Questo sistema, come ogni sistema la storia ci insegna, non era però destinato a durare per l'eternità, e alla prima spallata che fa vacillare il potere l'occasione viene raccolta senza indugi dai luganesi. Assai diversa la situazione in Leventina, che sarebbe rimasta legata ai balivi di Uri ad oltranza. "
", tipica affermazione di una valle saldamente addormentata ad antiche sicurezze a scapito di un pericoloso progresso
Nel 1796 il Nord Italia fu teatro dello scontro tra l’armata guidata da Napoleone Bonaparte e gli eserciti del Sacro Romano Impero, Stato Pontificio e Regno di Sardegna.
Lo scontro terminò con la vittoria del generale corso sulle truppe delle antiche monarchie europee, il quale concesse nell’estate del 1797 ai popoli della zona la proclamazione della Repubblica Cisalpina.
Tuttavia, le tanto attese e agognate libertà e democrazia si rivelarono ben presto un abbaglio, conquistato con immensi ed inutili sacrifici.
Il Cantone Ticino era anch’esso oggetto dei desideri napoleonici in ragione della sua particolare configurazione geografica e posizione strategica: era infatti considerato un baluardo difensivo nonché la porta della Svizzera.
La volontà di Napoleone era quella di creare una Repubblica Elvetica inserita dell’orbita francese, per farlo però era necessario rovesciare l’Ancien Régime presente nei Cantoni svizzeri e i rapporti di sudditanza tra loro e i baliaggi.
Per far fronte alla situazione la Dieta di Aarau inviò nei baliaggi italiani una rappresentanza insignita di pieni poteri, con lo scopo di controllare i moti rivoluzionari e istruire la popolazione all’uso delle armi in difesa di possibili attacchi da parte dei Cisalpini.
Per far fronte alle minacce cisalpine un gruppo di giovani luganesi all’inizio del 1797 si riunì per costituire un Corpo di milizia volontaria: i Volontari del Borgo, successivamente Volontari Luganesi. Erano circa 60 giovani comandati Pietro Rossi e indossavano un’elegante uniforme azzurra a grandi risvolti bianchi, cappello nero con pennacchio bianco e rosso.
I giovani abbracciarono la causa cittadina senza troppe esitazioni, consci di quale fosse la posta in gioco: la libertà.
Nel giorno 30 luglio 1797 i Volontari del Borgo ricevettero per mezzo dei Rappresentanti della Federazione Elvetica il dono di un stendardo, ciò che fu eseguito con molto strepito di armonica banda militare e con grande allegria. I suddetti Volontari ebbero pure in dono dai Cantoni svizzeri circa 500 fucili e una quantità di polvere, di cui si servirono per ammaestrarsi negli esercizi militari».
La levata del Corpo dei volontari di Lugano nel 1797. Disegno a penna acquerellato di Rocco Torricelli (Museo d'arte della Svizzera italiana, Lugano, Collezione Città di Lugano).
Temendo le ingerenze della Repubblica Cisalpina, istituita da Napoleone Bonaparte nel giugno del 1797, i cittadini di Lugano crearono una guardia civica per la difesa del borgo, sostenuta dai cantoni confederati.
Dipinto 2 - 15.02.1798 - Lo scontro tra Volontari e Cisalpini
L’occasione per mettersi alla prova non tardò ad arrivare. Ben presto ebbero modo di dimostrare il loro valore sul campo di battaglia respingendo con fermezza e determinazione l’invasione delle truppe cisalpine quando il 14 febbraio 1798 un gruppo di “patrioti” (luganesi sensibili alle idee illuministe e quindi decisi a liberarsi dal controllo dei Confederati) e di cisalpini tentò di impadronirsi di Lugano.
Fu un fatto militarmente quasi
irrilevante, che però ebbe conseguenze
grandissime nei due sensi, quello della
«libertà» e quello della permanenza di Lugano, e perciò di tutto il Ticino, alla Svizzera
I «patrioti», almeno indirettamente favoriti dal
Direttorio Cisalpino, che già aveva alimentato altre insurrezioni in Piemonte,
Venezia, in Liguria, anche a Roma, e che
tanto più ora si sentiva interessato per ragioni geografiche ed etniche, avevano assoldato un certo numero di uomini della
Lombardia, e a Bergamo si erano
provvisti di armi: punto d'avvio della spedizione,
Campione.
