la nomenclatura per far cadere ogni diffidenza. La ragazza, che si dimostra così difficile, è immediatamente sedotta da un giovanotto scaltro che accetta di condividere la stessa ripugnanza per le parole sporche, e che sa approfittare della sua infantile predilezione per le metafore.

Dividendo lo stesso letto, come non era infrequente nelle stanze affollate e poco ammobiliate delle case medievali, i due ragazzi cominciano ben presto ad accarezzarsi; apprendendo che lei chiama il suo pube mes prez, "il mio prato", la sua vagina ma fontaine "la mia fontana", e il suo ano li cornerres "il trombettiere", il giovanotto entra prontamente nella stessa modalità linguistica, descrivendo il pene come un puledro affamato e assetato e i testicoli come i suoi due stallieri. La storia precipita così verso l'ovvia conclusione, col cavallo che si disseta e gli stallieri che battono il trombettiere per farlo star zitto'.

L'immagine dei testicoli che battono l'ano per farlo star zitto è assai popolare, con i due fedeli servitori rappresentati ora come poliziotti ora come gemelli

Vale la pena di notare che non si tratta di un'invenzione gratuita, ma di un dettaglio necessario, ricco di risonanze letterarie, giacché gli scrittori medievali, sempre disposti ad affiancare il triviale al sublime, sono quanto mai espliciti circa i rumori che provengono dall'ano di una donna durante il suo piacere: "n'i a putain, se il la fout, / que ne li face dire 'tprot' / d'el que de boche" ("non c'è puttana, se la fotte, che non le faccia dire "prrr", e non dalla bocca").

***

Sono quello che ha mangiato con voi, e vi porto un anello d'oro. Un tesoro così non l'avete mai avuto. Ed è un anello magico; se una donna lo porta al dito, può anche divertirsi e fare la puttana quanto vuole, al mattino si ritrova casta e vergine. Tenete! ve lo regalo. E lei subito gli tende la chiave, e lui apre la cassa ed entra dentro, e lei gli fa posto.
Ora possono godersela, senza nessuno che gli dia fastidio.

***

Non passa però molto tempo dalle nozze, e già il contadino si rende conto di aver fatto uno sbaglio, a sposare la figlia di un cavaliere. Mentre io sarò nei campi, pensava, il cappellano se ne andrà a spasso, tanto per lui è vacanza tutti i giorni; e quando sarò lontano da casa, verrà magari il sagrestano, e insisti oggi, insisti domani me la fregherà, mia moglie, e a lei di me non gliene importerà un bel niente. Eh! Che stupido sono stato! E però pentirsi non serve a niente, devo trovare una soluzione. E a forza di pensarci gli viene un'idea. Ecco, dice, dovrei bastonarla tutte le mattine, quando mi alzo per andare in campagna; così piangerà tutto il giorno, e a nessuno verrà voglia di farle la corte. Poi la sera le chiederò perdono, in nome di Dio; così la sera sarà felice, e poi al mattino si ricomincia da capo!

***

Quando venne il turno del cavaliere, lui era ancora lì che pensava alla figura che gli aveva fatto fare, e a come avrebbe potuto vendicarsi; e così le ha chiesto: 

"signora, rispondetemi un po' senza mentire: ne avete di peli fra le cosce?" 

Però, fa la ragazza, ecco proprio una bella domanda! Ma risponderò lo stesso: 

"no, non ne ho."

E lui le ribatte in faccia: 

"lo credo bene, sulle strade battute non cresce l'erba. "

E quelli che hanno sentito si sono messi a sghignazzare, e la ragazza è arrossita.


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