Tra i fautori del complotto le
cronache registrano Giambattista Quadri dei Vigotti, Giovanni Reali di Cadro,
i luganesi del Borgo Felice Bellasi, Zaccaria Re, Stefano e Rodolfo Riva; e di
questi taluni furon pure materialmente della partita. Si sbarcò alla foce del Cassarate, si entrò nel Borgo per la porta di
San Rocco invadendo
la contrada di Canova, dove era sito l'Albergo Svizzero tenuto da Agostino Taglioretti (uomo peraltro, pur nella fedeltà svizzera, aperto alle istanze democratiche), che ospitava i
due Rappresentanti elvetici; nella sparatoria rimase ucciso il fratello minore dell'albergatore, Giovanni, che faceva parte
dei Volontari; l'albergo fu tosto assediato. Agli spari fecero eco le campane e i
tambureggiamenti, destando gli abitanti
che pacificamente dormivano, i quali, tutti tremanti e sbigottini e non sapendo ciò che fosse, non ardivano per timore di uscir
di casa» (Laghi). Accorsero però alcuni volontari, che si unirono a quelli che già stavano nel corpo di guardia: contro i quali
si trovarono a dover fieramente contrastare i Cisalpini quando sbucarono in Piazza Grande. La scaramuccia, nel tremendo
e sempre crescente fracasso, durò circa
un'ora, e volse presto al peggio per gli
assalitori, che non trovarono l'intesa coi
loro partitanti ch'eran nel Borgo, e dovettero alla fine reimbarcarsi.
Il disegno
acquarellato del Torricelli che presentiamo
mostra appunto il momento culminante: a
sinistra, i Cisalpini sbucati da Canova, a
destra i Volontari usciti dal corpo di guardia; di faccia, la casa Agnelli; sullo sfondo, in arretrato, il palazzo dei marchesi
Riva; all'estrema destra, l'angolo meridionale del palazzo della Mensa vescovile
(pressappoco dove adesso sta il palazzo civico).
Tentativo di insurrezione dei "patrioti" per annettere il baliaggio di Lugano alla Repubblica cisalpina il 15.2.1798. Disegno acquerellato di Rocco Torricelli
(Museo d'arte della Svizzera italiana, Lugano, Collezione Città di Lugano).
Un gruppo di patrioti armati tentò con l'aiuto di repubblicani lombardi di sottrarre Lugano al dominio della Confederazione, ma dovette desistere a fronte della tenace opposizione dei volontari ticinesi.
I volontari respinsero l’attacco con successo, ma i fatti di quel giorno portarono i Confederati ad acconsentire ad alcune richieste di libertà e indipendenza dei baliaggi italiani.
Oggi è una targa posta in Via Canova, a ricordare il fulgido esempio di coraggio e spirito patriottico di quegli eventi che passarono alla storia come i “Moti di Lugano”.
Liberi e svizzeri
Importante poi, quanto avvenne nella giornata del 15. I due Rappresentanti svizzeri provvidero, sempre a
star al Laghi, alla «mobilitazione dei paesani», presso i quali stava un lor punto di
forza, e scrissero protestando alle autorità di Milano: tutto sembrava essere rientrato nella normalità, quasicché l'episodio
di poche ore prima non altro dovesse rimanere che un episodio, quando una folla
di alcune centinaia di persone, alle cinque
del pomeriggio, si fece sotto le finestre dello stesso Albergo Svizzero, capitanata dall'avvocato Annibale Pellegrini di Ponte
Tresa (giurista notevole, uomo di spiriti
liberali apertissimi, autore di un opuscolo
in un certo senso determinante, di cui si
dice altrove) e, pare, da un avvocato Stoppani di Ponte Tresa (che taluno vuol identificare con quell'Angelo Maria Stoppani
che si troverà alla testa del «pronunciamento di Giubiasco» nel 1814), i quali
reclamarono «la loro libertà svizzera, per
reggersi da sé (per usar le parole precise
del Buman: «Ihre schweizerische Freyet,
um sich selbst zu regieren»): e la storia luganese, sia pure per non moltissimi giorni,
dato che altri più gravi fatti in un più vasto
scacchiere stavano per svolgersi e far precipitare il tutto (si intenda l'invasione della vecchia Confederazione da parte dei
Francesi e la sua definitiva caduta), si
svilupperà su quella linea direttrice (che
fu detta poi dei «libero-svizzeri», in contrasto con quella dei «libero-cisalpini»).
Sarà da registrare poi una prima positiva
reazione di oltre San Gottardo, da parte
di Basilea, che rinunciò subito ai suoi «diritti»: ma bisogna aggiungere che quella fu
opera personale di Peter Ochs, coerente
co' suoi principi.
Questo episodio indubbiamente riuscì a far comprendere ai Confederati quanto fosse forte la lealtà dei ticinesi ed in particolare dei Luganesi. Ormai pronti a giurare per la Confederazione, venne concesso a Lugano il simbolo della democrazia: l’albero della libertà apposto nella Piazza Riforma.
Lealtà o c'é dell'altro?
La mattina del 15 febbraio 1798, un gruppo di uomini armati fece irruzione nel municipio di Lugano. I putschisti rovesciano i sovrani confederati di Lugano, prendono in ostaggio il balivo Jost Remigi Traxler di Nidvaldo e chiedono che Lugano venga incorporata nella Repubblica Cisalpina. Cosa sta succedendo? Chi è questo balivo e perché dovrebbe cedere il passo a questa repubblica?
Nel 1798, l'attuale Ticino era costituito esclusivamente da paesi soggetti alla vecchia Confederazione. Nel 1521, i Confederati avevano conquistato la regione dal Passo del San Gottardo fino a Chiasso, rosicchiando il Ducato di Milano. Ma c'era ancora molta strada da fare prima che nascesse il Canton Ticino. Uri regnava da sola sulla Levantina e, insieme a Svitto e Nidvaldo, fondò i baliati di Blenio, Riviera e Bellinzona. I 12 capi confederati governavano congiuntamente gli altri baliati di Locarno, Vallemaggia, Lugano e Mendrisio, che erano paesi soggetti che dovevano fornire soldati ai loro padroni stranieri e pagare loro tasse come le decime.
Il sistema di governo confederato iniziò a vacillare solo nell'estate del 1797, quando Napoleone Bonaparte completò la sua vittoriosa campagna d'Italia e istituì la Repubblica Cisalpina sul modello francese, ispirata agli ideali rivoluzionari di libertà, uguaglianza e fraternità. Napoleone liberò i sudditi della sua Repubblica e poi estese i principi egualitari e libertari ai Paesi soggetti della regione. Integrò così la Valtellina, già parte dei Grigioni, nella Repubblica Cisalpina. Questi eventi iniziarono a suscitare la resistenza contro i balivi. Il 15 febbraio 1798, a Lugano, i sostenitori della Repubblica Cisalpina colsero l'occasione per porre fine alla dominazione confederata. La strada sembrava spianata per la Repubblica Cisalpina.
Ma non fu così.
Un corpo di volontari luganesi scacciò i golpisti il giorno stesso del colpo di Stato, per evitare l'incorporazione nella repubblica rivoluzionaria di Napoleone, ma senza ripristinare il dominio confederale appena abbattuto.
L'ufficiale giudiziario Traxler fu liberato, ma dovette abbandonare la città e lasciare il governo ai luganesi, che la sera stessa eressero in Piazza Grande un albero della libertà, sul modello della Rivoluzione francese. Ma al posto del berretto giacobino, coronarono l'albero con un cappello simile a quello di Guglielmo Tell, e lo slogan "liberi e svizzeri" si diffuse in tutta la città. Vogliamo essere svizzeri liberi!
Napoleone non poté quindi ignorare l’autodeterminazione del popolo luganese permettendo con la stesura del famoso “Atto di Mediazione”, l’integrazione del Ticino in seno alla Confederazione Elvetica.
Il corpo costituito come milizia della città ebbe alterne fortune, fino al suo oblio avvenuto nella seconda metà dell’800. Nel 1928, il Municipio di Lugano, in occasione del Tiro Federale di Bellinzona e grazie alle insistenze dell’allora Comandante Emilio Vegezzi, decise di ricostituire il Corpo, attribuendogli uno Statuto e promuovendolo a Guardia d’Onore della Città di Lugano.
Gli altri baliati seguirono rapidamente l'esempio di Lugano. I loro sudditi si liberarono dichiarando fedeltà alla Confederazione, il che fa sorgere una domanda: perché gli ex sudditi non voltano le spalle ai loro ex governanti? Cosa rende la vecchia Confederazione così attraente rispetto alla rivoluzionaria Repubblica Cisalpina?
In questi tempi turbolenti, la conservazione dell'autonomia locale è fondamentale per gli ex sudditi. Sotto l'autorità della Confederazione, ogni comune era ampiamente autonomo. Quella che allora si chiamava Vicinanza (comunità) aveva piena autonomia nella gestione di beni comuni come boschi e altri terreni. L'organizzazione necessaria per l'utilizzo dei beni collettivi e l'assenza di interferenze da parte dei governanti confederati contribuirono alla nascita di sistemi politici, giuridici ed economici autonomi a livello locale.
Nel 1798, queste Vicinanze volevano conservare le loro antiche strutture e la loro autonomia, che corrispondevano a quelle delle corporazioni e delle cooperative delle città federate. Nella Repubblica Cisalpina, invece, i comuni erano stati ridotti a semplici unità amministrative prive di autonomia politica. Le strutture federali offrivano quindi vantaggi tangibili agli ex Paesi soggetti: rimanendo all'interno della Confederazione, essi conservavano il loro patrimonio materiale, politico e culturale.
Nel resto del Cantone
A Mendrisio venne in quello stesso 15
febbraio innalzato l'albero della libertà
col cappello di Tell, in un'atmosfera di relativa tranquillità; convocato dal Lanfogto il Congresso generate del Baliaggio il popolo giurò «la libertà
svizzera», oltre alla fedeltà alla religione cattolica. Sennonché poi un centinaio di
«patrioti» faceva irruzione nel Borgo, ottenendo dal popolo, per un improvviso
«revirement», l'adesione alla Cisalpina: e
si inviava a Milano una deputazione, di
cui faceva parte G. B. Maggi, per l'aggregazione dell'intero baliaggio.
Ne conseguiva un attacco di paesani, respinto. Ma
poi il 4 marzo Volontari e altri uomini del
Luganese a lor volta irrompevano nel
Borgo, e le sorti nuovamente cambiavano.
La vicenda però continuava con fasi alterne.
A Locarno l'albero della libertà era
innalzato solo il 6 marzo, e le direttrici
potevan dirsi simili a quelle ormai affermatesi a Lugano. Senza scosse, e anzi in
una sorta di "embrassade générale", avveniva il trapasso in Valmaggia.
A Bellinzona s'ebbe pure una congregazione della
«Generalità del Borgo», e si seguì il nuovo corso, sia pur in forme che non possono paragonarsi a quelle di Lugano.
Più
curioso e originale e insomma degno di
nota quel che avvenne a Riva San Vitale,
dove il 23 febbraio si proclamò addirittura una «repubblica indipendente», con tendenze nettamente cisalpine: ma il tutto, per
vari motivi, non doveva durare che l'«espace d'un main».
Dipinto 3 - 29.04.1799 Il massacro dei patrioti sulla Piazza Grande
Amnistia, tutto quello che é successo nel gennaio febbraio e marzo 1798 cancellato. All'inizio del 1799 un altro punto cruciale fu l’obbligo di prestare servizio presso la milizia per la difesa della patria , il ticinese era solito emigrare in primavera e si trovava impedito, i ticinesi reclamano ma la costituzione ha patrioti alla guida e ignorano le voci
Marzo 1799 vengono rimossi politici che facevano il bene per il popolo, Buonvicini a Lugano, al loro posto patrioti che si erano già macchiati di atti violenti. Chi si rifiuta di entrare in milizia o si mostra come controrivoluzionario é condannato a morte
Francesi perdono a Stockach (Jourdan) e in Italia si ritirano dopo le giornate di Verona. I francesi lasciano la Svizzera, il 28.04.1799 parte la controrivoluzione Berna, Uri, Svitto e Vallese
Non è da meravigliarsi dunque se le notizie che giungevan dall'Italia, dove gli Austro-Russi avevano riportato vittorie e avanzavano rapidamente su Milano (il Bonaparte si trovava in Egitto), e dalla Svizzera, dove i generali Massena e Jourdan avevano subìto rovesci ed erano sulla difensiva, trovarono specie a Lugano un terreno favorevole ai controrivoluzionari: sicché si arrivò alle tragiche giornate del 28 e 29 aprile 1799.

Massacro dei patrioti luganesi del 29.4.1799. Disegno a penna acquerellato di Rocco Torricelli, 1800 ca. (Museo d'arte della Svizzera italiana, Lugano, Collezione Città di Lugano).
28.4.1799
Mattina: contadini vanno a Lugano davanti a casa di funzionario postale Pietro Rossi. Capra fa venire barche con i cannoni puntati contro la folla, i contadini reagiscono, si impossessano dei cannoni, i patriotti fuggono via lago. I contadini aprono le carceri, é l’inizio della fine
Nel pomeriggio i contadini della Capriasca e del Malcantone fecero il loro ingresso a Lugano. Riuniti attorno all'albero della libertà recante i simboli dell'Elvetica, alcuni "patrioti" sostenitori della Repubblica furono massacrati dai contadini. Tra le vittime figurò anche Giuseppe Vanelli, redattore della Gazzetta di Lugano. Si trattava di una folla di facinorosi concentratasi a Sorengo scese nella contrada di Nassa, dove stava il prefetto Capra, che fu costretto a dimettersi e a liberare alcuni reclusi; Rossi si fa consegnare le chiavi dell' arsenale, il delegato Felice Stoppani é ucciso appena entra in Municipio
Capra é obbligato a redigere un documento che attesta il passaggio dei poteri a Rossi e Roque capitano della 44esima mezza brigata. Poi nella notte fugge
Ufficiali francesi in fuga da Como in Svizzera vengono circondati in un osteria e arrestati, uno é pugnalato alle spalle.
29.04.1799
Durante la notte il popolo si riversa nelle case dei patrioti, al mattino venuti a conoscenza della fuga di Capra il popolo si credette libero da ogni legge. Bandiere vengono portate in scherno e fatte a pezzi.
Il 29 si ebbe il peggio, illustrato dal Torricelli in due tavole allucinanti: G.B. Quadri, con qualche altro, si salvò a stento sul lago; l'avvocato Papi, segretario del Cantone, e il tenente Castelli furono tolti dal loro letto e strascinati nelle carceri (il Pretorio, oggi sede della Banca dello Stato);
Poi inaspettatamente sbarca a Lugano 18esima mezza brigata francese in ritirata. La controrivoluzione si placa, i francesi fanno liberare Agnelli e gli altri patrioti incarcerati
L'abate G.B. Agnelli jr. si salvò grazie a questo corpo di truppe francesi di passaggio da Lugano mentre si ritirava verso il nord.
Partiti anche questi soldati, non ci fu più
freno per la folla: il Papi e il Castelli vennero tolti dalle carceri e strascinati ai piedi dell'albero della libertà, che campeggiava ancora dal febbraio del '98 (su progetto di Rocco Torricelli). Rossi cerca invano di placare la folla. Un pazzo esce dalla folla e con un colpo d'ascia fende il cranio di Papi. Condotti a forza e legati all' albero della libertà, davanti a loro viene portato cadavere di Papi e vengono fucilati all’ istante e sepolti in un luogo maledetto
E ugual
sorte subì il
«gran gazzettiere» G.B. Vanelli, che, ignaro del pericolo, si era recato con un asciugamano sulla riva a lavarsi: in lui si voleva punire il banditore
delle idee che avevan portato a Lugano il nuovo odiato «regime». E vennero quindi
i forsennati saccheggi, tra l'altro delle case del prefetto Capra e dell'arciprete Riva.
Alcuni cittadini indignati accusarono tali gesta violente ma furono a loro volta uccisi . Tra di loro il giovane Ferrario di Lugano e il fabbro Mentasca padre di molti figli
Continua il saccheggio, la plebaglia fuori controllo, gli stessi autori della controrivoluzione temono per la loro vita. Viene costituito nuovi membri del consiglio amministrativo considerato come governo provvisorio, si crea un corpo di onesti cittadini per cacciare con la forza le canaglie fuori controllo.
Dipinto 4 - 29.04.1799 - Il saccheggio della stamperia Agnelli
Le ultime parole dell’ultima edizione suonano come un terribile presagio quell’ultimo giorno in Piazza della Riforma. «Sentesi attualmente il rimbombo del cannone, e si crede impegnato un affare serio, che deciderà della nostra sorte», sta scritto quel 29 aprile del 1799 sull’ultima pagina della «Gazzetta di Lugano».
Il giorno prima gli austriaci sono entrati a Milano e hanno scacciato i francesi dalla Lombardia. L’egualitaria ma feroce liberté trascinata da Napoleone in giro per l’Europa sembra essersi dissolta per sempre in un’eco lontana. Anche a Lugano, dove i conservatori tirano un respiro di sollievo e ne approfittano per un regolamento di conti. La rivolta che scoppia è sanguinosa. C’è un vecchio acquerello di Rocco Torricelli, testimone oculare degli eventi, che descrive bene quelle ore concitate. La piazza di Lugano è uno sciame di persone intente a saccheggiare la stamperia, i libri vengono gettati dalle finestre, i macchinari sono distrutti a mazzate. È caccia ai giacobini che, riferisce un anonimo, sono «assassinati con crudeltà senza esempio a colpi di scure, e di fucile».
Il proprietario della stamperia Giovanni Battista Agnelli riesce a fuggire
Il saccheggio della casa Agnelli, dal pianterreno al soffitto, che il Torricelli illustra nella tavola: la casa (che fu poi modificata profondamente su disegno di Otto Maraini alla fine dell'Ottocento, oggi sede della succursale della banca UBS), campeggia tra la Piazza Grande e quella che si diceva (verso il lago, dove si nota la costruzione cella neoclassica del corpo di guardia dei Volontari: abbattuto poco dopo la metà dell'Ottocento), la Piazzetta della Legna.
Sulla destra si apre la contrada di Canova; a destra l'albero della Libertà sormontato dal cappello di Tell, che ha attorno una sorta di palchetto con quattro fasci littori, simboli repubblicani, e l'angolo del palazzo della Mensa vescovile, con l'insegna dell'Osteria Grande. Al pian di terra della casa Agnelli, chiuso, il caffè Jacchini, la cui insegna è adornata da due elefantini; un'altra bottega, chiusa, è forzata con ferri e asce da tre energumeni.
Dalle finestre piovono sulla strada libri, risme di carta, quadri, un mappamondo, che la folla dei forsennati raccoglie sulla piazza (si vedono anche mobili, una cassetta su cui spiccano le parole «Posa Piano», tappeti, pentole), e si porta via, anche con muli e gerle; visibilissimi tre che se ne vanno con un torchio, forse servito poi a Pietro Rossi, indicato tra gli istigatori del fattaccio, per stampare il suo «Telegrafo delle Alpi», successore della gloriosa «Gazzetta», che in questo giorno doveva avere il suo atto di morte. E' invece patetica, sotto i portici, la figuretta di uno che, smessa per un momento la insana virulenza, ha appoggiato il fucile al muro e si è posto a leggere un libro
Una fine movimentata
Una fine movimentata quella della Tipografia Agnelli, degno epilogo
per un’altrettanta avventurosa esistenza durata oltre mezzo secolo. Tra intrighi internazionali e giochi diplomatici, con le sue pubblicazioni distribuite spesso clandestinamente, in favore di riforme e rivoluzioni, contro i gesuiti, contro la pena di morte, la tortura e la schiavitù, la stamperia di Lugano aveva davvero fatto tremare mezza Europa.Erano stati, nel 1746, tre fratelli milanesi a fondarla, un po’ per cercare nuovi sbocchi commerciali fuori dal sonnecchiante mercato editoriale italiano, un po’
per beneficiare della libertà di stampa svizzera e sfuggire alla doppia censura, dello Stato e della Chiesa, che vigeva a Milano. Ottenuto il permesso dei Cantoni sovrani che allora dominavano la Svizzera italiana, avevano aperto bottega in Piazza Grande (oggi Piazza della Riforma) occupando quel grande ed elegante palazzo che esiste tutt’ora all’imbocco di via Canova e che oggi porta una targa commemorativa: «Sull’area di questo edificio sorgeva la Tipografia Agnelli, faro di cultura europea».
Non c’è dubbio: tra i tanti libri pubblicati, soprattutto su commissione, il prodotto di punta erano le «Nuove di diverse corti e paesi d’Europa» (o «Gazzetta di Lugano» come venne chiamato negli ultimi due anni): un settimanale in lingua italiana, stampato di lunedì, distribuito in pratica in tutta l’Italia ma letto in tutta Europa.
Il 30 settembre del 1776 è tra i primi a pubblicare integralmente il testo della Dichiarazione di indipendenza americana, quando per la prima volta nella storia si parla del diritto alla ricerca della felicità
Lugano, piccola e polverosa cittadina dei baliaggi italiani. Eppure vivace testimone degli eventi internazionali. Fino a quell’aprile del 1799, quando tutto finisce.
Qualche settimana dopo il saccheggio, il comandante austriaco della piazza di Lugano ordina alla popolazione di riconsegnare quanto rubato. Si presentano ben 350 persone. Alcuni ammettono di avere già venduto la refurtiva. Molti riconsegnano di tutto: oltre a libri, carta e caratteri... ci sono tende, posate, pentole, tavoli, sedie. Inclusa la cassa dell’orologio dello sfortunato abate Vanelli.
Dipinto 5 - 10.05.1799 - L'arrivo delle truppe imperiali
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